Draghi, Monti ed altri crimini impuniti
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Il nuovo diritto penale internazionale in formazione – de jure condendo bancario – ha fatto un altro progresso decisivo. Il gruppo bancario americano HSBC (1), il secondo al mondo, con affiliate e filiali in tutti i continenti tranne l’Antartide, dopo indagini dell’FBI, è stato trovato colpevole di riciclaggio di denaro sporco della droga (solo per il cartello del Messico ha «lavato» 7 miliardi di dollari), oltre che di fornire servizi finanziari a banche saudite colpite da embargo per i loro comprovati legami col jihadismo terroristico, oltreché Stati oggetto di sanzioni USA: dal Sudan a Cuba, dallo Zimbabwe alla banca centrale dell’Iran, che ha aiutato a smobilitare 32 mila once d’oro in lingotti. Giusti o no questi divieti, la HSBC li ha patentemente infranti, violando leggi americane come il Trading with the Enemy Act e il Bank Secrecy Act. Una serie di crimini da sbattere all’ergastolo tutto il consiglio d’amministrazione, se si pensa che recentemente a Washington, un piccolo spacciatore beccato a vendere 5,5 grammi di crack s’è preso 10 anni di galera.

Invece, niente. La banca se l’è cavata con una sorta di patteggiamento extra-giudiziale, versando una multa complessiva di 1,9 miliardi di dollari. Una cifra modesta per un gruppo che ha avuto 22 miliardi di dollari di profitti nel 2011, e ha 2.500 miliardi di «attivi»; piccolo prezzo visto che i suoi dirigenti e caporioni sono liberi e puliti e possono continuare ad operare. È persino ovvio che lo rifaranno: una multa di meno di 2 miliardi quando se ne riciclano 7 solo dai narcos messicani, è un sopportabile rapporto costi-benefici.

La severa giustizia americana ha deciso di non perseguire la HSBC, e ne ha spiegato il motivo con un comunicato ufficiale: «Per la preoccupazione che imputazioni penali potessero danneggiare una delle più grandi banche del mondo e in ultima istanza destabilizzare il sistema finanziario globale» (Banking on Criminality: Drug Money and the Above-the-Law Global Banking Cartel).

Dunque assoluta impunità. Esenzione da ogni colpa penale passata, presente e futura. Persino il New York Times ha trovato che si sia andati un po’ troppo oltre, e che il concetto di «too big to fail» sia diventato un «too big to jail». Un gioco di parole molto spiritoso: queste banche colossali sono state salvate da fiumi di denaro pubblico invece che lasciate fallire come meritavano per i loro azzardi e trucchi, perché «troppo grandi per fallire», e avrebbero trascinato nell’abisso il mondo del credito. Adesso si scopre che sono «troppo grosse da incarcerare» (too big to jail, appunto). Ma è inutile che il New York Times si scandalizzi: l’impunità totale e preventiva è il naturale privilegio dei padroni assoluti. E questi sono i nuovi padroni del mondo.

Lanny Breuer
  Lanny Breuer
È il diritto evolutivo pro-bankster. Il proscioglimento della HSBC ha naturalmente un piccolo corollario, consistente in un trascurabile – non vale nemmeno parlarne – conflitto d’interesse del giudice: costui, Lanny Breuer, capo della sezione penale del Dipartimento di Giustizia che si è occupato del caso, prima faceva l’avvocato in un celebre studio legale che aveva tra i suoi clienti le massime banche americane, Bank of America, Citigroup, JP Morgan Chase e Wells Fargo. Lo studio si chiama Covington & Burling e vi lavorava anche Eric Holder, attuale Attorney General (avvocato dello Stato americano), che avrebbe dovuto costituirsi contro la dirigenza truffaldina. In fondo, Breuer ed Holder continuano a fare, da statali, quello che facevano da avvocati: proteggere le mega-banche dalle conseguenze penali dei loro delitti.

È il bello delle porte girevoli per cui tanti «tecnici» da banchieri privati diventano pubblici caporioni, venerati per la lor supposta «terzietà». Anche questo è jus condendum caymanicum, come dimostrano i sette o otto dipendenti di Goldman Sachs che oggi sono capi di governi o di Banche Centrali in Europa. E il pensiero corre al più eccelso, riverito e ammirato di costoro, Mario Draghi.

Mario Draghi, l’acclamato Salvatore (dell’euro), s’è visto investire – non senza sue attivissime trame – come supervisore delle banche europee il cui crollo porrebbe un rischio sistemico, tra gli scodinzolamenti ed uggiolii di piacere dei media; quanto ai governanti europei usciti dal laboriosissimo confronto, hanno salutato il loro accordo come «storico», il che conferma le loro qualità comiche.

Angela Merkel non voleva che le banche regionali tedesche (quelle più ammanicate coi politici) fossero soggette al controllo: come sempre è stata accontentata. Delle 6 mila banche europee, le controllate saranno fra 150 e 200, quelle con il bilancio superiore di 30 miliardi di euro. Senza contare che la Gran Bretagna, Svezia e Cechia si sono chiamate fuori, sicché le pericolose banche d’affari della City sono fuori dal controllo (ma niente paura, sono sotto il controllo di Goldman Sachs, dato che da lì viene il nuovo capo della Bank of England).

La Merkel voleva ritardare il mini-accordo fino al 2014; tutti gli altri invocavano, data l’urgenza e i dissesti bancari imminenti, l’entrata in vigore immediata: indovinate chi l’ha avuta vinta. Ciò lascia nelle peste gli Stati, Spagna e Irlanda anzitutto, che devono continuare a gonfiare il loro indebitamento per continuare a tenere sotto perfusione le loro banche.

L’accordo, infatti, consisterebbe in questo: che a ricapitalizzare le banche non saranno più gli Stati, bensì la BCE, alleviando i governi. Ma sul «quando», si è stati vaghi. Il ministro francese Pierre Moscovici ha dichiarato che la ricapitalizzazione delle banche avverrà «appena lo decideremo»: un modo comico per ammettere che non è ancora deciso. Almeno un anno intero passerà, durante il quale gli Stati periferici e ingolfati di debiti dovranno sempre più indebitarsi sui «mercati» per rinnovare i titoli in scadenza o chiedere l’aiuto persecutorio del fondo europeo, con le durissime «condizionalità» connesse.

Questo «accordo» è solo il primo passo di tre fasi; restano da negoziare le altre due, ossia il coordinamento dei fondi nazionali di garanzia dei depositi, e la creazione del fondo europeo per la ricapitalizzazione delle banche. Su questi punti – come sempre quando c’è da tirar fuori il portafoglio – Berlino ha innestato la marcia indietro, riducendo l’accordo «storico» appena elaborato a «contorni comuni di sorveglianza bancaria». L’SPD s’è detta contraria al diretto pompaggio delle banche tramite l’ESM, ed ha proposto la creazione di un fondo di 200 miliardi, alimentato… dalle banche stesse che bisogna salvare. Ed è una briciola, se si pensa che una sola banca europea, BNP, ha un bilancio cresciuto da 700 a 2 mila miliardi di euro tra il 2002 e il 2008, per tacere del fuori-bilancio, lo shadow banking del tutto ignorato nell’accordo.

Ma allora, questo accordo non serve a nulla? No, invece. L’Europa come la vogliono le oligarchie ha fatto un passo avanti. Secondo lo jus condendum speculativo, ha sancito due principii e paletti da cui non si tornerà indietro.

1) La UE si sforza di trattare le conseguenze della speculazione selvaggia, ma evita accuratamente di prevenirle. Di fatto, i banchieri sono garantiti che nessuno controllerà il loro modo di fare affari. La UE ha ignorato completamente i meccanismi di creazione monetaria ex nihilo da parte delle banche, non ha proposto la separazione fra banche di deposito e banche d’affari, non ha proposto norme prudenziali. Persino USA e Inghilterra, oltre che la Svizzera, hanno fatto di più.

2) Si è scolpito nel bronzo il principio che spetta alla BCE (dunque a Draghi, dunque a Goldman Sachs) ad intervenire aiutando le banche direttamente a suo insindacabile giudizio; quindi quel minimo di responsabilità democratica di ieri, quando erano gli Stati e i governi d’Italia, Spagna e Portogallo, ad avere il grave compito di rimpinguare le banche, viene definitivamente abolito. Un ulteriore sequestro di sovranità e di democrazia, un altro e decisivo trasferimento di potere ai tecnocrati irresponsabili, senza patria e inamovibili.

Non a caso Draghi ha immediatamente invocato ancora più poteri, più Europa, più sovranità... (Draghi’s rallying cry for new EU powers)

Ciò, fra gli scodinzolamenti mediatici, cani festosi che riconosco il padrone appena si mostra, uggiolando e leccandolo freneticamente. Sono i migliori diffusori dell’idea che i «tecnici» siano competenti, infallibili e super-partes. Falsità a cui la qualità infima dei nostri politici dà una parvenza di credibilità. Ma vale la pena di ricordare che è stata la BCE a lasciar entrare la Grecia nell’euro coi conti truccati – e truccati quasi certamente da Draghi, allora col cappello Goldman Sachs, dato che la BCE ha rifiutato di chiarire il punto di fronte ad una precisa richiesta di Bloomberg (Just What Is Mario Draghi Hiding? ECB Declines To Respond To Bloomberg FOIA Request On Greek-Goldman Swaps).

Il «tecnico» a capo della BCE nel 2008 si chiamava Trichet: e quando la crisi scoppiò, il pirlone invece di abbassare i tassi, li ha aumentati per due volte, col risultato di apprezzare l’euro a livelli devastanti (allora un euro valeva 1,6 dollari), e inaugurando il circolo vizioso di recessione-collasso reale-depressione che i «tecnici» così allegramente continuano ancor oggi, e sicuramente domani. La BCE, organismo tecnico per eccellenza, mentre è severissima nel difenderci dall’inflazione dei prezzi al consumo, abbandona il suo dogmatismo monetarista quando si tratta di impinguare le banche: allora è stata estremamente lassista nel creare massa monetaria e inflazionando i prezzi degli «attivi» bancari. Insomma creando una enorme bolla (La BCE, antidémocratique et irresponsable).

E non dimentichiamo – come dimenticare? – i mille miliardi di euro che Draghi ha creato dal nulla non per gli Stati, ma per le banche: il famoso prestito all’1%, con cui le banche hanno comprato BTP e simili che gli stati erano costretti ad emettere al 5-6%. E tutto ciò senza esigere dai banchieri la minima contropartita. La BCE come futuro organo di supervisione delle banche, volete che chieda loro conto in avvenire di quel che non ha chiesto allora? È sicuro che non lo farà. I banchieri bancarottieri sono protetti dalle conseguenze delle loro azioni dissennate. Il conto, la BCE di Draghi-Goldman Sachs lo farà pagare ai contribuenti europei.

Insomma abbiamo ancora una volta abbandonato più poteri politici a «tecnici» che sono tecnicamente pessimi come i politici nostrani; altrettanto incompetenti, sbagliano quanto e più di loro; che sono totalmente «di parte» (dalla parte dei bancarottieri finanziari), e le loro azioni non sono dettate da «scientifica» neutralità, ma da ben precisi interessi immeritevoli di difesa, e da loro difesi. Fino all’ultimo contribuente.

Non stupisce che Mario Monti sia il loro tecnico preferito per governare l’Italia a nome dei creditori, il più venerato e ammirato dai media, e il più conteso da tutti i partiti: destra, sinistra e centro vogliono tutti Mario Monti come loro capo, ispiratore, statista supremo. E ovviamente, Monti è all’avanguardia nell’applicazione dello jus condendum bancario: per non costringere il Montepaschi a chiedere capitali al mercato (ciò che avrebbe diluito la proprietà della banca, in mano alla ditta Bersani & Co.mpari) , ha versato 4 miliardi alla banca stessa e ai suoi bancarottieri-guida. Come ha fatto notare Tremonti, 4 miliardi sono l’intero gettito dell’IMU sulla prima casa; una ennesima tassa spogliatrice, spesa tutta in un attimo a favore della banca amica. E che poteva essere evitata, se non fosse per Bersani & Co.

È logico? È giusto? Ciò passa come «non c’è alternativa». Non c’è alternativa all’euro. Non c’è alternativa al debito pubblico. Non c’è alternativa alla finanza terminale. Non c’è alternativa ai tecnici.

In realtà, il capitalismo finanziario terminale è diventato una immensa «macchina per concentrare ricchezza» (2) che è ormai imballata e impazzita, di cui i tecnici sono i manovratori e protettori, e che bisogna fermare perché «mette in pericolo l’esistenza stessa della nostra specie». Le espressioni sono del sociologo ed economista Paul Jorion, che ha una o più proposte alternative.

Ma di questo, un’altra volta.





1) La sigla sta per Hong Kong Shangai Banking Corp., dal nome del nucleo originario (era la banca che finanziò le guerre dell’oppio dell’impero britannico) della multinazionale finanziaria d’oggi.
2) L’incameramento degli interessi sullo pseudo-capitale che le banca crea dal nulla è ovviamente lo strumento principale di questa machina. Ma la vediamo all’opera anche nel settore immobiliare, i cui prezzi aumentano a forza di mutui. I mutui servono, essenzialmente, alla generazione subentrante per acquistare dalla precedente il parco immobiliare ad un prezzo maggiore di quello pagato dalla precedente. Il risultato è che una generazione avrà bisogno per acquistare la casa di un prestito di 10 anni, la seguente dovrà chiedere un prestito da servire per 15 anni, la ulteriore per 20 anni... e il limite sarà la durata di vita stessa dei debitori. La società sarà così sempre più precisamente divisa fra coloro che si arricchiranno a spese dell’altra generazione, facendosi in pratica sovvenzionare da essa, e quelli che resteranno al disotto dell’accesso alla proprietà immobiliare per sempre, incapaci di profittare dell’effetto-leva del credito immobiliare. Fatto notevole, questa dimostrazione ad absurdum del capitalismo letale è stata avanzata da Lord Adlair Turner, capo della britannica Financial Service Authority: lo stesso personaggio che ha proposto la regolamentazione dei mercati finanziari in base alla discriminazione fra attività finanziarie «socialmente inutili» ed attività «prive d’interesse per la società», quindi da non proteggere. Come si vede, persino nei dintorni della City si comincia a criticare la macchina letale. Da noi, chi la metta in dubbio è trattato da «dissennato» o – peggio – da grillino dalle grandi firme di Repubblica e Corriere.



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