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Dilaga la demenza strategica
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Alla fin fine, eurocrati, banchieri e la bottegaia tedesca sono riusciti a farlo di nuovo. L’avevano fatto con la Grecia, trasformare un modesto problema risolvibile con 15 miliardi, in una piaga cancerosa in cui abbiamo versato 400 miliardi (60 noi italiani), perché i tedeschi volevano punire i greci, e nascondevano col moralismo il loro braccino corto. Con Cipro, si pensava avessero imparato dall’esperienza. Oltretutto, la taglia di Cipro è quella di un atomo: il suo Pil, per dire, è l’1%di quello italiano.

Perseverare diabolicum

Macché: Bruxelles e Francoforte sono riusciti nello sforzo erculeo di mutare un problema microscopico in una bomba atomica innescata che ha la potenzialità di distruggere la loro cara creatura, l’euro, con annessa l’eurozona.

Ricapitoliamo: Cipro ha bisogno di 17 miliardi. La cosiddetta Europa gliene concede 10, ma i bottegai tedeschi pretendono che altri 5 o 6 Nicosia li prenda dalle tasche dei suoi depositanti. Sei miliardi, fa notare il professor Piga, sono meno dell’1 per mille del Pil europeo, e dice: «Per un piatto di lenticchie che non abbiamo voluto mettere a disposizione dei cittadini ciprioti (manco fosse colpa loro la cattiva sorveglianza del sistema bancario locale e dei suoi eccessi, e che le autorità europee non c’entrassero per nulla) ci ritroviamo» con due conseguenze:

1) È stata eliminata qualsiasi idea di solidarietà europea, con l’effetto di diffondere il già altissimo risentimento verso il progetto europeo alla Monnet, quello stesso che gli eurocrati si sono dati la funzione di completare.

2) Aver mandato urbi et orbi ai «mercati» mondiali il segnale che nessun deposito bancario in Europa è più garantito, che può essere saccheggiato da prelievi forzosi; che i depositanti possono essere costretti a pagare per le follie del sistema bancario, per il quale non pagano azionisti e manager.

Detto altrimenti: la UE ha lasciato fare alle sua banche quello che hanno voluto; prendere rischi mostruosi (che ha portato alla crisi dal 2008), e nel caso di Cipro, lasciare che quelle banche riciclassero il denaro di oligarchi e mafiosi russi. Poi, ha salvato le banche senza esigere la minima contropartita ai banchieri e azionisti. E di botto, scopre che a Cipro si ricicla, e dunque che è indegna di restare in Europa, questo diadema di ogni moralità...

Sul punto 1 sarebbe da attrarre l’attenzione del nostro «mondo politico» che – destra, sinistra e centro – è tutto schierato eroicamente sulla linea: «Mai uscire dall’euro! Sarebbe una catastrofe! Restare in Europa ci protegge...». Vorremmo far ragionare i nostri politici (ah, avercene!): se la Bottegaia di Berlino ha voluto risparmiare l’1 per mille del Pil dell’area euro, e per tirchieria così minima ha trasformato un petardo in una bomba atomica, come potete mai credere che Berlino «ci aiuterà» quando «la solidarietà europea» chiamerà i tedeschi a contribuire ai salvataggi di Spagna e Italia, che ammonterebbero a cento volte quello c he non hanno voluto dare a Cipro? (1)

Meglio prenderne atto e prepararsi l’uscita, prima che le inutili austerità dettate dai tedeschi ci abbiano completamente desertificato, ridotto ad un popolo di disoccupati e di razzolatori nella spazzatura.

Ma per questo, occorrerebbe disporre di statisti. Dotati di una visione strategica all’altezza della crisi. Qualcosa che manca in modo da far paura. Manca dovunque, ed è questo a terrorizzare: non solo a Roma. Anche a Bruxelles, a Berlino e a Francoforte dove si vive alla giornata e si continuano ad applicare ricette già dimostrate controproducenti, tanto per guadagnare qualche mese, provocando disastri inavvertiti, e nel frattempo facendo avanzare con mezzucci surrettizi l’agenda massonica di Jean Monnet, che essendo del 1948 avrebbe almeno bisogno di una revisione.

Dedefensa paragona le continue affermazioni nella UE dei tedeschi – a cui siamo tutti ridotti a leccare gli stivali sperando (invano) che aprano il portafogli e che quindi spadroneggiano e fanno i maestri – alla «strategia della Marna». Bisogna essere francesi per apprezzare l’ironia: nel 1914, all’inizio della Grande Guerra i comandi tedeschi adottarono il «piano Schlieffen» (dal nome del maresciallo che l’aveva concepito) con perfezione geometrica. Il piano contemplava ridurre alla resa i francesi in sei settimane di guerra-lampo, e poi volgere le potenti armate contro la Russia, onde non cascare di nuovo nel tipico errore militare germanico: la guerra sui due fronti. Con una serie di avanzate impressionanti, i tedeschi penetrarono nel territorio francese come nel burro, fino a vedere i tetti di Parigi. Sul fiume Marna, insperabilmente, i francesi resistettero e bloccarono l’avanzata. Il piano Schlieffen era diventato carta straccia, ma non ce n’era un altro. Da quel momento in poi, i tedeschi non ebbero più alcun piano strategico; solo una serie ininterrotta di eccezionali vittorie tattiche... fino al disastro strategico finale, la resa senza condizioni per aver esaurito la popolazione in età di leva, falcidiata dai «successi».

Il tragico – o tragicomico – è che anche nel vasto mondo globale acuti e qualificati osservatori notano lo stesso vuoto. Il viaggio del presidente Obama in Israele: a celebrare l’alleanza per sempre, «l’eterna amicizia», e nei fatti, la capitolazione di una presidenza che aveva suscitato emozioni nel mondo islamico, speranze e primavere arabe. Il professor Stephen Walt (il co-autore con Mearsheimer del famoso «The Israeli Lobby») vi vede molto di peggio: la «visione a tunnel» dell’Establishment USA, il «vuoto strategico» in cui galleggia la Casa Bianca anche verso la Siria.

«La superiorità militare USA», scrive Walt, «da’ ai presidenti la libertà di scatenare guerra a scelta (o a ghiribizzo)... Abbiamo anche droni e forze speciali che ci permettono di condurre atti di guerra senza che altri se ne rendano pienamente conto. Ieri: Kosovo, Colombia, Iraq, Libia. Oggi: Afghanistan, Yemen ed altri posti. Domani forse, Siria o Mali. (Tutto ciò però) non costituisce una strategia. È il tipo di attitudine che ci ha portato in Iraq», a spendere quasi mille miliardi di dollari in dieci anni di occupazione, centinaia di migliaia di morti, devastazioni inenarrabili, senza una specifica risposta sul «cosa farne». (The dearth of strategy on Syria)

Potrà essere singolare, ma lo stesso tipo di lagnanza viene da ben sei capi dello Shin Beth, il controspionaggio interno israeliano, che si sono succeduti alla testa di questa superpolizia dal 1989 al 2000. Impegnati giorno per giorno nella persecuzione e tortura (leggi: interrogatori) dei militanti palestinesi, e nella selezione di infiltrati nelle file nemiche, costoro – rivela un importante speciale tv mandato su ARTE, The Gatekeepers, hanno sempre chiesto invano ai capi politici delle regole e degli scopi . Ami Ayalon, capo dello Shin Beth dal ’96 al 2000, ha dichiarato: «La maggior parte delle battaglie che conduciamo non porta a niente, perché perdiamo la guerra». Yaakov Peri (1988-1994) ha raccontato di non aver mai ricevuto durante il suo mandato alcuna consegna. «Non sapevamo in quale direzione andare. Era sempre tattica, mai visione strategica». (The Gatekeepers)

La valutazione che Vladimir Putin dà delle politiche occidentali è ancora più netta. L’ha spiegata in un denso articolo Fiodor Lukianov (la traduzione integrale verrà pubblicata a breve, ndr), un insider che riflette i sentimenti del Cremlino: è il presidente del Consiglio per la Politica Estera e Difesa, e dirige il journal Russia in Global Affairs.

Quos vult perdere, Deus dementat

Lukianov ha spiegato come i dieci anni di guerra americana in Iraq abbiano cambiato le convinzioni del capo. «Nel 2001-2002, Putin sperava sinceramente nella cooperazione con gli Stati Uniti in Afghanistan» (tanto più che l’oppio afghano inondava i territori dell’ex-Urss, ndr). Dopo la «rivoluzione arancione» in Ucraina, la guerricciola in Georgia e gli altri atti ostili dell’America contro Mosca, Putin ha cominciato a vedere la destabilizzazione cui si abbandonava Washington meno sotto l’aspetto delle relazioni russo-americane, e più come l’idea generale che si sarebbe affermata nel 21mo secolo: «I forti fanno quello che vogliono, senza curarsi del diritto internazionale, della realtà globale e dei costi che infliggono a se e ad altri...». Oggi, dopo l’invasione della Libia, l’attacco alla Siria, gli appoggi dati agli islamisti in Egitto, Siria, Libia eccetera, la conclusione di Putin è ancora maturata. La postiamo qui in grassetto:

«Oggi, (Putin) non solo crede che i forti fanno quello che vogliono, ma anche che non capiscono ciò che stanno facendo».

Infatti, al Cremlino non è chiaro «che vantaggio gli americani abbiano tratto» dall’occupazione dell’Iraq , dall’incitamento ad abbattere i regimi laici nel mondo islamico, e dalle alleanze con i terroristi musulmani con il dichiarato scopo di portare «la democrazia» in quei Paesi, sulle scimitarre dei wahabiti. «Dal punto di vista della leadership russa, la guerra irachena appare oggi come l’inizio della distruzione della stabilità locale e globale, sempre più accelerata, che mina alla base gli ultimi fondamenti di un ordine globale sostenibile... è la prova di una insanità strategica da cui è posseduta l’ultima superpotenza rimasta».

La parola è detta: «Demenza Strategica» (strategic insanity) è quella che Putin vede dilagare in Occidente senza più freno. Il trattamento di Cipro e dei depositi russi nell’isola da parte dell’Europa, non ne ha potuto che confermare la convinzione.

E il Cremlino, una volta elaborata la diagnosi, sta prendendo le necessarie misure politiche. Fra cui c’è la decisione – dice Lukianov – di rafforzare il sostegno al regime di Assad in Siria. Perché «Mosca è certa che se si lasciano schiacciare uno dopo l’altro i regimi laici autoritari perché USA ed Occidente sostengono “la democrazia”, ciò porterà ad una tale destabilizzazione che annienterà tutti, Russia compresa. È dunque necessario che la Russia resista, specialmente dato che crescono dubbi anche in Occidente e in USA». Insomma Mosca aspetta che rinsaviamo, e intanto si arma e stringe rapporti più stretti, strategici, con la Cina.

Nel frattempo, il Libano è coinvolto e destabilizzato nella rovina della Siria, centinaia di migliaia di profughi siriani sono accampati in Giordania, l’Iran resta il bersaglio di Israele per la prossima guerra, e non è chiaro se Obama sia andato a capitolare su questo punto. E nell’economia, il capitalismo s’è trasformato nella macchina per concentrare tutta la ricchezza in alto, fino a quando l’1% possiederà tutto e il 99% nulla; la banche condizionano gli Stati; i miliardari hanno provato a Cipro il loro primo «esproprio proletario» e la socializzazione dei risparmi altrui a loro vantaggio; seguirà il controllo sui movimenti dei capitali, il divieto di tenere contanti o oro, la sostituzione delle banconote con altre di disegno diverso, per far «saltar fuori» i soldi sotto il materasso... insomma il sovietismo a favore degli usurai (2).

E la demenza strategica ci lascia senza difensori. Un giorno dovremmo chiederci che cosa è marcito nella nostra «selezione delle élites» occidentali, per aver prodotto queste figure minime e fattele ascendere al timone». La selezione in base al denaro, l’abbiamo vista in USA. La selezione per cooptazione fra eurocrati, è ovvio che portasse a gentucola come Van Rompuy, Barroso e Mario Monti: questi si selezionano e si promuovono fra loro, senza controllo, e non penserete mica che scelgano qualcuno migliore di loro. Ma anche la democrazia, come selezione, ha fallito, e di questo siamo la causa noi. Noi come «maggioranza», come «uomo massa liberato» da ogni responsabilità, sicuro che il benessere continuerà mentre gli stanno portando via il lavoro e il conto in banca. Noi con l’ipnosi da tv, noi dell’Isola dei Famosi, noi delle tifoserie calcistiche; noi che facciamo la ruota su Facebook, esprimiamo il nostro narcisismo e spariamo le nostre «opinioni» su Tweet; noi consumatori compulsivi per riempire un vuoto che non vogliamo sentire. Noi, che «politici» volete che selezioniamo?

A questo tipo di noi, piacciono quelli che ci dicono: tranquilli, nulla di tragico può accadervi; abbiamo la Scienza, la Sanità, lo Stato Sociale, l’Euro, l’Europa. Ci siamo lasciati addormentare. E il disastro è arrivato, e i risvegli sono ancora sporadici, e nessuno è preparato per il peggio.




1) A queste conclusioni, più lucido di Bersani-Monti-Berlusconi, è giunto il patriarca ortodosso di Cipro, Chrysosthomos: «Con simili comportamenti l’euro non può duarre. Non dico che collasserà domani, ma con i cervelli che hanno aBruxellles è certo che a lungo termine non durerà, ed è meglio pensare al modo di scapparne fuori». Chrisosthomos significa «Bocca d’Oro».
2) Istruttive in questo s enso le dichiarazioni di Jyrki Katainen, primo ministro finlandese, schierato coi tedeschi sulla mano dura contro i ciprioti: «In una economia di mercato normale – ha pontificato – un investitore ha sempre il rischio di perdere i suoi soldi: i proprietari di una banca, gli investitori ed anche i grossi depositanti – che si possono considerare degli investitori – si prendono le loro responsabilità in un modo o nell’altro». Questa equiparazione (o confusione interesata) dei depositanti con gli investitori è tipica del capitalismo divenuto sovietismo delle banche: « Siamo tutti capitalisti adesso, no? Tutto è in comune. Anche voi risparmiatori, accollatevi le nostre perdite». Il richiamo all’economia di mercato e ai suoi sani principii è ridicolo in questo contesto: azionisti ed invetsitori e grandi creditori non sono stati chiamati a contribuire alle perdite, ed è precisamenbte questo a rendere insanabile il problema europeo.



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