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Dispetto davidico
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Israele è pronta alla guerra contro l’Iran, ha detto Moshe Yaalon, vice-premier di Netanyahu. Anzi, contro tutti.

«Le nostre capacità tecnologiche, migliorate negli ultimi anni, hanno aumentato il raggio delle nostre capacità di rifornimento in volo. Questa capacità può essere usata per una guerra al terrore a Gaza (sic), per una guerra contro razzi dal Libano, per una guerra contro l’esercito convenzionale siriano, per una guerra contro uno Stato periferico come l’Iran». (Israel primed for war on Iran: Netanyahu deputy)

E’ la rabbia, è il dispetto: il successo diplomatico del brasiliano Lula da Silva e del premier turco Erdogan, che hanno convinto Teheran allo scambio controllato del suo uranio al 5% con uranio al 20% per un reattore ad uso medico, arricchito da altri Paesi, è visto da Israele (e da Washington) come un ostacolo alle sanzioni «invalidanti» che volevano ad ogni costo imporre. E a ragione: Mosca ha subito elogiato Erdogan e Lula, il che significa che, al Consiglio di Sicurezza ONU, non darà il suo voto all’embargo; la Cina farà quasi certamente lo stesso.

Il successo della diplomazia di Paesi non-allineati è sentito come una disfatta del sistema della diplomazia di minaccia a cui gli israeliani, manovrando il loro fantoccio americano, s’erano abituati. Volevano isolare l’Iran e fare del suo regime il paria fra le nazioni? Il presidente Lula e il primo ministro Erdogan sono solo due dei quindici capi di Stato e di governo che si sono dati appuntamento a Teheran  per un G-15 dei non allineati: erano rappresentati al più alto livello India, Egitto, Indonesia, Argentina, Venezuela, Cile, Malaysia, Sri Lanka, Messico... tutti a cercare contratti di cooperazione economica Sud-Sud, il contrario delle sanzioni paralizzanti.

Per esempio, il colosso indiano Tata ha investito in acciaierie, altre compagnie indiane (Ircon e Rites) stanno creando un vasto terminale  per cointainer a Chahbahar nell’Iran meridonale, il Venezuela ha messo 760 milioni di dollari nei giacimenti di South Pars e altri 700 milioni in una joint-venture petrolchimica a Assaluyeh.

«Gli iraniani hanno manipolato la Turchia e il Brasile», ha detto un (anonimo) alto politico israeliano all’agenzia AFP. «Gli iraniani hanno fatto questo trucco già in passato, fingono di accettare questa procedura (lo scambio di materiale) per abbassare la tensione e ridurre il rischio di più dure sanzioni internazionali, ma poi non eseguono».

Rabbia e dispetto. «E adesso, si bombarda Ankara e Brasilia?», si diverte il sito Dedefensa, valutando l’evento «un attacco obbiettivo contro il dominio americano-occidentalista».

Il Messia di se stesso scopre che la propria onnipotenza ha un limite. Le 2-300 testate nucleari e la pratica della minaccia non paiono più il sostituto dei rapporti internazionali che Israele ha trascurato, moltiplicando schiaffi, sgarbi e umiliazioni alla Turchia e persino al servo americano. Esiste anche un altro modo di stare al mondo, oltre «la guerra mondiale contro il terrore»: un modo fatto di incontri, di cordiali convergenze alla pari, e di buoni affari.

E’ un rovesciamento strategico, afferma Thierry Meyssan dal Libano, che ne addossa i motivi alla cecità e arroganza di Us-rael.

Anzitutto, il fatto che gli occupanti americani dell’Iraq abbiano promosso la semi-indipendenza del Kurdistan iracheno, assistito da torme di «consiglieri» militari israeliani. La nascita di questo quasi-Stato petrolifero (dove sono i curdi ad ammazzare i cristiani, per obbligarli a sloggiare: vera pulizia etnica di marca israeliana) ha avvicinato i paesi che hanno in casa un problema curdo: la Turchia alle prese coi terroristi secessionisti del PKK, l’Iran con i suoi curdi (Pejak) e la Siria. Persino i comandi del potente esercito turco, benchè dunmeh, sono oggi costretti a valutare cosa significa l’aiuto dato sottobanco da Israele ed USA al PKK: la NATO non è più garante dell’integrità territoriale turca.

L’alleanza Iran-Siria diventa ogni giorno più chiaramente un triangolo: Iran-Siria e Turchia. Un’alleanza, nota Meyssan, che «dispone di una legittimità storica senza pari». La conseguenza della caccia al baathista e delle sanguinose epurazioni dei dirigenti baathisti operate dagli assassini giudaici hanno avuto l’ovvia coneguenza: adesso sono gli sciiti a dominare il gioco in Iraq, e l’Iran è la guida degli sciiti nel mondo. La caccia al baathista ha reso la Siria l’ultimo Stato laico in questa parte del Medio Oriente.

Quanto alla Turchia, porta all’alleanza la sua eredità (e le sue ambizioni rinnovate) ottomane: come il califfo di ieri, Erdogan è oggi il garante e il modello dei sunniti. Ciò significa che la politica della strumentalizzazione dell’inimicizia sunnita e sciita, sui cui aveva puntato US-rael, sta fallendo; al contrario, la cordiale apertura di Erdogan (che si estende, lungimirante, anche all’Armenia cristiana) favorisce una – sperata – fine della «fitna», la spaccatura storica sciiti-sunniti. E i segni si vedono già: re Abdallah, il sovrano saudita, invita Ahmadinejad a partecipare con lui al pellegrinaggio alla Mecca. In Libano, il clan Hariri (che dipende dai sauditi) viene discretamente invitato a stabilire buoni rapporti con il siriano Assad, mentre la strada del governo di unità nazionale in Libano – con il sunnita Hariri, Hezbollah e i cristiani di Aoun – sembra d’improvviso più piana. E il siriano Assad, nel febbraio scorso, ha sfidato le minacce di Hillary Clinton ricevendo in pompa magna il capo di Hezbollah Nasrallah e Ahmadinejad, insieme, lo stesso giorno. Washington non ha potuto far altro che reiterare le minacce, e mantenere la Siria nella lista degli Stati soggetti ad embargo. (Basculement stratégique au Proche-Orient)

Khaled Mechaal
   Khaled Mechaal
Ma Assad, adesso, compra aerei militari ed armamento da Mosca. La quale sta accelerando l’approntamento della sua nuova base navale nel Mediterraneo, a Latakia in Siria. La Russia entra a piè pari nel vuoto di potere americo-israeliano nell’area. Un segnale importante è il fatto che Medvedev ha ricevuto recentemente a Mosca Khaled Mechaal, uno dei capi di Hamas (continuamente braccati dai kidonim di Giuda), che lo stesso Medvedev aveva rifiutato per tre volte di incontrare in passato; ed ha persino evocato la grave situazione umanitaria di Gaza, deplorando «l’indifferenza» di Washington su tale problema.

La Russia promuove la soluzione «a due Stati» del problema palestinese, e quindi  fa la sua parte per arrivare ad una riconciliazione fra Hamas e Fatah. Quanto ai rapporti fra Mosca ed Ankara, registrano una cordialità mai vista nella storia dei due Paesi, da sempre ostili. Oggi un turco può andare in Russia senza visto, cosa che non può fare nell’Unione Europea. Ed Ankara sta trovando nel vasto Oriente asiatico, in gran parte ex-ottomano,  il compenso alla chiusura della porta europea. Erdogan, beninteso, continua a bussare alla porta: ma oggi non ha più l’aiuto della nota lobby, così potente nelle capitali e a Bruxelles.

E’ per questo che il generale David Petraeus, il capo del Central Command, s’è unito ai vari critici dell’alleanza-subordinazione con Sion (Walt e Mearsheimer non sono i soli) per avvertire il Congresso che a forza di favorire i giochi di Israele in Palestina e in Iraq, gli interessi  americani  nell’area sono stati gravemente pregiudicati.

Eric Holder
   Eric Holder
Come reagisce Israele? Accentuando le minacce e la paranoia, mobilitando le sue lobby in Occidente fino al parossismo. Un esempio: in USA, un procuratore ebreo, Neal Sher, ha intimato per lettera ad Hillary Clinton, alla ministra della Homeland Security Janet Napolitano, all’attorney-general Eric Holder, di infliggere lo status di «persona non grata» – e dunque di vietare l’ingresso in USA – al giudice Richard Goldstone. Ossia al firmatario del rapporto ONU che ha documentato le atrocità e i delitti contro l’umanità commessi dal regime isareliano a Gaza. Ebreo, personaggio altamente stimato in tutto il mondo, ex giudice della Corte Costituzionale sudafricana, poi presidente del tribunale dell’Aja sui crimini serbi, Richard Goldstone – secondo Sheer – è stato giudice nel Sudafrica ai tempi dell’apartheid, ha condannato a morte alcuni negri (omicidi, terroristi) e dunque è un «razzista», per giunta «moralmente turpe».

E’ evidente il tentativo israelita di demolire la figura di Goldstone. Sher sa per esperienza che Washington obbedirà: è stato un direttore dell’AIPAC (la lobby che controlla il Congresso) e, come ex direttore dell’Office for  Special Investigation nel dipartimento della Giustizia, ha fatto espellere decine di veri o presunti criminali nazisti riparati in America. Un suo grande successo fu la riduzione a criminale di guerra, e quindi sulla lista delle persone che non possono entrare in USA, del presidente austriaco Kurt Waldheim. Anche Sher ha avuto qualche intoppo giudiziario, essendo stato inquisito per appropriazione indebita di fondi dela Commissione Internazionale sulle richieste di risarcimento dell’età dell’olocausto. Ma è stato dichiarato kosher. Potrà dunque intimidire e demolire il rispettato giudice Goldstone, ma con qualche ulteriore effetto collaterale per la reputazione  della lobby. (Attorney seeks to bar Goldstone from US)

Noam Chomsky
   Noam Chomsky
La reputazione di Israele, non altissima dopo il genocidio di Gaza, ha subìto un altro duro colpo, o autogol, quando il suo ministero dell’Interno ha respinto alla frontiera Noam Chomsky, il linguista  del MIT e ideologo della sinistra americana, nonchè ebreo, che veniva dalla Giordania a Ramallah (Cisgiordania occupata, futuro Stato palestinese) per tenere una conferenza all’università  palestinese Bir Zeit e visitare Hebron.

Chomsky, 81 anni, è stato trattenuto alla frontiera e sottoposto per tre ore ad interrogatorio, prima di vedersi stampato sul passaporto «Entrata Negata». E’ il tipo di interrogatorio che i giornalisti che entrano in Israele conoscono bene, ma vale la pena di riportare dal resoconto di Chomsky:

«Il funzionario leggeva le domande da un testo che gli era stato dettato... mi ha chiesto perchè facevo una conferenza solo a Bir Zeit e non in una università Israeliana. Ho risposto che ho fatto varie conferenze in Israele. Il funzionario ha letto dal testo la seguente  dichiarazione: “A Israele non piace quello che lei dice”. Ho risposto: “Mi trovi un governo al mondo a cui piace”. Il giovane funzionario mi ha chiesto se mi era stato negato l’ingresso in altri Paesi. Gli ho risposto: una volta sola, in Cecoslovacchia, dopo l’invasione sovietica del 1968. Volevo andare a trovare lo spodestato premier ceco Alexander Dubcek, le cui riforme i sovietici schiacciarono».

Cacciato alla frontiera e tornato ad Amman (la Giordania lo lascia entrare), Chomsky ha reso pubblico il suo giudizio sulla vicenda: «Metodi da Stato staliniano».

Paragone sbagliato, diremmo. Lo ha rivelato senza volerlo Chomsky stesso, quando ha detto ad Haaretz che il suo arrivo era noto alle autorità, «perchè nel momento stesso in cui sono entrato nell’ufficio passaporti il funzionario mi ha detto che era onorato di incontrarmi e che aveva letto le mie opere».

Ebbene: non facevano così certe SS, colte, nutrite di Schopenhauer e di Brahms, e magari pronte a discutere in greco o in ebraico con le loro vittime? Persino l’agenzia israeliana Ynet.news si domanda se Israele non stia diventando uno Stato fascista.

«In Israele il governo ha cominciato a minacciare  la libertà di coloro che vengono percepiti come “altri”. Non c’interessa più quel che “altri” hanno da dire, per non parlare del loro diritto di vivere qui. Li vogliamo fuori. Perseguitiamo “gli altri” sulla base di generalizzazioni, sospetti, pregiudizi, o anche solo perchè ci danno fastidio. La polizia arresta con falsi pretesti manifestanti che protestano per (l’insediamento ebraico) di Zheikh Jarra a Gerusalemme est. Un tribunale espelle una lavoratrice straniera incinta perchè non faccia nascere un figlio straniero in Israele... Abbiamo persino espulso dei clown che volevano partecipare a un festival a Ramallah, abbiamo paura anche di quelli. E’ un denominatore comune allarmante. Quando scompare la libertà, ciò avviene prima a danno dei gruppi deboli, dei marginali o delle minoranze. Ma non finisce lì. Ora cominciamo a reprimere anche intellettuali riconosciuti a livello mondiale... la decisione di silenziare Noam Chomsky è un passo per mettere fine alla libertà nello Stato d’Israele. Non voglio portare munizioni a chi stoltamente dice che Israele è fascista, ma esprimo il timore che siamo avviati su quella strada». (Decision to keep Prof. Chomsky out another threat to Israel’s freedom)

Buona analisi, parola sbagliata. Non si dice «fascista», ma «nazista». Secondo la definizione che ne diedero i vincitori a Norimberga. Vediamo: uno Stato dove il razzismo è istituzionale, tanto che dà la cittadinanza solo a chi dimostra di avere una mamma o una nonna di sangue della razza eletta, e non naturalizza mai chi non sia della razza superiore.

Uno Stato che non integra la sua minoranza, per «preservare carattere ebraico dello Stato di Israele», frase equivalente all’altra: «preservare il carattere ariano dello Stato germanico». Uno Stato che pratica l’apartheid alla sua minoranza interna, che la angaria e le nega diritti elementari. Uno Stato che pratica la pulizia etnica e una costante politica di espulsioni degli inferiori genetici dalle loro case e dai loro campi, per poter ripetere un giorno con Golda Meir: «Non è mai esistito un popolo palestinese». Uno Stato dove la Polizia arresta sotto falsi pretesti, incarcera senza processo nè difesa legale individui della minoranza etnica.

Uno Stato che gestisce il suo lager dove affama un milione e mezzo di inferiori razziali. Uno Stato che educa i suoi figli alla spietatezza, alla dura mancanza di compassione verso gli inermi che perseguita, affama e strazia. Uno Stato che colpisce con bombe al fosforo ed armi invalidanti una popolazione prigioniera, di cui la metà ha meno di 15 anni, e di cui i rabbini esortano a non avere pietà.

Uno Stato che manda per il mondo le sue squadre di assassini professionali ad eliminare avversari politici ed «inferiori», a cui non riconosce nemmeno la dignità di nemici: sono «scarafaggi» per i suoi leader, e con gli scarafaggi non si tratta, li si elimina. Uno Sato super-armato, dotato di un’ideologia millenarista e razziale («Il Reich millenario»), espansionista e aggressivo verso tutti i vicini, che scatena una guerra ogni due anni, che non conosce altra diplomazia che la guerra; e che teme e invidia la pace degli «altri», perchè vi vede una minaccia esistenziale.

E volete chiamare questo Sato «fascista»? No, è troppo poco: «nazista» è  la parola giusta. Secondo la vostra stessa definizione.

Aggiornamento. Mentre finivo di scrivere l’articolo, è arrivata la risposta della Clinton all’accordo siglato da Ankara e Brasilia con Teheran: la serva noachica ha annunciato in tutta fretta che «le potenze mondiali» avevano raggiunto un accordo per nuove e «forti» sanzioni all’Iran. Assicurando che aveva ottenuto per queste il sì di Russia e Cina, che non avrebbero posto il veto.

Come se Turchia e Brasile nemmeno esistessero: una «firma diplomatica» tipicamente israeliana. Gli «altri» non ci sono.

Il Guardian rivela che Hillary Clinton, il 15 maggio, aveva telefonato al ministro degli Eteri turco Davatoglu «cercando di scoraggiare l’iniziativa turco-brasiliana». Per contro, il ministro turco aveva fatto dire ai giornalisti il contrario: che l’iniziativa era sottobanco incoraggiata dal presidente Obama.

Si credeva che la superpotenza non potesse, nel suo servaggio alla lobby, scendere più in basso. E’ scesa più in basso. (Iran's nuclear deal / US answer to Iran nuclear swap: Overnight deal on sanctions)



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