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Il Golem
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Immaginate per un attimo che il ministro Alfano decida di introdurre nella riforma della giustizia i precetti morali contenuti nel catechismo della Chiesa cattolica o le norme giuridiche del Codex iuris canonici.

Vedreste l’intero schieramento politico insorgere, Pannella ululare alla luna (e la luna rispondere), Gad Lerner ricordare vagoni piombati, la Prestigiacomo strapparsi i capelli, Bersani no (è più problematico), il Gran Maestro Raffi evocare lo spirito di Cagliostro, Giulio Giorello quello di Giordano Bruno, il rabbino Di Segni riesumare lo spettro del ghetto, Adriano Prosperi prosperare per almeno cinque articoli su Repubblica, Gianfranco Fini circoncidersi per solidarietà il cuoio capelluto (in certi casi la differenza è irrilevante), Rosi Bindi stracciarsi le vesti... e già questo sarebbe un buon motivo per ritirare la proposta.

L’Unione Europea poi interverrebbe con una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia e proibirebbe di chiamare incroci (in nome della laicità) quelli stradali, per non offendere la sensibilità di nessuno, Bernard Henry Levy scriverebbe un saggio dal titolo «La barbarie dal volto cristiano», Cristiano Malvoglio cambierebbe nome in «Laico» Malvoglio, Alba Parietti cambierebbe fidanzato, Vladimiro Guadagno cambierebbe finalmente sesso, Follini partito, il PD segretario e Massimo Moratti allenatore.

Questo in Italia, con Roma capitale, sede del Vicario di Cristo e successore di Pietro. Ma altrove è diverso.

Prendiamo a caso Israele. Lì, senza che da noi si sia levata alcuna voce di costernazione come accade invece ad ogni starnuto del presidente iraniano Ahmadinejad, il ministro della Giustizia israeliano Ya’acov Neeman, parlando a Gerusalemme davanti ad una nutrita assemblea di rabbini e studiosi dell’Halakha (la giurisprudenza rabbinica) ha espresso l’auspicio che «passo dopo passo noi daremo ai cittadini di Israele le leggi della Torah (la legge biblica contenuta nei primi cinque libri del Tanakh o Pentateuco nda) e faremo dell’Halakha la legge fondamentale dello Stato».

Se accadrà, per far gustare le delicatezze della civiltà giudaica, mi impegno a reperire fondi per pagare all’ex-onorevole Grillini un ticket di prima classe, sola andata (il ritorno - come capirete subito - sarebbe superfluo) sulla prestigiosa compagnia aerea El Al (“אל על”, in lingua ebraica) che significa «verso il cielo» (e mai nome fu più azzeccato), con biglietto di accompagnamento e dedica tratta da Levitico 20, 13: «Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro».

La compagnia El Al augura «Buon viaggio»! Non se la prenda con me il gaio onorevole, che non perde occasione per infamare la Chiesa! Qui da noi ci sono ministri e ministre, di Destra e di Sinistra e persino prelati e alti cardinali disposti a firmare appelli contro l’omofobia. E lì, in Eretz Israel, che deve andare a fare l’eroe fra qualche anno (…con due «enne»).

Alle nostre - come dire - «generose» teen ager (ed anche a quelle dello Stato di Israele) consiglio invece la lettura di Deuteronomio 21: «Se la giovane non è stata trovata in stato di verginità, allora la faranno uscire all’ingresso della casa del padre e la gente della sua città la lapiderà, così che muoia, perché ha commesso un’infamia in Israele, disonorandosi in casa del padre. Così toglierai il male di mezzo a te».

Da Tel Aviv e dintorni è probabile che queste smorfiose smetterebbero di spruzzare insulse vacuità contro Santa Romana Chiesa e di certo, se Ya’acov Neeman andrà al potere, la vendita di jeans a vita bassa e t-shirt a vita alta subirà in Eretz Israel una consistente contrazione. Con un indubbio beneficio almeno per i casi di colite ostinata.

Agli amanti dei tatuaggi consiglierei la lettura di Lv 19:28, ai seguaci di Vanna Marchi la lettura dello stesso capitolo tre versetti dopo, ai cornuti di tutt’Italia la consolazione di Lv 20, 10: «Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l’adùltero e l’adùltera dovranno esser messi a morte».

Come dicono a Napoli «io pazzeio», ma a fronte di ciò vorrei vedere una volta nella vita qualche intellettuale femminista gridare contro l’oscurantismo talmudico-rabbinico (su quello presunto clericale hanno già dato), l’ex-ministra Melandri accavallare le gambe sui divanetti di Porta a Porta per non sostenere più le ragioni dello Stato di Israele e Magdi Cristiano Allam spiegarci perché mai gli islamici no e i giudei sì.

Vorrei che tutti i progressisti di casa nostra, i cattolici adulti, le tonsille di bronzo martiniane insorgessero almeno con un guaito, sia pure afono, contro il ministro israelita e israeliano Ya’acov Neeman, quello che ha detto: «Noi dobbiamo riportare la nazione d’Israele all’eredità dei nostri padri, la Torah ha in sé la soluzione completa di tutte le questioni con le quali ci confrontiamo oggi».

E infine vorrei che i paladini dell’accoglimento di Israele all’interno dell’Unione Europea fossero deportati (si puo dire?) per l’appunto in Israele, quando la proposta verrà approvata.

E non si dica che Ya’acov Neeman è stato subito smentito dai suoi stessi colleghi di governo. Israele è così: nulla avviene all’improvviso, nemmeno lo strangolamento dei palestinesi si è imposto d’un tratto. Israele è il serpente che con le sue spire soffoca lentamente tutto ciò che gli è estraneo.

Il ministro è stato chiarissimo: «Si faccia in modo che la legge della Torah sia la legge di Israele», in un processo da mettere in atto passo dopo passo. «Passo dopo passo» è il metodo giudeo. Ciò che oggi sembra una provocazione, domani diventa un’ipotesi, dopodomani una proposta, poi un oggetto di discussione, infine una realtà. E’ questa a conoscerla e a saperla leggere la strategia del giudaismo, da sempre un metodo che non teme la sfida del tempo.

Quella frase (Hashana haba’a b’Yrushalayim, in ebraico השנה הבאה בירושלים), cioè «l’anno prossimo a Gerusalemme», ripetuta ossessivamente per secoli e secoli dai ghetti del Marocco fin dentro gli inverni gelati della pianura polacca o della steppa russa, è lì a dimostrare che l’ostinazione e la tenacia giudaica non si arresterà che di fronte all’Eternità.

Ci viene insegnato che lo Stato d’Israele nasce col pensiero e con l’azione del Sionismo laico di Theodor Herzl. Ma non è così. Non è un caso che nel XIX secolo l’ipotesi di dare una patria agli ebrei in Argentina o in Uganda fu subito abbandonata. Il Sionismo fu subito confessionale, perché da subito il suo pensiero fu rivolto ad Eretz Israel. Ed Eretz Israel non è un pezzo di terra barattabile con un’altra, non è una dimensione geografica o una astrazione culturale: Eretz Israel è il luogo di elezione di JHW, la Terra che Adonài ha voluto per il suo popolo, la culla di Gerusalemme la Santa, il luogo del Tempio ove con il rituale sacrificio è possibile ottenere la Shekinà, la presenza di Dio in mezzo al suo popolo.

Dicono i Giudei che «La Torah è come l’acqua, la Mischnah il vino, e la Gemarah vino aromatico»: quest’idea è consustanziale ad Israele, ne è il Verbo. Per avere un senso anzitutto avanti se stessi, essi non possono che richiamare questa matrice, non solo la circoncisione (che condividono con gli islamici), non semplicemente la Torah (che è parte dell’Antico Testamento riconosciuto e reinterpretato alla luce di Cristo anche dai cristiani), ma la Torah reinterpretata alla luce dell’Halakhà talmudico-rabbinica e corrotta dalla Gemarah qaballistica.

Dispersi tra le genti, i giudei non sono più in grado di riconoscersi tra loro, se non attraverso la creazione mitologica di quest’unità di spirito, in grado di fondare teologicamente l’unità e elezione di sangue e suolo.

Questa tradizione talmudico-qaballistica è lo spirito oscuro con cui il giudaismo pretende di tornare a plasmare il suo popolo, così come fece, per impedirne ad ogni costo l’assimilazione, fin dai tempi in cui la distruzione del Tempio ad opera dei Romani sembrava essere in grado di farlo scomparire dalla faccia della terra. Contro l’assimilazione al moderno spirito profano, che essi hanno così prepotentemente contribuito a diffondere tra i Gentili, i rabbini d’Israele sono tornati all’opera come per secoli lo sono stati contro le altre fedi. Ed è un’opera che viene da lontano, è il ritorno all’egemonia settaria della loro matrice ideologica e spirituale.

Come scrive Giuseppe Filoramo «Fra la casta dei rabbini e il resto della popolazione ebraica che, non essendo in grado di interpretare la legge, era considerata non istruita e veniva chiamata con disprezzo ‘am ha-àres (popolo della terra, o popolo della campagna), essi eressero una barriera. Molto chiaramente esprime l’opinione negativa che i rabbini nutrivano per chi non apparteneva alla loro casta quel passo del Talmùd (Pesahìm, 49a-b), in cui si raccomandava a un saggio di non sposare mai la figlia di un appartenente al ‘popolo della terra’ basandosi sul divieto biblico (Deuteronomio 27,21), che proibiva l’accoppiamento con un animale» (1).

L’egemonia rabbinica non fu però solo la conseguenza dell’autorità che essi seppero conquistare all’interno del giudaismo, ma anche degli strumenti coercitivi con cui essi combatterono ferocemente ogni forma di diversità dottrinale.

Illuminante a questo proposito è ciò che scrive Israel Shahak: «Il fatto sociale più importante della presenza storica ebraica prima dell’avvento dello Stato moderno è che l’osservanza delle leggi giudaiche, inculcate nei giovani dall’istruzione rabbinica, era imposta agli ebrei con la coercizione fisica (…). Con l’affermarsi dello Stato moderno, la comunità ebraica perse il suo potere di punire e d’intimidire i singoli ebrei. Furono spezzati i lacci di una delle più chiuse ‘società chiuse’, di una delle società più totalitarie di tutta la storia dell'umanità» (2).

In pochi sanno che solo dalla fine del 1700 «per la prima volta dall’anno 200 dell’era volgare (…) gli ebrei di tutta l’Europa, e successivamente di tante altre nazioni, furono liberi di leggere libri in tutte le lingue moderne, di leggere e scrivere libri in ebraico senza l’approvazione dei rabbini, che prima era necessaria per tutte le pubblicazioni in ebraico e in Yiddish, di mangiare cibi non kosher, d’ignorare gli innumerevoli e assurdi tabù sessuali che i rabbini imponevano, persino la libertà di pensare ‘i pensieri proibiti’ che erano considerati peccato gravissimo» (3).


Ne deriva un’immagine del mondo ebraico molto diversa da quella oleografica che ci viene solitamente rappresentata (4). In realtà «tutte le cosiddette ‘caratteristiche ebraiche’ - quei tratti che i cosiddetti intellettuali dell’Occidente attribuiscono ai loro cosiddetti ‘Ebrei’ - sono caratteristiche moderne, sconosciute nella storia ebraica e apparse quando la comunità totalitaria cominciò a perdere il suo potere di vita e di morte (…). Prima del 1780 in Europa, se si fa eccezione per una cultura strettamente religiosa, degradata e degenerata rispetto ai secoli precedenti, tra gli ebrei dominava un profondo disprezzo e odio per ogni forma di sapere, escluso il Talmud e il misticismo ebraico (…). Tra quel mondo di oscurantismo fanatico e le ‘caratteristiche’ attribuite agli ebrei dalla cultura occidentale non c’è nulla in comune al di fuori dell’uso arbitrario del nome (…). Nell’Europa dell’Est, le autorità rabbiniche decretarono che tutti gli studi non talmudici dovessero essere proibiti, anche quando non contenessero qualche specifico oggetto di anatema, perché avrebbero sottratto tempo allo studio del Talmud o all’accumulare il denaro necessario per finanziare poi gli studiosi del Talmud. Restava un’unica scappatoia: il gabinetto, dove anche gli ebrei più pii dovevano inevitabilmente passare un po’ di tempo durante la giornata. In quel luogo impuro, è vietato leggere gli studi sacri, ma era permesso leggere libri di storia, purché fossero scritti in ebraico e non riguardassero questioni religiose, il che voleva dire libri dedicati esclusivamente ad argomenti non ebraici» (5).

All’ebreo che osava attaccare un giudice del tribunale rabbinico venivano mozzate le mani, gli adulteri erano imprigionati dopo che avevano dovuto attraversare il quartiere ebraico con due file di gente che li bastonava e sputava loro addosso. Quando c’erano dispute teologiche, ai sospetti eretici veniva mozzata la lingua.

Làzare, un altro autore ebreo, addirittura arriva a dire che «questi miserabili ebrei, che il mondo intero tormentava a causa della loro fede, perseguitarono i correligionari più duramente, più accanitamente di quanto fossero mai stati perseguitati», ricordando che «quelli che essi accusavano di indifferenza erano destinati ai supplizi più terribili: ai blasfematori si tagliava la lingua; le donne ebree che avevano rapporti con cristiani erano condannate a essere sfregiate ed  erano sottoposte all’ablazione del naso (...). La massa degli Ebrei era (…) caduta interamente sotto il giogo degli oscurantisti; era ormai separata dal mondo, ogni orizzonte era chiuso (6) (...). Nel Talmùd l’ebreo trovava tutto previsto: vi erano indicati tutti i sentimenti e le emozioni, qualunque fossero, e preghiere e formule già pronte permettevano di esprimersi. Il libro non lasciava spazio né alla ragione né alla libertà, perché insegnandolo praticamente si eliminavano la parte di leggenda e la parte gnomica e si insisteva sulla legislazione e il rituale. Con un’educazione di tal fatta l’ebreo non soltanto perse ogni spontaneità e ogni intellettualità, ma vide anche la sua moralità diminuire e indebolirsi» (7).

Tutto ciò apparterrebbe al mondo degli studi accademici, se qualcuno questa tradizione non pensasse seriamente di farla rivivere, allo stesso modo in cui è stata fatta rivivere la lingua ebraica (sostituita nel corso dei secoli da vari idiomi, di cui in primo luogo lo yiddish) e allo stesso modo in cui si ricostruirà il Tempio. Passo dopo passo.

E dietro tutto questo vi è un solo obiettivo: ricostituire il regno di Israele in tutta la sua grandezza ed il suo splendore.

Il giornalista Giancesare Flesca, riportando la notizia della proposta di Ya’acov Neeman, ha acutamente svelato ciò che ci sta dietro: «Se si promette di dare ai cittadini la legge della Torah, le cose si complicano di parecchio. La Torah è la legge per così dire ‘costituzionale’ di Israele, quella che ne stabilisce in base alla storia e alla fede confini indissolubilmente legati al principio della Eretz Israel: la terra dei primi insediamenti ebraici. In altre parole, secondo il racconto del Libro (in gran parte eguale al Vecchio Testamento cristiano), Israele avrebbe diritto non solo ai territori strappati agli arabi nella guerra del 1967, ma anche alla Giordania, al Sinai, alla parte meridionale del Libano. E infine al Golan. Se davvero lo stato ebraico facesse suoi per intero i precetti della Torah, dovrebbe rinunciare per sempre a un qualsiasi progetto di pace» (8).

Insomma è il sogno del Grande Israele.

Leggendo la notizia della proposta di Ya’acov Neeman mi è venuta infine alla mente la leggenda ebraica del Golem. Il termine Golem fa la sua prima apparizione nella Bibbia (Salmo 139,16) per indicare una massa ancora priva di forma, ed è presente nei libri fondamentali della mistica ebraica, lo Zohar (Il libro dello splendore) del XIII secolo, e il Sefer Jezira (Il libro della creazione). Il maestro che volesse formare un Golem, così si racconta, si serviva delle lettere girando attorno alla forma di argilla per un numero di volte preciso, in corrispondenza a tutte le figure citate sul Sefer Yetzirah. Secondo la leggenda il Golem è dunque un gigante di argilla, costruito con le arti magiche della Qabbala, analogamente alla creazione del mondo, avvenuta per un processo di emanazione di ogni cosa dal nome divino.

Scrive Gershom Scholem: «Dio ha creato tutte le cose per mezzo delle trentadue ‘meravigliose vie della sophia’. Queste vie sono costituite dai dieci numeri originari, qui chiamati sefirot, che sono le potenze fondamentali dell’ordine della creazione, e dalle ventidue lettere, cioè dalle consonanti, che sono gli elementi di base di tutto il creato» (9).

Il Golem è dunque un tentativo di imitare l’azione creatrice di Dio, ma in quest’opera in realtà è iscritto un istinto di prevaricazione: ancora una volta l’uomo diventa in tal modo simia Dei. La stessa tradizione del Golem ne è intimamente ben consapevole ed anticipa il tema dell’apprendista stregone, di chi cioè è in grado di evocare forze che poi ad un tratto non riesce più a controllare.

Secondo la leggenda il Golem può essere usato dal suo creatore come suo servo: esso era, infatti, dotato di una straordinaria forza e resistenza ed eseguiva alla lettera gli ordini del suo padrone, ma era incapace di pensare, di parlare e di provare qualsiasi tipo di emozione perché era privo di anima e nessuna magia fatta dall’uomo sarebbe stata in grado di fornirgliela.

Tra le leggende diffuse nella comunità ebraica di Praga si narrava che nel XVI secolo il rabbino Jehuda Löw ben Bezalel avesse costruito davvero dei Golem e li avesse animati scrivendo sulla loro fronte la parola «verità» [in ebraico אמת (emet)].

Ma i Golem presentano un inconveniente: diventavano sempre più grandi, finché è impossibile servirsene. Così il rabbi decideva di tanto in tanto di disfarsi di quelli più grandi, togliendo la lettera מ dalla parola אמת (emet) scritta sulla fronte e trasformando quella parola in מת (met), che significa morte.

Ma vi è un altro aspetto inquietante nella leggenda del Golem che appare di straordinario interesse: esso sarebbe stato creato come una sorta di angelo vendicatore per la difesa degli ebrei dalle persecuzioni.

Questa idea rimanda all’ideologia dominante secondo cui lo Stato di Israele altro non sarebbe che il gigante forte che deve difendere gli ebrei del mondo da un nuovo imminente possibile olocausto. Non è forse questa la giustificazione per cui esso può possedere 300 atomiche e l’Iran nessuna?

Ora davvero il Logos, la Parola, è costitutiva della realtà. Dio infatti crea per mezzo del Verbo. Ma ciò vale anche per le nostre parole, che creano, forgiano, plasmano la realtà.

Per questo le parole di Ya’acov Neeman sono inquietanti: come ha scritto il giornalista Giancesare Flesca, se davvero lo Stato ebraico facesse suoi per intero i precetti della Torah, interpretata alla luce della tradizione talmudico-cabalistica, dovrebbe rinunciare per sempre a un qualsiasi progetto di pace.

Da quando il Sionismo ha gettato la maschera laica per aprire la strada al fanatismo fondamentalista della matrice talmudico cabalistica, «passo dopo passo» lo Stato di Israele palesa sempre più la sua vera natura ed il carattere titanico ed anticristico della verità che gli è scritta in fronte.

Come nella leggenda la verità conosciuta dal rabbino ed iscritta sulla fronte anima il gigante di argilla per trasformarlo nel Golem, così la matrice talmudico cabalistica ha animato e continua ad animare la massa informe di genti che hanno attraversato i secoli dalla distruzione del Tempio fino ad oggi, facendo vivere quello Stato, che appare a molti ebrei non solo come l’inveramento della promessa messianica, ma come l’angelo vendicatore degli ebrei nel mondo che vorrebbe sterminarli.

Questa stessa matrice ha fatto sì che dopo la proclamazione dello Stato di Israele l’aumento di potenza e grandezza di questo Golem rischi sempre più sfuggire di mano al suo creatore. Vi sarà un solo modo per fermarlo: sottrarlo al monopolio di questa «verità» (אמת) che gli è scritta in fronte. Ma questo, come nella leggenda del Golem vorrebbe dire la sua morte (את) e la fine stessa del giudaismo.

Ben lo sanno da secoli i rabbini. Dopo la leggenda di rabbi Löw ben Bezalel se ne diffuse già nella Polonia del ‘600 un’altra, documentata in una lettera datata 1674, che raccontava di un Golem creato da rabbi Elija Ba’al Schem di Chelm che crebbe a dismisura, diventando una minaccia ingovernabile per il suo padrone. Per risolvere il problema il rabbi pretese che il Golem gli togliesse le scarpe e nel mentre gli cancellò dalla fronte l’aleph. Il Golem morì e ricadde su se stesso, travolgendo però il Rabbi con la sua massa informe.

Chi ha animato il Golem ora non può che lasciarlo crescere, per non morire egli stesso, ma nel contempo perdendone il controllo. Per questo sosteniamo che lo Stato di Israele è lo Stato più pericoloso e pericolante della Terra.

Domenico Savino




1
)
Confronta Giuliano Tamani, «Il Giudaismo nell’età tardo-antica», in Aa.Vv., «Ebraismo», a cura di Giovanni Filoramo, Laterza, 1995, pagine 126-127
2) Confronta Israel Shahak, «Storia ebraica e Giudaismo. Il peso di tre millenni», Centro Librario Sodalitium, Verrua Savoia, 1997, pagina 37.
3
) Confronta I. Shahak, opera citata, pagina 39.
4
) Confronta I. Shahak, opera citata, pagine 42, 43.
5
) Confronta I. Shahak, opera citata, pagina 45.
6
) Bernard Lazare, «L’antisemitismo», Centro Librario Sodalitum, Verrua Savoia, 2000, pagine 100-101.
7
) Confronta B. Lazare, opera citata, pagine 101-102.
8
) http://ricerca.gelocal.it/gazzettadimodena/archivio/gazzettadimodena/2009/12/09/DA2PO_LA801.html
9
) Gershom Scholem, «Il Nome di Dio e le teoria cabbalistica del linguaggio», Adelphi, Milano, 1998, traduzione di Adriano Fabris, pagina 30.



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