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Quando tornerà il Figlio dell’Uomo
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Spero nessuno si aspetti da me un commento sulla rinuncia di Benedetto XVI. Non ho notizie diverse da quelle di tutti voi. Né mi va di contribuire al chiacchiericcio mediatico, ai giudizi (molti) temerari, e – spaventevole a dirsi – alle derisioni c he hanno accompagnato l’evento e la persona («Papus Interruptus», se la ride il francese Libération, organo della sinistra al caviale stipendiato da Rotschild).

Non ci sono analisi da fare, al di là di un costernato silenzio. La crisi della Chiesa e l’abbandono della fede sono fatti evidenti. «È il popolo che ha abbandonato la Chiesa o è la Chiesa che ha abbandonato il popolo?»: questa frase di don Giussani attende ancora una risposta. Il residuo «popolo» è fratturato in gruppi incomunicanti, ciascuno coi suoi riti, linguaggio e sistema di credenze, alcuni dei quali hanno metodi di reclutamento «americani», da born again christians o da «alcoholics anonimous», e liturgie di loro invenzione. Neocatecumenali, pentecostali, ciellini, lefebvriani... che esista ancora un’unità dottrinale, poniamo, che colleghi l’Opus Dei e i seguaci di Kiko Arguello, è estremamente dubbio.

Che questa inconciliabilità esploda alla luce, temibilmente probabile. Il pericolo che queste fratture diventino «chiese» settarie, è presente. Che la patologia dipenda dal Concilio Vaticano ultimo, è un fatto – che viene negato, oppure salutato come «profetico» e benefico. Salgono le voci che esigono «un nuovo Concilio», e pretendono «più collegialità»: sorde al fatto che Cristo non ha istituito un collegio, che le conferenze episcopali sono «unioni di fatto» senza alcun fondamento teologico, né che come diceva il cardinale Oddi, sardonico e teologicamente inconcusso: «Il solo caso di collegialità che si trova nel Vangelo è raccontato con questa frase: “...E tutti i discepoli, abbandonato Gesù, fuggirono»: Matteo 26, 56. La mancanza di vocazioni è già tragica, presto ci mancherà il prete che ci dia la Comunione.

Io spero solo che non tocchino l’Eucarestia, che vedo già in pericolo in molte chiese. Bisogna pregare molto, lo dico a me stesso più che a voi. La sensazione generale è che questa non sia una svolta, ma un capolinea.

Mi si citano profezie di sventura, Akita, Garabandal, Fatima, Medjugorje. Le ascolto, come tutti, come annunci inquietanti, ma ricordo a me stesso che in certi momenti le «profezie» possono essere utilizzate per diffondere suggestioni collettive, nel senso desiderato da poteri nient’affatto «secolarizzati», che non hanno per nulla rinunciato ai loro antichi «rituali», e non li ritengono affatto superati nella loro funzione di evocatori di Potenze, le Potenze omicide che agiscono nel buio.

Un padre francescano, santo, dice invece: «È tutta luce». Ciò che cadrà, era ciò che doveva cadere, come le foglie secche del vecchio albero. È la speranza a cui mi aggrappo. La questione è nelle mani di Dio. Cerchiamo di sorvegliare noi stessi, nei tempi imminenti che saranno difficili.

Mi basta la profezia di Cristo: «Quando tornerà il Figlio dell’Uomo, troverà ancora la fede sulla Terra?». È una domanda che pongo anzitutto a me: quando tornerai, Figlio dell’Uomo, troverai ancora la fede in Maurizio? Come vorrei poter rispondere «Sì», con slancio, senza esitazione, con piena infantile fiducia. Invece dico, come quel poveraccio del Vangelo: «Signore credo, ma tu sostieni la mia incredulità!».

Chi ha fede preghi molto, e preghi anche per me.



Associazione culturale editoriale EFFEDIEFFE


 
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