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Il Golem - Pagina 2
27 Dicembre 2009
Immaginate per un attimo che il ministro Alfano decida di
introdurre nella riforma della giustizia i precetti morali contenuti nel
catechismo della Chiesa cattolica o le norme giuridiche del Codex iuris
canonici.
Vedreste l’intero schieramento politico insorgere, Pannella ululare alla luna
(e la luna rispondere), Gad Lerner ricordare vagoni piombati, la Prestigiacomo
strapparsi i capelli, Bersani no (è più problematico), il Gran Maestro Raffi
evocare lo spirito di Cagliostro, Giulio Giorello quello di Giordano Bruno, il rabbino
Di Segni riesumare lo spettro del ghetto, Adriano Prosperi prosperare per
almeno cinque articoli su Repubblica, Gianfranco Fini circoncidersi per
solidarietà il cuoio capelluto (in certi casi la differenza è irrilevante), Rosi
Bindi stracciarsi le vesti... e già questo sarebbe un buon motivo per ritirare
la proposta.
L’Unione Europea poi interverrebbe con una procedura
d’infrazione nei confronti dell’Italia e proibirebbe di chiamare incroci (in
nome della laicità) quelli stradali, per non offendere la sensibilità di
nessuno, Bernard Henry Levy scriverebbe un saggio dal titolo «La
barbarie dal volto cristiano», Cristiano Malvoglio
cambierebbe nome in «Laico» Malvoglio,
Alba Parietti cambierebbe fidanzato, Vladimiro Guadagno cambierebbe finalmente
sesso, Follini partito, il PD segretario e Massimo Moratti allenatore.
Questo in Italia, con Roma capitale, sede del Vicario di Cristo e successore di
Pietro. Ma altrove è diverso.
Prendiamo a caso Israele. Lì, senza che da noi si sia levata
alcuna voce di costernazione come accade invece ad ogni starnuto del presidente
iraniano Ahmadinejad, il ministro della Giustizia israeliano Ya’acov Neeman, parlando a Gerusalemme
davanti ad una nutrita assemblea di rabbini e studiosi dell’Halakha (la
giurisprudenza rabbinica) ha espresso l’auspicio che «passo dopo
passo noi daremo ai cittadini di Israele le leggi della Torah (la legge biblica
contenuta nei primi cinque libri del Tanakh o Pentateuco nda) e faremo
dell’Halakha la legge fondamentale dello Stato».
Se accadrà, per far gustare le delicatezze della civiltà
giudaica, mi impegno a reperire fondi per pagare all’ex-onorevole Grillini un
ticket di prima classe, sola andata (il ritorno - come capirete subito -
sarebbe superfluo) sulla prestigiosa compagnia aerea El Al (“אל על”, in lingua
ebraica) che significa «verso il cielo»
(e mai nome fu più azzeccato), con biglietto di accompagnamento e dedica tratta
da Levitico 20, 13: «Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno
commesso un abominio; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su
di loro».
La compagnia El Al augura «Buon viaggio»!
Non se la prenda con me il gaio onorevole, che non perde occasione per infamare
la Chiesa! Qui da noi ci sono ministri e ministre, di Destra e di Sinistra e
persino prelati e alti cardinali disposti a firmare appelli contro l’omofobia.
E lì, in Eretz Israel, che deve andare a fare l’eroe fra qualche anno (…con due
«enne»).
Alle nostre - come dire - «generose»
teen ager (ed anche a quelle dello Stato di Israele) consiglio invece la
lettura di Deuteronomio 21: «Se la giovane non è stata trovata in stato di verginità, allora la
faranno uscire all’ingresso della casa del padre e la gente della sua città la
lapiderà, così che muoia, perché ha commesso un’infamia in Israele,
disonorandosi in casa del padre. Così toglierai il male di mezzo a te».
Da Tel Aviv e dintorni è probabile che queste smorfiose smetterebbero di
spruzzare insulse vacuità contro Santa Romana Chiesa e di certo, se Ya’acov
Neeman andrà al potere, la vendita di jeans a vita bassa e t-shirt a vita alta
subirà in Eretz Israel una consistente contrazione. Con un indubbio beneficio
almeno per i casi di colite ostinata.
Agli amanti dei tatuaggi consiglierei la lettura di Lv
19:28, ai seguaci di Vanna Marchi la lettura dello stesso capitolo tre versetti
dopo, ai cornuti di tutt’Italia la consolazione di Lv 20, 10: «Se
uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l’adùltero e l’adùltera
dovranno esser messi a morte».
Come dicono a Napoli «io pazzeio»,
ma a fronte di ciò vorrei vedere una volta nella vita qualche intellettuale
femminista gridare contro l’oscurantismo talmudico-rabbinico (su quello
presunto clericale hanno già dato), l’ex-ministra Melandri accavallare le gambe
sui divanetti di Porta a Porta per non sostenere più le ragioni dello Stato di
Israele e Magdi Cristiano Allam spiegarci perché mai gli islamici no e i giudei
sì.
Vorrei che tutti i progressisti di casa nostra, i cattolici
adulti, le tonsille di bronzo martiniane insorgessero almeno con un guaito, sia
pure afono, contro il ministro israelita e israeliano Ya’acov Neeman, quello
che ha detto: «Noi dobbiamo
riportare la nazione d’Israele all’eredità dei nostri padri, la Torah ha in sé
la soluzione completa di tutte le questioni con le quali ci confrontiamo oggi».
E infine vorrei che i paladini dell’accoglimento di Israele
all’interno dell’Unione Europea fossero deportati (si puo dire?) per l’appunto in
Israele, quando la proposta verrà approvata.
E non si dica che Ya’acov Neeman è stato subito smentito dai
suoi stessi colleghi di governo. Israele è così: nulla avviene all’improvviso,
nemmeno lo strangolamento dei palestinesi si è imposto d’un tratto. Israele è
il serpente che con le sue spire soffoca lentamente tutto ciò che gli è
estraneo.
Il ministro è stato chiarissimo: «Si faccia in
modo che la legge della Torah sia la legge di Israele», in un
processo da mettere in atto passo dopo passo. «Passo dopo
passo» è il metodo giudeo. Ciò che oggi
sembra una provocazione, domani diventa un’ipotesi, dopodomani una proposta,
poi un oggetto di discussione, infine una realtà. E’ questa a conoscerla e a
saperla leggere la strategia del giudaismo, da sempre un metodo che non teme la
sfida del tempo.
Quella frase (Hashana haba’a b’Yrushalayim, in ebraico השנה הבאה בירושלים),
cioè «l’anno prossimo a Gerusalemme», ripetuta
ossessivamente per secoli e secoli dai ghetti del Marocco fin dentro gli
inverni gelati della pianura polacca o della steppa russa, è lì a dimostrare
che l’ostinazione e la tenacia giudaica non si arresterà che di fronte
all’Eternità.
Ci viene insegnato che lo Stato d’Israele nasce col pensiero
e con l’azione del Sionismo laico di Theodor Herzl. Ma non è così. Non è un
caso che nel XIX secolo l’ipotesi di dare una patria agli ebrei in Argentina o
in Uganda fu subito abbandonata. Il Sionismo fu subito confessionale, perché da
subito il suo pensiero fu rivolto ad Eretz Israel. Ed Eretz Israel non è un
pezzo di terra barattabile con un’altra, non è una dimensione geografica o una
astrazione culturale: Eretz Israel è il luogo di elezione di JHW, la Terra che
Adonài ha voluto per il suo popolo, la culla di Gerusalemme la Santa, il luogo
del Tempio ove con il rituale sacrificio è possibile ottenere la Shekinà, la
presenza di Dio in mezzo al suo popolo.
Dicono i Giudei che «La Torah è come l’acqua, la Mischnah il vino, e la Gemarah vino
aromatico»: quest’idea è consustanziale ad Israele, ne è il Verbo.
Per avere un senso anzitutto avanti se stessi, essi non possono che richiamare
questa matrice, non solo la circoncisione (che condividono con gli islamici),
non semplicemente la Torah (che è parte dell’Antico Testamento riconosciuto e
reinterpretato alla luce di Cristo anche dai cristiani), ma la Torah
reinterpretata alla luce dell’Halakhà talmudico-rabbinica e corrotta dalla
Gemarah qaballistica.
Dispersi tra le genti, i giudei non sono più in grado di
riconoscersi tra loro, se non attraverso la creazione mitologica di quest’unità
di spirito, in grado di fondare teologicamente l’unità e elezione di sangue e
suolo.
Questa tradizione talmudico-qaballistica è lo spirito oscuro
con cui il giudaismo pretende di tornare a plasmare il suo popolo, così come
fece, per impedirne ad ogni costo l’assimilazione, fin dai tempi in cui la
distruzione del Tempio ad opera dei Romani sembrava essere in grado di farlo
scomparire dalla faccia della terra. Contro l’assimilazione al moderno spirito
profano, che essi hanno così prepotentemente contribuito a diffondere tra i
Gentili, i rabbini d’Israele sono tornati all’opera come per secoli lo sono
stati contro le altre fedi. Ed è un’opera che viene da lontano, è il ritorno
all’egemonia settaria della loro matrice ideologica e spirituale.
Come scrive Giuseppe Filoramo «Fra la casta dei rabbini e il resto della
popolazione ebraica che, non essendo in grado di interpretare la legge, era
considerata non istruita e veniva chiamata con disprezzo ‘am ha-àres (popolo
della terra, o popolo della campagna),
essi eressero una barriera. Molto chiaramente esprime l’opinione negativa che i
rabbini nutrivano per chi non apparteneva alla loro casta quel passo del Talmùd
(Pesahìm, 49a-b), in cui si
raccomandava a un saggio di non sposare mai la figlia di un appartenente al ‘popolo
della terra’ basandosi sul divieto biblico (Deuteronomio 27,21), che proibiva l’accoppiamento con un
animale» (1).
L’egemonia rabbinica non fu però solo la conseguenza
dell’autorità che essi seppero conquistare all’interno del giudaismo, ma anche
degli strumenti coercitivi con cui essi combatterono ferocemente ogni forma di
diversità dottrinale.
Illuminante a questo proposito è ciò che scrive Israel Shahak: «Il fatto sociale più importante della
presenza storica ebraica prima dell’avvento dello Stato moderno è che l’osservanza
delle leggi giudaiche, inculcate nei giovani dall’istruzione rabbinica, era
imposta agli ebrei con la coercizione fisica (…). Con l’affermarsi dello Stato
moderno, la comunità ebraica perse il suo potere di punire e d’intimidire i
singoli ebrei. Furono spezzati i lacci di una delle più chiuse ‘società chiuse’,
di una delle società più totalitarie di tutta la storia dell'umanità»
(2).
In pochi sanno che solo dalla fine del 1700 «per la prima volta dall’anno 200 dell’era
volgare (…) gli ebrei di tutta l’Europa, e successivamente di tante altre nazioni,
furono liberi di leggere libri in tutte le lingue moderne, di leggere e
scrivere libri in ebraico senza l’approvazione dei rabbini, che prima era
necessaria per tutte le pubblicazioni in ebraico e in Yiddish, di mangiare cibi
non kosher, d’ignorare gli innumerevoli e assurdi tabù sessuali che i rabbini
imponevano, persino la libertà di pensare ‘i pensieri proibiti’ che erano
considerati peccato gravissimo» (3).
Ne deriva un’immagine del mondo ebraico molto diversa da
quella oleografica che ci viene solitamente rappresentata (4). In realtà «tutte le cosiddette ‘caratteristiche ebraiche’ - quei tratti che i
cosiddetti intellettuali dell’Occidente attribuiscono ai loro cosiddetti ‘Ebrei’
- sono caratteristiche moderne, sconosciute nella storia ebraica e apparse
quando la comunità totalitaria cominciò a perdere il suo potere di vita e di
morte (…). Prima del 1780 in Europa, se si fa eccezione per una cultura
strettamente religiosa, degradata e degenerata rispetto ai secoli precedenti,
tra gli ebrei dominava un profondo disprezzo e odio per ogni forma di sapere,
escluso il Talmud e il misticismo ebraico (…). Tra quel mondo di oscurantismo
fanatico e le ‘caratteristiche’ attribuite agli ebrei dalla cultura occidentale
non c’è nulla in comune al di fuori dell’uso arbitrario del nome (…). Nell’Europa
dell’Est, le autorità rabbiniche decretarono che tutti gli studi non talmudici
dovessero essere proibiti, anche quando non contenessero qualche specifico
oggetto di anatema, perché avrebbero sottratto tempo allo studio del Talmud o
all’accumulare il denaro necessario per finanziare poi gli studiosi del Talmud.
Restava un’unica scappatoia: il gabinetto, dove anche gli ebrei più pii
dovevano inevitabilmente passare un po’ di tempo durante la giornata. In quel
luogo impuro, è vietato leggere gli studi sacri, ma era permesso leggere libri
di storia, purché fossero scritti in ebraico e non riguardassero questioni
religiose, il che voleva dire libri dedicati esclusivamente ad argomenti non
ebraici» (5).
All’ebreo che osava attaccare un giudice del tribunale
rabbinico venivano mozzate le mani, gli adulteri erano imprigionati dopo che
avevano dovuto attraversare il quartiere ebraico con due file di gente che li
bastonava e sputava loro addosso. Quando c’erano dispute teologiche, ai
sospetti eretici veniva mozzata la lingua.
Làzare, un altro autore ebreo, addirittura arriva a dire che
«questi miserabili ebrei,
che il mondo intero tormentava a causa della loro fede, perseguitarono i
correligionari più duramente, più accanitamente di quanto fossero mai stati
perseguitati», ricordando che «quelli che essi accusavano di indifferenza erano destinati ai supplizi
più terribili: ai blasfematori si tagliava la lingua; le donne ebree che
avevano rapporti con cristiani erano condannate a essere sfregiate ed erano sottoposte all’ablazione del naso (...).
La massa degli Ebrei era (…) caduta interamente sotto il giogo degli
oscurantisti; era ormai separata dal mondo, ogni orizzonte era chiuso (6) (...). Nel Talmùd l’ebreo trovava
tutto previsto: vi erano indicati tutti i sentimenti e le emozioni, qualunque
fossero, e preghiere e formule già pronte permettevano di esprimersi. Il libro
non lasciava spazio né alla ragione né alla libertà, perché insegnandolo
praticamente si eliminavano la parte di leggenda e la parte gnomica e si
insisteva sulla legislazione e il rituale. Con un’educazione di tal fatta l’ebreo
non soltanto perse ogni spontaneità e ogni intellettualità, ma vide anche la
sua moralità diminuire e indebolirsi» (7).
Tutto ciò apparterrebbe al mondo degli studi accademici, se
qualcuno questa tradizione non pensasse seriamente di farla rivivere, allo
stesso modo in cui è stata fatta rivivere la lingua ebraica (sostituita nel
corso dei secoli da vari idiomi, di cui in primo luogo lo yiddish) e allo
stesso modo in cui si ricostruirà il Tempio. Passo dopo passo.
E dietro tutto questo vi è un solo obiettivo: ricostituire
il regno di Israele in tutta la sua grandezza ed il suo splendore.
Il giornalista Giancesare Flesca, riportando la notizia della proposta di Ya’acov
Neeman, ha acutamente svelato ciò che ci sta dietro: «Se si promette di dare ai cittadini la legge
della Torah, le cose si complicano di parecchio. La Torah è la legge per così
dire ‘costituzionale’ di Israele, quella che ne stabilisce in base alla storia
e alla fede confini indissolubilmente legati al principio della Eretz Israel:
la terra dei primi insediamenti ebraici. In altre parole, secondo il racconto
del Libro (in gran parte eguale al Vecchio Testamento cristiano), Israele
avrebbe diritto non solo ai territori strappati agli arabi nella guerra del
1967, ma anche alla Giordania, al Sinai, alla parte meridionale del Libano. E
infine al Golan. Se davvero lo stato ebraico facesse suoi per intero i precetti
della Torah, dovrebbe rinunciare per sempre a un qualsiasi progetto di pace»
(8).
Insomma è il sogno del Grande Israele.
Leggendo la notizia della proposta di Ya’acov Neeman mi è
venuta infine alla mente la leggenda ebraica del Golem. Il termine Golem fa la
sua prima apparizione nella Bibbia (Salmo 139,16) per indicare una massa ancora
priva di forma, ed è presente nei libri fondamentali della mistica ebraica, lo
Zohar (Il libro dello splendore) del XIII secolo, e il Sefer Jezira (Il libro
della creazione). Il maestro che volesse formare un Golem, così si racconta, si
serviva delle lettere girando attorno alla forma di argilla per un numero di
volte preciso, in corrispondenza a tutte le figure citate sul Sefer Yetzirah. Secondo
la leggenda il Golem è dunque un gigante di argilla, costruito con le arti
magiche della Qabbala, analogamente alla creazione del mondo, avvenuta per un
processo di emanazione di ogni cosa dal nome divino.
Scrive Gershom Scholem: «Dio ha creato tutte le cose per mezzo delle trentadue ‘meravigliose vie
della sophia’. Queste vie sono costituite dai dieci numeri originari, qui
chiamati sefirot, che sono le potenze fondamentali dell’ordine della creazione,
e dalle ventidue lettere, cioè dalle consonanti, che sono gli elementi di base
di tutto il creato» (9).
Il Golem è dunque un tentativo di imitare l’azione creatrice
di Dio, ma in quest’opera in realtà è iscritto un istinto di prevaricazione:
ancora una volta l’uomo diventa in tal modo simia Dei. La stessa tradizione del
Golem ne è intimamente ben consapevole ed anticipa il tema dell’apprendista
stregone, di chi cioè è in grado di evocare forze che poi ad un tratto non
riesce più a controllare.
Secondo la leggenda il Golem può essere usato dal suo
creatore come suo servo: esso era, infatti, dotato di una straordinaria forza e
resistenza ed eseguiva alla lettera gli ordini del suo padrone, ma era incapace
di pensare, di parlare e di provare qualsiasi tipo di emozione perché era privo
di anima e nessuna magia fatta dall’uomo sarebbe stata in grado di fornirgliela.
Tra le leggende diffuse nella comunità ebraica di Praga si narrava che nel XVI
secolo il rabbino Jehuda Löw ben Bezalel
avesse costruito davvero dei Golem e li avesse animati scrivendo sulla loro
fronte la parola «verità» [in ebraico אמת (emet)].
Ma i Golem presentano un inconveniente: diventavano sempre
più grandi, finché è impossibile servirsene. Così il rabbi decideva di tanto in
tanto di disfarsi di quelli più grandi, togliendo la lettera מ dalla parola אמת
(emet) scritta sulla fronte e trasformando quella parola in מת (met), che
significa morte.
Ma vi è un altro aspetto inquietante nella leggenda del
Golem che appare di straordinario interesse: esso sarebbe stato creato come una
sorta di angelo vendicatore per la difesa degli ebrei dalle persecuzioni.
Questa idea rimanda all’ideologia dominante secondo cui lo
Stato di Israele altro non sarebbe che il gigante forte che deve difendere gli
ebrei del mondo da un nuovo imminente possibile olocausto. Non è forse questa
la giustificazione per cui esso può possedere 300 atomiche e l’Iran nessuna?
Ora davvero il Logos, la Parola, è costitutiva della realtà.
Dio infatti crea per mezzo del Verbo. Ma ciò vale anche per le nostre parole, che creano,
forgiano, plasmano la realtà.
Per questo le parole di Ya’acov Neeman sono inquietanti: come ha scritto il
giornalista Giancesare Flesca, se davvero lo Stato ebraico facesse suoi per
intero i precetti della Torah, interpretata alla luce della tradizione
talmudico-cabalistica, dovrebbe rinunciare per sempre a un qualsiasi progetto
di pace.
Da quando il Sionismo ha gettato la maschera laica per
aprire la strada al fanatismo fondamentalista della matrice talmudico
cabalistica, «passo dopo passo» lo Stato di Israele palesa
sempre più la sua vera natura ed il carattere titanico ed anticristico della
verità che gli è scritta in fronte.
Come nella leggenda la verità conosciuta dal rabbino ed
iscritta sulla fronte anima il gigante di argilla per trasformarlo nel Golem,
così la matrice talmudico cabalistica ha animato e continua ad animare la massa
informe di genti che hanno attraversato i secoli dalla distruzione del Tempio
fino ad oggi, facendo vivere quello Stato, che appare a molti ebrei non solo come
l’inveramento della promessa messianica, ma come l’angelo vendicatore degli
ebrei nel mondo che vorrebbe sterminarli.
Questa stessa matrice ha fatto sì che dopo la proclamazione
dello Stato di Israele l’aumento di potenza e grandezza di questo Golem rischi
sempre più sfuggire di mano al suo creatore. Vi sarà un solo modo per fermarlo:
sottrarlo al monopolio di questa «verità» (אמת) che
gli è scritta in fronte. Ma questo, come nella leggenda del Golem vorrebbe dire
la sua morte (את) e la fine stessa del giudaismo.
Ben lo sanno da secoli i rabbini. Dopo la leggenda di rabbi
Löw ben Bezalel se ne diffuse già nella Polonia del ‘600 un’altra, documentata
in una lettera datata 1674, che raccontava di un Golem creato da rabbi Elija Ba’al
Schem di Chelm che crebbe a dismisura, diventando una minaccia ingovernabile
per il suo padrone. Per risolvere il problema il rabbi pretese che il Golem gli
togliesse le scarpe e nel mentre gli cancellò dalla fronte l’aleph. Il Golem
morì e ricadde su se stesso, travolgendo però il Rabbi con la sua massa
informe.
Chi ha animato il Golem ora non può che lasciarlo crescere,
per non morire egli stesso, ma nel contempo perdendone il controllo. Per questo
sosteniamo che lo Stato di Israele è lo Stato più pericoloso e pericolante
della Terra.
Domenico Savino
1) Confronta
Giuliano Tamani, «Il Giudaismo nell’età tardo-antica», in Aa.Vv., «Ebraismo»,
a cura di Giovanni Filoramo, Laterza, 1995, pagine 126-127
2) Confronta
Israel Shahak, «Storia ebraica e Giudaismo. Il peso di tre millenni»,
Centro Librario Sodalitium, Verrua Savoia, 1997, pagina 37.
3) Confronta I.
Shahak, opera citata, pagina 39.
4) Confronta I.
Shahak, opera citata, pagine 42, 43.
5) Confronta I.
Shahak, opera citata, pagina 45.
6) Bernard Lazare,
«L’antisemitismo», Centro Librario
Sodalitum, Verrua Savoia, 2000, pagine 100-101.
7) Confronta B.
Lazare, opera citata, pagine 101-102.
8) http://ricerca.gelocal.it/gazzettadimodena/archivio/gazzettadimodena/2009/12/09/DA2PO_LA801.html
9) Gershom
Scholem, «Il Nome di Dio e le teoria cabbalistica del linguaggio»,
Adelphi, Milano, 1998, traduzione di Adriano Fabris, pagina 30.
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