Conseguenze del Concilio Vaticano II (2)
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Il balancing act, ovvero una critica quasi benevola

Sulla rivista Crisis Magazine, consultabile in internet, è apparso un articolo di Howard Kainz: «Il Balancing Act di Karl Rahner e Luise Rinser», (Maggio 8, 2013)   L’articolo non vuole essere una critica a Rahner, ma anzi sembra volerlo giustificare.

«Durante il Concilio Rahner ha avuto molto influenza sui vescovi tedeschi, grazie alla "alleanza europea", un gruppo costituito dentro il Concilio. Rahner ha anche collaborato alla  preparazione delle encicliche: Lumen gentium, Dei Verbum, Gaudium et spes, e Perfectae caritatis. All'indomani del Concilio, Rahner si è fatto notare per aver espresso dissenso verso la linea del Vaticano, e per questo spesso è stato citato dagli organi di informazione. Ha scritto sul controllo delle nascite e sul sacerdozio femminile: Non vedo negli argomenti addotti o nell'autorità formale dell’ insegnamento della Chiesa ... una ragione convincente e determinante per convalidare i controversi insegnamenti di Paolo VI:  Humanae Vitae [enciclica contro la contraccezione] o nella dichiarazione della Congregazione per la la Dottrina della Fede, che sembra escludere per sempre le donne dall'ordinazione sacerdotale per questioni di principio.

Nel 1962, all'inizio del Concilio Vaticano II, Luise Rinser (1911-2002), allora una vedova di 51 anni, divorziata due volte, romanziere e scrittrice prolifica, scrisse a Rahner per chiedergli se avesse potuto incontrarlo per discutere di un suo progetto: uno scritto sul “tipo specifico di spiritualità adatta alle donne”.  Si incontrarono ad Innsbruck, e proseguirono l’incontro in un bar, l'Orso Grigio. Durante una loro riunione di lavoro lei gli confidò che si trovava in un esclusivo rapporto d'amore con un abate benedettino, anche lui coinvolto nel Concilio. Del suo nome sappiamo solo le iniziali: M. A. Rahner le chiese se ci fosse spazio nel suo amore per entrambi, e lei accettò, ma disse che M.A. sarebbe sempre stato al primo posto. Questo fatto ha causato angoscia a tutti. In seguito Rahner sull’argomento scrisse: “Ero come il grano che viene macinato tra le pietre del mulino. Ho sofferto. Rahner ha sofferto. M.A. ha sofferto. Che situazione impossibile!”.

Il loro rapporto continuò, quando possibile, con incontri riservati dal 1962 al 1984. In quegli anni si sviluppò una intensa corrispondenza tra i due. La Rinser conservò in tutto ben 2.203 lettere, delle quali 1847 ricevute da Rahner, e 366 spedite da lei a Rahner, che scriveva sino a 3-4 lettere al giorno. Rahner mantenne le lettere della Rinser, lettere che le restituì prima di morire, perché fossero al sicuro. Infatti i gesuiti, presso cui risiedeva, non avrebbero mai concesso il permesso di pubblicare il carteggio di Rahner, ma la Rinser ha potuto pubblicare le proprie lettere; alcune di queste erano risposte a lettere di Rahner. La pubblicazione è avvenuta in un libro del 1994, Gratwanderung. Briefe der Freundschaft … (“Camminando lungo il limite: Lettere da una amicizia con Karl Rahner”). Il libro non è stato tradotto in inglese. Gratwanderung tradotto alla lettera significa: camminare sull’orlo, o sul crinale, in senso figurato un’operazione di equilibrio o di camminare sul filo del rasoio a piedi. Una frase con un significato che oggi equivale a dire: è un affare al limite, una situazione in cui si costeggiano i limiti della decenza, senza necessariamente andare oltre questi limiti . Il confine o il limite per Rahner, ovviamente, era il suo voto di celibato e di castità. Non ci sarebbe alcuna indicazione che egli abbia mai rotto questo voto.

In Gratwanderung la Rinser si descrive come una donna della sinistra cattolica, come una del suo tempo, impegnata politicamente, come una che partecipa alle marce di protesta, che raccoglie le firme, anche come una che scrive articoli rivoluzionari. Per quanto riguarda il suo cattolicesimo di sinistra, ha offerto la seguente descrizione: Ho vissuto come un bambino (forse come il frutto di una vita precedente), una forma autentica di devozione mistica, che è stata successivamente rivestita con la mia intellettualità e la mia conoscenza della teologia dogmatica, che mi ha portata all’ agnosticismo sino al confine con l ’ateismo, ma poi avviene il mio incontro con le religioni dell’estremo oriente.

Nel leggere le risposte della Rinser alle lettere di Rahner, si delinea la figura (si spera anomala) di un sacerdote celibe, impazzito per la passione verso una donna. In una lettera datata 10 agosto 1962, la Rinser scrive:

«mio pesciolino, veramente amato, non posso esprimere quanto sono rimasta scossa quando ti sei inginocchiato davanti a me. Eri in ginocchio davanti all'Amore che si sta vivendo e davanti al quale anche io sono inginocchio  nello stupore, nella riverenza, con tremore e con una esultanza che quasi non oso permettere a me stessa di sentire. Siamo entrambi toccati nell'intimo del nostro essere da qualcosa che è molto più forte di quanto ci aspettassimo.»




Una complicazione costante per questa relazione romantica, naturalmente, era il rapporto di Rinser esclusivo con l’abate M. A. Rahner provava gelosia verso l'altro uomo di questo triangolo amoroso, e non era soddisfatto dalle assicurazioni della Rinser, che gli diceva di amarlo, troppo. M. A. (la cui identità non sono stato in grado di scoprire) sembrava essere irritato anche lui, ma anche rassegnato al fatto di avere un concorrente. Nelle lettere i due amanti si chiamavano con soprannomi -lei era Wuhschel, in tedesco il nome di un personaggio della serie dei cartoni animati: Winnie the Pooh; il nome di Rahner era Fisch (Fish), relativo al simbolo comune per il Cristianesimo e anche il suo segno zodiacale, Pesci. Gli argomenti di queste lettere riguardavano discussioni sui viaggi, le reazioni alle conferenze a cui era stata invitata, il racconto di un buon amico che durante un viaggio inaspettatamente le aveva chiesto di dormire con lui. Si scambiavano assicurazioni circa la solidità del loro amore; parlavano di certe esperienze spirituali, ecc.  Occasionalmente hanno discusso anche degli eventi in seno al Concilio, o della politica della Chiesa. Per esempio: «Ho sentito che Papa Paolo VI ha nominato i moderatori (o come sono chiamati) per il Concilio: [Joseph Leo] Suenens, [Giulio] Döpfner, [Giacomo] Lercaro, [Grégoire-Pierre] Agagianian. Ed altri così: progressisti. E Döpfner ti ascolta [Rahner]».

«Il Papa ha detto alla radio che è iniziato l’iter per la beatificazione degli ultimi due papi. Molto stupido. [Il Papa] John è santo, e per quanto riguarda Pio (Padre Pio?) non è vantaggioso parlare di 'santo' o 'benedetto'. A mio parere .... Ma 'Fish' [Rahner] è ancora più santo, anche se lui non se ne accorge, e questo è come stanno le cose, lui così è santo.»

Una volta un’insegnante suora scrisse alla Rinser, furiosa che Ratzinger e Urs von Balthasar avevano attaccato Rahner. La suora scrive: “tirate fuori la lingua e dite ad alta voce, ‘Si può solo ....!’” Politica ecclesiastica e mode teologiche a parte, è ovvio che stiamo assistendo in questo rapporto ad uno straordinario fenomeno psicologico, un prete che vive in una serie di situazioni solitamente incompatibili tra loro ma che convivevano tutte insieme dentro la sua psiche: da un lato c’era l’impegno del celibato, dall'altro essere divorato dall'amore appassionato per una donna, sempre soffrendo, essendo roso dalla gelosia perché il suo concorrente aveva vinto, e perché non avrebbe mai avuto il primo posto negli affetti di quella donna.

Durante gli anni '60 e '70, sacerdoti e suore sono stati esortati da esperti perché si realizzassero come persone con una propria sessualità, in modo da essere soddisfatti, e persino rendere partecipe di ciò la loro vocazione. Molti caddero lungo la strada, eventualmente dopo un esperimento non riuscito lungo un simile percorso rasente al limite. Rahner può aver mantenuto la sua integrità nel proprio cammino lungo il limite, ma ci si può solo stupire davanti al grande disagio psicologico che egli deve avere vissuto. Non so se Rahner, che era interessato all’esistenzialismo, nell’ elaborazione della sua teoria teologica, si sia ispirato anche al contenuto del libro: purezza del cuore è volere una cosa di Sören Kierkegaard. Ma certamente da quella lettura avrebbe potuto trarne dei benefici. L'amore e l'impegno del lavoro (per la maggior parte di noi) non sono campi in cui sono consigliabili gli impegni plurimi. In ogni caso, l'esperienza di Rahner è un paradigma per tutti noi, chierici e laici, a volte attratti dagli “equilibrismi”: Il maschio omosessuale che accetta una posizione in cui sarà in stretto contatto con dei ragazzi o uomini giovani, il politico che accetta contributi da chi può trarre profitto da una legge su cui lui sta lavorando, il giudice che rifiuta di ricusare se stesso nei casi in cui ha un proprio interesse in gioco, il professore sposato che, in viaggio per partecipare ad una conferenza, decide di condividere una camera d'albergo con una collega attraente, giusto per ridurre le spese, e così via. Questo "camminare sul crinale" è sempre una sconvolgente vicenda di equilibrismo».

Howard Kainz
(professore emerito all’Università Marquette, una istituzione americana dei gesuiti. L’ultimo lavoro di Kanz è: Credo quia absurdum est, pubblicato nella New Catholic Encyclopedia Supplement 2012-2013: Ethics and Philosophy. Ed. Robert L. Fastiggi. Vol. 1. Kainz collabora regolarmente con la rivista Crisis Magazine.)

Circolano altre frasi della Rinser che l’11 maggio 1965 scriveva a Ranher: «Sai qual è la maggior difficoltà che mi viene da parte tua? Che sei un relativista. Da quando ho imparato a pensare come te non oso affermare nulla con sicurezza».

Commento iniziando dall’ingenuità di Kainz che si chiede se Rahner abbia tenuto conto del pensiero di Kierkegaard nell’elaborare la sua teoria teologica. Un accostamento impossibile per molte ragioni anche ovvie. L’esistenzialismo appare a Rahner attraverso l’ interpretazione distorta di Heidegger, che alla filosofia esistenzialista di Kierkegaard aveva dato uno stravolgente esito ateo e materialista. Poi tra Rahner e Kierkegaard umanamente c’è un abisso. Kainz fa un grosso sforzo per essere benevolo verso Rahner. Sembra che neppure si accorga che in questo modo lo copre di ridicolo assieme alla sua amante Louise Rinser, una che, a quanto pare, andava pazza per gli uomini con il voto di castità e assidue frequentazioni delle sacrestie e dei convegni teologici. È risaputo che i tedeschi non hanno autoironia ma in questo caso si esagera. Ne esce l’immagine di un gesuita piccolo piccolo assieme ad una maniaca fanatica con pretese intellettuali, ovviamente di sinistra. La loro vicenda non meriterebbe neppure l’onore di un pettegolezzo se non fosse che il vero regista occulto del Concilio Vaticano II ha pensato di tirarli dentro in tutta la faccenda, una cosa da nulla come il rinnovamento del Cattolicesimo.

È difficile pensare che tra i padri conciliari non ci fosse nessuno che era al corrente dello stile di vita di Rahner. La Chiesa ha indagato in maniera accurata ed impietosa sulla vita di Padre Pio e il papa, dopo indagini e richiesta di pareri, è arrivato a comminare la scomunica al cardinale Lefebvre per il suo atteggiamento conservatore. Si deve dedurre che è molto improbabile che non fosse trapelato nulla della vita tormentata e miserella del gesuita Rahner. È probabile purtroppo il contrario: Rahner venne scelto proprio per quel suo stare in bilico tra le regole religiose e la secolarizzazione, tra il rispetto dei doveri assunti con l’ingresso in un ordine religioso cattolico e la negazione di quelle regole con l’ abbandonarsi alle passioni dettate dalla carne. Venne preso come maestro del pensiero e quindi maestro di vita, una vita che veniva prefigurata e raccomandata ai futuri aspiranti al sacerdozio, quello stile di vita che poi si traduceva in forme visibili, suggerite ed imposte per i nuovi luoghi di culto, sempre più disumanizzati, come appunto vuole ed esige il principe di questo mondo, incontrastato vincitore finale. Il peccato dissolto nella parodia estetica del peccato.

Questo è l’interrogativo che nasce spontaneamente dopo che sono stati resi noti molti eventi accaduti all’interno del Concilio, durante e dopo il suo svolgimento. Ce ne sarebbe abbastanza per mandare al rogo tutte le decisioni adottate e ricominciare tutto daccapo.

Paradossalmente avverrà che le oltre 4000 pubblicazioni teologiche di Rahner, attualmente molto lette dai cattolici progressisti, dopo essere passate di moda, saranno dimenticate e cancellate dalla memoria, mentre le sue lettere, quasi certamente le uniche cose che egli scrisse in forma umana e con un contenuto leggibile, non verranno mai pubblicate dagli eredi della Rinser a causa dell’opposizione dei Gesuiti.

Nei secoli la Chiesa ha avuto papi diciamo bizzarri, dal papa guerriero: Giulio II della Rovere (che ha tutte le mie simpatie) a Bonifacio VIII, al papa Borgia sino a Celestino V in odore di santità ed in tempi più recenti Pio IX, persona retta e buon cristiano, che riuscì nell’impresa titanica di inimicarsi tutti e di essere un’autentica rovina per i buoni cattolici e persino per gli stessi interessi materiali della Chiesa, che credeva di difendere. Da questa sterminata collezione di personaggi, tutti più o meno con i loro difetti molto umani, altri persino santi, non si è mai visto emergere un papa che deliberatamente e stupidamente cercasse di distruggere le basi stesse della fede cattolica, come ha fatto papa Giovanni XXIII, forse troppo stupido per capire dove stava andando e troppo sordo per non sentire la voce dello Spirito Santo, che sino ad allora era sempre riuscito a farsi ascoltare.

Un articolo molto critico di Roberto De Mattei


C’è un ottimo articolo di Roberto De Mattei, «Karl Rahner, maestro del Concilio, di Martini e della coscienza relativa» (Il Foglio, 16 giugno 2009) che riassume il pensiero di Rahner.  Colgo l’occasione per aggiungere tra parentesi in corsivo qualche commento critico.

«… Come perito conciliare del cardinale Franz König, il gesuita tedesco [Rahner] svolse, dietro le quinte, un ruolo cruciale nel Vaticano II…. ha dominato il post-concilio come conferenziere di grido e scrittore dalla alluvionale produzione, pronto a intervenire disinvoltamente su tutti i problemi del momento: … le sue opere, tradotte e diffuse in tutto il mondo, continuano a esercitare una larga influenza sul mondo cattolico contemporaneo.

Sembra giunta però l’ora di «uscire da Rahner», come implicitamente auspicato da Benedetto XVI nell’ormai storico discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005….. Oggetto della scienza teologica, per Rahner, non è Dio, di cui non può essere dimostrata l’esistenza, ma l’uomo, che costituisce l’unica esperienza di cui abbiamo l’ immediata certezza. Non si può dunque parlare di Dio al di fuori del processo conoscitivo dell’uomo.

(quindi poiché Dio è fuori del nostro processo conoscitivo, cioè non lo possiamo conoscere, di Dio non possiamo neppure parlare. Infatti, come già sapevamo, Rahner cerca di fare una teologia senza Dio. Da Dio possiamo solo aspettarci che Egli stesso decida di rivelarsi. La cosa era risaputa da qualche millennio, peccato che se Dio si rivelasse potrebbe farlo solo perturbando l’ andamento normale del mondo fisico, cioè facendo un qualche miracolo, ma nella teologia moderna pare che i miracoli non esistano, o non debbano essere presi in considerazione. Che se poi Dio si rivelasse in sogno o, peggio ancora attraverso l’inconscio, la cosa non avrebbe alcuna rilevanza perché viene preso in considerazione solo ciò che è scientificamente rilevabile).

Dio, più precisamente, esiste «autocomunicandosi» all’uomo che lo interpella. Rahner afferma che nessuna risposta va al di là dell’orizzonte che la domanda ha già precedentemente delimitato.

(Questa affermazione è l’ovvia conseguenza di aver elaborato una teologia in cui Dio sarebbe inconoscibile, e quindi alle nostre domande non ci possono essere risposte. In che modo poi in pratica Dio potrebbe auto comunicarsi non è dato sapere).

L’orizzonte di Dio è misurato dall’ uomo che, delimitando nella sua domanda la risposta divina, diviene la misura stessa della Rivelazione di Dio. Rahner non dice che l’uomo è necessario a Dio perché Dio possa esistere, ma poiché senza l’uomo Dio non può essere conosciuto, la conoscenza umana diviene la chiave di quella che egli definisce la «svolta antropologica» della teologia.

(Ma per conoscere Dio la conoscenza umana è inutile, visto che Dio per sua natura è inconoscibile. Avrebbe dovuto dire che l’uomo può solo pensare Dio, può solo immaginarselo)

Rahner si richiama spesso a san Tommaso d’Aquino, ma di fatto riduce la metafisica ad antropologia e l’antropologia a gnoseologia ed ermeneutica. La «teologia trascendentale» di Rahner appare, in questa prospettiva, come uno spregiudicato tentativo di liberarsi della tradizionale metafisica tomista, in nome dello stesso san Tommaso. Ciò naturalmente può avvenire solo a condizione di falsificare il pensiero dell’Aquinate. Fabro non esita a definire Rahner «deformator thomisticus radicalis», a tutti i livelli: dei testi, dei contesti e dei principi. L’esito è un trasbordo dal realismo metafisico di Tommaso all’immanentismo di Kant, di Hegel e soprattutto di Heidegger, acclamato dal gesuita tedesco come il suo unico maestro.

(Si deve osservare che, al di là della cortina fumogena del solito fraseggio vuoto e pomposo, adottato da chi in Germania si considera filosofo, poche ovvie considerazioni smontano tutto il castello di affermazioni, tutte così ben concatenate al punto che, cancellata una, tutte le altre cadono)

Rahner accetta il punto di partenza cartesiano dell’io come auto-coscienza. L’uomo, spogliato della sua corporeità, è innanzitutto coscienza, puro spirito, immerso nel mondo. Come per Cartesio e per Hegel, anche per Rahner è il conoscere che fonda l’essere, ma la conoscenza ha il suo fondamento nella libertà, perché nella misura in cui un essere diventa libero, nella medesima misura esso è conoscente.

(Libero da cosa? L’uomo è vivo entro un lasso di tempo che può dominare con la memoria. Ma è incatenato entro questo lasso di tempo che gli è concesso di ricordare potendosi muovere al suo interno, così è per lo spazio dove può vivere nell’intervallo in cui può spostarsi. Il suo esistere si colloca nell’intervallo temporale contenuto nella sua memoria e nell’intervallo spaziale in cui può muoversi. Persa la memoria scompare la sua esistenza. Altrettanto vale se non può spostarsi neppure in modo virtuale. Tutto il castello, tutti gli arzigogoli sulla realtà, su come l’uomo si colloca nella realtà, tutto è affidato ad un mezzo «tecnico» ma fondamentale: la memoria. Infatti gli aiuti esterni alla memoria hanno ingigantito la realtà umana, così come l’hanno ingigantita i mezzi di trasporto per muoversi nello spazio. Eppure questo ingigantire ha reso più angosciosa la mancanza di una vera libertà, quella che solo Dio può dare: la libertà assoluta fuori dal tempo e dallo spazio

La coscienza coincide con la volontà dell’uomo e la volontà dell’uomo è l’attuarsi dell’Io. L’Io a sua volta non è sottomesso a nulla che lo possa condizionare, perché il suo fondamento sta proprio nella sua incondizionatezza e dunque nell’assenza di ogni oggettiva limitazione esterna. La conseguenza della riduzione dell’uomo ad auto-coscienza è la dissoluzione della morale. La libertà prevale sulla conoscenza perché, come afferma Heidegger, dietro il cogito cartesiano irrompe la libertà. L’uomo è coscienza che si auto-conosce, è libertà che si auto-realizza. Per Rahner, come per il suo maestro, l’uomo conosce e vive il vero facendosi libero. Il valore morale dell’azione non ha una radice oggettiva, ma è fondato sulla libertà del soggetto.  Forzando il n. 16 della «Lumen Gentium», in cui si parla della possibilità di salvezza di coloro che non sono giunti a una conoscenza esplicita di Dio, Rahner afferma che la salvezza non è un problema, perché è assicurata a tutti, senza limiti di spazio, di tempo e di cultura. La Chiesa è una comunità vasta come il mondo, che include i cristiani anonimi, i quali, benché possano dirsi non-cattolici, o addirittura atei, hanno la fede implicita. Chiunque infatti «accetta la propria umanità, costui, pur non sapendolo, dice di sì a Cristo, perché in lui ha accettato l’uomo». Tutti, dunque, anche gli atei, in quanto atei, si salvano se seguono la propria coscienza. Qualsiasi uomo, quando conosce se stesso, anche nel male che compie, se si accetta come tale, allora è auto-redento ed ha fede. E quanto più conosce e accetta la propria «esperienza trascendentale» tanto più ha fede. Questo, osserva giustamente padre Andereggen, significa che ha più fede un individuo che si sia psicanalizzato freudianamente durante dieci anni, piuttosto che un religioso che preghi.

Il cardinale Franz König, uomo di punta del progressismo conciliare, fu il grande sdoganatore di Rahner, in odore di eresia fino agli anni sessanta.»

Osservazioni finali: Il concetto aberrante secondo cui l’osservatore, colui che prende conoscenza di un fenomeno e che osservandolo lo estrae dal nulla ed in un certo senso lo crea, è un concetto preso dalla Fisica moderna, anzi per essere precisi dalla scuola di Copenaghen, oggi contestata da molti.

Si deve ricordare a questo punto che, quando l’osservatore muore, sparisce con lui l’ insieme delle osservazioni che avrebbero creato la realtà. Realtà che a sua volta dovrebbe sparire insieme alla sparizione del suo osservatore-creatore. Forse per questo Rahner cercò di dar vita ad una teologia della morte, la sua ennesima vuotaggine. Nella Fisica delle particelle questo scomparire ed apparire di particelle coordinate tra loro, è una ipotesi introdotta nello studio delle particelle elementari.

Come Blondet vede il pensiero di Rahner


Aggiungiamo qui l’analisi di Blondet (1) che introduce come elemento decisivo il miracolo. Ma è appunto il miracolo, di cui parleremo in seguito, il grande elemento escluso dalla teologia moderna. Dice Blondet (tra parentesi le osservazioni):

«Ricordiamo che Rahner era un esponente terminale di quella patologia del pensiero detta «idealismo tedesco» nella versione Heidegger. «Idealismo è la teoria metafisica che comincia con l’affermare che all’esperienza dell’io sono dati solo i suoi stati soggettivi, che vengono chiamati idee. Sicché la realtà esterna, gli oggetti, non esistono se non in quanto sono ideati dal soggetto, individuale o astratto» (come già detto esiste una corrispondenza con le teorie fisiche, la realtà nascerebbe se esiste qualcuno che la osserva. Questo potrebbe mostrare il ruolo di Dio nelle vesti di osservatore e quindi creatore continuo della realtà). Così, per Kant che inaugura l’idealismo, il mondo esterno è inconoscibile «in sé», ma solo per quanto «appare» alla coscienza del soggetto. Né bisogna preoccuparsi della «cosa in Sé», bastando sapere il contenuto della coscienza, il proprio caro io.

Parimenti, Rahner nella sua scienza teologica non si occupa di Dio, la cui esistenza per lui non è dimostrabile, ma dell’uomo, nella cui coscienza il concetto di Dio appare. Senza l’uomo Dio non può essere conosciuto: è la svolta antropologica di Rahner in teologia, analoga alla rivoluzione copernicana che Kant si attribuì: la conoscenza non è più «adeguamento della mente al reale» (come in San Tommaso), ma è l’intelletto umano che impone le sue leggi agli oggetti. Dio dunque esiste solo nella mente... Quale sarebbe dunque l’annuncio della fede che la Chiesa rahneriana deve con tanta urgenza proclamare? Quale contenuto, se Dio ne è escluso?»

C’è un punto dal saggio Fatica di Credere di Karl Rahner che è molto chiaro: «Chiunque segue la propria coscienza, sia che ritenga di dover essere cristiano oppure non-cristiano, sia che ritenga di dover essere ateo oppure credente, un tale individuo è accetto e accettato da Dio e può conseguire quella vita eterna che nella nostra fede cristiana noi confessiamo come fine di tutti gli uomini». «In altre parole: la grazia e la giustificazione, l’unione e la comunione con Dio, la possibilità di raggiungere la vita eterna, tutto ciò incontra un ostacolo solo nella cattiva coscienza di un uomo».

Così prosegue Blondet:
«Quello di Rahner è soggettivismo, relativismo e modernismo sfrenato. Fra i dogmi che ritiene «inadeguati per ciò che è necessario come prima cosa, l’annuncio della fede», Rahner elenca questi: «Proposizioni come «vi sono tre persone in Dio», «noi siamo salvati dal sangue di Gesù Cristo», sono puramente e semplicemente incomprensibili per un uomo moderno (…) esse fanno la stessa impressione della pura mitologia di una religione del tempo passato».

Il miracolo

«A Buenos Aires, nella parrocchia Santa Maria, in avenida La Plata 286, è avvenuto fra il 1992 e il 1996 un miracolo eucaristico. Un’ostia gettata a terra e messa dentro il tabernacolo in un boccale perché si sciogliesse nell’acqua, s’è mutata in un brandello sanguinante: esaminato, s’è rivelato un pezzo di muscolo cardiaco umano vicino al ventricolo sinistro; «la persona era viva quando è stato prelevato», ha sancito il perito settore che lo ha analizzato; un cuore che ha subito «un intensissimo stress, come picchiato sul petto»; (forse il colpo di lancia). Ora, è chiarissimo che questo fatto – questo nudo fatto – smentisce frontalmente la teologia di Rahner. Quella secondo lui è mitologia sorpassata, a cui l’uomo moderno non può più credere, appare a Buenos Aires come miocardio sanguinante; un fatto nient’affatto idealista; un cuore materiale , che dà la più spaventosa realtà alla frase siamo stati salvati dal sangue di Cristo che a Rahner sembra ormai improponibile. Una realtà letterale e non metaforica, non un mito o un modo di dire, ma un oggetto che al microscopio rivela globuli bianchi ancora palpitanti.»

Tutte le giustissime considerazioni che seguono non scalfiscono i rahneriani, ben saldi nel negare valore ai miracoli, al di là della constatazione scientifica della loro autenticità.

I rahneriani neppure prendono in considerazione la scienza, che avrebbe dovuto spazzar via le superstizioni della fede religiosa ed invece assume il compito di fornire la prova della verità della fede, quella prova che San Tommaso aveva chiesto per credere e che gli venne concesso di sperimentare, sul corpo vivo di Cristo risorto.

Blondet conclude: «I nostri veri teologi sono padre Pio, San Francesco, sono Santa Teresa, san Massimiliano Kolbe, la piccola Giacinta di Fatima… loro sanno qualcosa su Dio e Gesù, che possono insegnarci.»

I miracoli. Che cosa è la Fede, che cosa è la Scienza


«Dedichiamoci per un momento alla questione fondamentale di che cosa sia veramente «teologia». La teologia è la scienza della fede, ci dice la tradizione. Ma qui sorge subito la domanda: è davvero possibile questo? O non è in sé una contraddizione? Scienza non è forse il contrario di fede? Non cessa la fede di essere fede, quando diventa scienza? E non cessa la scienza di essere scienza quando è ordinata o addirittura subordinata alla fede?»

Così dice Ratzinger iniziando a parlare del rapporto tra Scienza e Fede, rapporto che sarebbe di reciproca esclusione. Egli ricorda quello che è stato un errore e su questo errore si è costruita l’ostilità della Chiesa contro il progresso della Scienza e della Tecnica, ostilità ricambiata dalla Scienza verso la Fede.  Purtroppo Ratzinger non possiede una sufficiente conoscenza della Scienza e della sua vera natura. Quindi in realtà da questo errore non è uscito del tutto.

La Fede non significa credere nell’assurdo o in ciò che in ogni caso non può essere spiegato dalla Scienza come un evento normale. Alla Scienza è stato affidato il ruolo di stabilire se un evento è fuori dall’accadere normale. In altre parole dire se si tratta di un miracolo. San Tommaso disse che per credere doveva toccare le ferite sul corpo di Cristo, che chiese di esaminare e per essere sicuro che era lui voleva mettere la mano nella ferita del costato. Un esame autoptico anche se semplice. Un esame scientifico che, se risultato positivo, avrebbe dato spazio alla fede. L’antitesi tra scienza e fede è artificiale. La Scienza non è neppure pensabile come subordinata alla Fede e nemmeno può esistere una Fede subordinata alla Scienza.

L’origine della Scienza, e soprattutto della Tecnica, è radicata nella volontà di potenza, anche se per avere potenza dobbiamo passare attraverso la conoscenza. Si spoglino la Scienza e la Tecnica di questa subordinazione implicita in modo che essa sia subordinata solo alla volontà di conoscere il mistero dell’ignoto e troveremo uno stretto legame con la fede, che fornisce una comprensione totale della realtà, quella comprensione intuitiva che è utile all’uomo. La Scienza fornisce una comprensione solo di ciò che è caduto sotto la nostra osservazione ed ha ricevuto una spiegazione in termini di leggi fisiche considerate valide al momento in cui si indaga.

Il nodo non risolto ancora è il rapporto tra le verità immutabili della fede ed il crescere della conoscenza del mondo fisico, con il tramonto definitivo di un’umanità immersa nel mistero di una natura sconosciuta ed in parte ritenuta ostile e preda delle forze del male.

Dopo il crollo dell’Impero Romano scomparvero le conoscenze e la concezione del mondo che appartenevano a quella civiltà. La Chiesa adattò la  predicazione a quella realtà che fu il medioevo. La Chiesa costruì le cattedrali che rappresentavano egregiamente il mistero e la paura, parte essenziale della vita di ogni giorno. Ma lentamente nacque la Scienza che derivava le sue basi proprio dal pensiero cristiano. La Scienza venne preceduta e seguita dalla Tecnica, che fornì le conoscenze per realizzare le macchine e per sfruttare in modo crescente le risorse contenute nel pianeta Terra. Tuttavia la Chiesa tardò qualche secolo ad accorgersi delle condizioni radicalmente mutate. Ed allora, quando decise di aprire al mondo moderno, aggiunse errore ad errore.

I popoli cristiani hanno sempre subito persecuzioni, ma le peggiori si verificarono proprio all’inizio dei così detti tempi moderni. Dalla guerra dei trent’anni sino alle insorgenze, sino agli stermini della seconda guerra mondiale è stato versato sangue per motivi che avevano in molti casi radici religiose. Mentre i martiri erano così numerosi che non potevano neppure essere contati, l’alto clero continuava a non capire il vero ruolo della Chiesa nel mondo, continuava a vagheggiare il ritorno a tempi antichi che non erano mai esistiti, con un papato ed un clero che avrebbero avuto allora un potere totale.

Il XIX secolo fu il vero secolo buio per il cattolicesimo. I giacobini francesi riuscirono a diffondere le loro idee progressivamente in tutti i paesi europei, sfruttando il fascino esercitato da promesse. che poi si rivelarono false per molta parte della popolazione. 

Oggi la Scienza ha un ruolo prevalente su tutto, ma non viene ancora presa in considerazione nella formulazione di concetti escatologici, negli studi teologici che finiscono in una serie di ipotesi contrapposte ad altre ipotesi precedenti, tutte formulate con un grande corredo di idee ben concatenate ma fondate sul nulla. Si potrebbe accostare l’occhio ad un telescopio o meglio guardare le immagini che ci spedisce il telescopio in orbita nello spazio, per renderci conto dell’immensità senza confini del cosmo, oppure andare a Ginevra e constatare la moltiplicazione del microcosmo, quando si indaga la materia subatomica con proiettili sonda ad energie sempre più alte, oppure considerare lo studio del corpo umano e della sua psiche per capire che la conoscenza si è ingigantita ma la comprensione ultima di ciò che si indaga sembra allontanarsi, perché in realtà sono sorte sempre nuove domande che ancora non hanno ancora una risposta. Il campo di ciò che è sconosciuto cresce più rapidamente di quello che conosciamo.

Tramontato il sogno di tornare ad una chiesa medievale, il pensiero dei teologi cristiani si orientò verso la modernità. Questa tendenza ebbe inizio molto prima che tramontasse definitivamente il sogno di costruire un Cristianesimo medioevale. Ma si trattava delle apparenze della modernità, era l’equivoco su ciò che è o dovrebbe essere moderno. Era il moderno costruito su un modo di vivere facile, poco lavoro, divertimenti molti a sfondo estetico sessuale, uso di droghe per raggiungere paradisi artificiali, ed infine una accurata rimozione del pensiero della morte. Questo moderno era diventato accessibile a larga parte della popolazione grazie all’impiego sempre più pervasivo della macchine, ma la creazione delle macchine si basava su una filosofia sconosciuta ai più. Lo spirito della modernità era nella creazione di sempre nuove macchine, era nella Scienza che rendeva possibile immaginarle. Questo era opera di una élite ignorata dal grande pubblico.

La Chiesa cercò di adattarsi al moderno regalato dai miracoli prodotti dalle macchine. Si lasciò abbagliare da ciò che incantava il popolo, che un tempo era incatenato a lavori ripetitivi e alienanti. Davanti a questo errore la ragione era dalla parte dei cristiani conservatori, mentre i cosiddetti progressisti seguivano le apparenze del progresso, convinti di andare nella direzione giusta, quella che avrebbe inserito la Chiesa nel mondo moderno.

Il rappresentante più insigne dei cattolici conservatori, come abbiamo visto, è stato il Cardinale Lefebvre, che ebbe il coraggio e la fermezza di arrivare sino al punto da provocare uno scisma con la Chiesa Cattolica. Anche lui, come tanti altri, non separò la modernità mondana dalla modernità che crea la Tecnica, ma almeno cercò di salvare la fede cristiana e la sua liturgia da una inutile contaminazione con le mode del momento.

La Sindone di Torino


A Londra, in una mostra di falsi smascherati, sono state esposte le fotografie della sacra Sindone, indicata come un falso risalente al XIII secolo, falso che sarebbe stato dimostrato grazie alla datazione fatta con il C14. Ma non è vero. L’amico ing. Ernesto Brunati e molti altri hanno scoperto la frode: la sostituzione dei campioni. La Chiesa si è limitata a pendere atto e disciplinatamente ha accolto i risultati dell’indagine dichiarando che la Sindone sarebbe solo un’icona, cioè un falso. La frode è nata negli ambienti anglicani e protestanti, accomunati dalla volontà di negare i miracoli e la stessa storicità di Cristo come narrata nel Vangeli.

La scoperta che le macchie rossastre sul telo, che la tradizione indicava come il lenzuolo funebre di Cristo, rappresentavano realmente l’immagine in negativo di un corpo fu dovuta ad un tecnica allora nuova: la fotografia. E’ molto interessante ricordare come venne accolta la scoperta. Ci fu chi l’accolse e chi si oppose, negando ostinatamente che potesse realmente trattarsi del lenzuolo funebre che avvolse Cristo dopo la crocifissione.

A tutt’oggi non sappiamo come realmente si è formata quella immagine, dovuta ad una leggera bruciatura superficiale del tessuto di lino, come se una luce abbagliante, proveniente dal corpo di Cristo, ne avesse impresso l’immagine, facendo del lino un negativo fotografico. È certo che anche oggi riprodurre quella reliquia, con i mezzi di cui disponiamo, sarebbe molto difficile, se non impossibile. Quello che interessa qui è il rifiuto della realtà di Cristo. Attorno a lui puntualmente si ripete ciò che avvenne quando era in vita.

La corrente dei negazionisti riuscì infine a costringere la Chiesa, del dopo Concilio, a dichiarare quel lenzuolo un falso, solo una sacra icona. La Chiesa dal canto suo si occupa delle stelle. Esiste un osservatorio astronomico del Vaticano situato in America nel paradiso degli osservatori astronomici. Nel mondo dell’astronomia l’osservatorio del Vaticano è molto stimato. L’interesse per l’astronomia ebbe inizio per mettere una pezza alla figuraccia fatta con Galileo. La cosa è in ogni caso lodevole a patto che la Chiesa si decida a capire il significato ed il ruolo di tutta la Scienza e della Tecnica nel bene e nel male, un ruolo in ogni caso enorme, che non può certo essere considerato, come pensava Benedetto Croce, un semplice strumento in più messo nelle mani dell’uomo.

Le condizioni per scattare la prima fotografia della Sindone si verificano nel 1898, quando ormai da vent’anni esistevano conoscenze, macchine fotografiche, lastre sensibili, esperienze per fotografare, diventata ormai una tecnica consolidata. In quell’anno, dopo decenni che non viene più esposta, è prevista un’ostensione della Sindone in occasione dell’Esposizione di Arte Sacra, che si svolgerà per il cinquantenario della promulgazione dello Statuto Albertino. Il primo ad avere l’idea di fotografare la Sindone fu il salesiano don Natale Noguier de Malijay, professore di fisica e chimica. Ma la sua richiesta rivolta al proprietario re Umberto I venne rifiutata. Fino a quel momento la Sindone era conosciuta nel suo aspetto naturale: un telo che recava un’immagine bruno chiaro poco visibile, senza contorni e incerta, fantomatica. Si distingueva a malapena la doppia sagoma del corpo disteso, molto meno evidente rispetto alle immagini fotografiche, che si avvantaggeranno della possibilità di aumentare il contrasto. È per questo che Secondo Pia, l’avvocato che si dilettava di fotografia, ottenne dei negativi fotografici che rivelavano l’uomo della Sindone con una precisione mai vista. Questi negativi ebbero una risonanza eccezionale, negli ambienti religiosi e scientifici, come pure presso il grande pubblico. In una relazione scritta in seguito, Secondo Pia descriveva il procedere dello sviluppo dei negativi sulle lastre di vetro: «Ho provato una fortissima commozione quando durante lo sviluppo ho visto fin dall’inizio comparire sulla lastra per primo il volto santo con tanta evidenza che restai stupito ed esultante, dato che da quel momento potevo essere sicuro del buon risultato della mia impresa» (Secondo Pia, Memorie -1907)

Lo sviluppo del negativo aveva pian piano rivelato un’immagine imprevista, impressionante per il suo realismo e per il fatto che il negativo era il positivo! La prima elaborazione di una immagine aveva così fatto conoscere l’uomo della Sindone. Bisogna insistere sul fatto che, come noto, il negativo fotografico di Secondo Pia restituiva un’immagine in positivo, che si può ottenere solo partendo da un negativo. Quindi le tracce appena visibili sul lenzuolo erano un perfetto negativo fotografico. Per dirla in poche parole era come se la Sindone di Torino fosse un negativo fotografico. Era quindi molto difficile che un falsario medievale potesse anche solo immaginare di realizzare un’immagine in negativo.

Le foto di Secondo Pia suscitarono molto rumore. Secondo Pia in realtà non era un dilettante ma un professionista della fotografia. L’immagine dell’uomo della Sindone si presentava con incredibile precisione, era molto più chiara e dettagliata dell’originale. La differenza tra la pallida immagine della Sindone e quella evidentissima offerta dalla fotografia era così impressionante che in un primo momento si pensò ad una mistificazione. Secondo Pia dovette dare dimostrazione della sua buona fede (Arthur Loth, La Phtographie du Saint Suarie, Paris -1910).  La polemica appassionò l’Italia, e ancor più la Francia, per molti anni, fino al 1903.

Per la prima volta ci si interrogò seriamente sulla natura dell’immagine del lenzuolo. Si avviò una serie di studi. Ma quello che interessa è la reazione dei molti che rifiutarono l’ immagine di Cristo, un’immagine che incute rispetto e paura. La cultura predominante di quel tempo era arrivata all’idea di un Cristo molto poco reale, una specie di invenzione generata da una schiera di fanatici. Di Cristo si salvava il messaggio sociale, ma alla sua resurrezione non credeva quasi nessuno e molti dubitavano anche della sua reale esistenza storica. La Sindone era considerata un oggetto di culto nato nel medioevo, un’icona, come alla fine è stato costretto a dichiarare lo stesso papa Wojtyla. Ma l’accanimento contro la Sindone era scattato subito, appena vennero diffuse le immagini del volto, ricavate dalle prime fotografie. Eppure esistevano alcuni fatti che avrebbero dovuto tacitare subito le critiche. L’ immagine veniva rivelata da un mezzo tecnico nuovo: la fotografia. In questa scoperta non esisteva nessuna influenza di antiche credenze. Sino ad allora non esisteva neppure il concetto di negativo fotografico, quindi per realizzare un falso sarebbe stato necessario realizzare un perfetto negativo, un’ immagine incomprensibile allo stesso ipotetico autore, un’immagine ottenuta senza coloranti ma semplicemente bruciacchiando in alcune zone la superficie del telo di lino. I chiodi apparivano infissi tra le ossa dei polsi in modo da reggere il corpo. I chiodi infissi nel palmo della mano, come si rappresenta in tutta l’iconografia cristiana, non avrebbero avuto alcun effetto di sostegno perché la mano si sarebbe lacerata.

Il primo a prendere posizione contro l’autenticità della Sindone fu il canonico Ulysse Chevalier, storico e socio corrispondente dell’Institut francese. Egli condusse un’ indagine storica sulla reliquia. Fu il primo a portare alla luce molti documenti d’archivio della massima importanza, che attizzarono la polemica: lettere e bolle papali risalenti all’epoca in cui la Sindone era conservata a Lirey, e soprattutto il memoriale di Pierre d’Arcis. Tra il 1899 e il 1903 Chevalier pubblicò una serie di opuscoli destinati a dimostrare l’origine medievale della Sindone. La sua linea ebbe una grave lacuna: ignorò completamente l’immagine del volto uscita dalle fotografie della Sindone!



Invece il professor Yves Delage agnostico, cattedratico francese di grande prestigio, professore alla Sorbona di zoologia, anatomia e fisiologia comparata, sostenne l’autenticità della Sindone. La sua relazione del 1902, presentata all’ Académie des Sciences, concludeva affermando che si trattava certamente del lenzuolo funebre di Cristo. La relazione di Delage venne censurata dal segretario dell’Accadémie, che rifiutò di stampare sui Comptes Rendus (gli Atti ufficiali dell’Académie) le parti della relazione in cui si affermava che l’immagine della Sindone è quella di Gesù. Delage chiese di poter compiere un supplemento di indagine sulla Sindone, ma il permesso gli venne negato. Delage tornò ai suoi studi e non si interessò oltre dell’argomento.

Ricordo che negli anni cinquanta mio padre, un buon cattolico, mi disse che del volto di Cristo esisteva l’ immagine e mi mostrò una riproduzione della Sindone. Mi sembrò che anche lui non fosse completamente convinto che quella fosse l’immagine di Cristo. Rimasi colpito dall’espressione di quel volto. Ne ricavai molti disegni, uno del 1954 lo conservo ancora. L’impressione che ricavo oggi guardando quel volto è quella di un immenso dolore. Il volto di un uomo che ha subito violenze ed offese ben maggiori di quelle inferte al suo corpo. Una lontananza incolmabile da noi, che lo guardiamo e che facciamo così fatica a fare quello che ci chiede.

Da Kierkegaard sino ad Heidegger


Questo capitolo finale è un’appendice di storia della filosofia, destinato a richiamare concetti utili per la lettura del lavoro.

Dopo l’ubriacatura della ragione, eletta al rango di una divinità, come esito dell’epoca dei lumi. Dopo le sanguinose conseguenze di questa ubriacatura, la ragione divenne fonte di dubbi. I poteri della ragione, che parevano potessero creare un mondo destinato ad un progresso continuo di civiltà, vennero rivolti a creare distruzioni, creare una nuova barbarie. I valori più alti del patrimonio spirituale dell’Umanità vennero infine sommersi nel sangue delle due guerre mondiali e vennero trasformati nelle volontà di potenza e di violenza alla quale era stata tolta anche il fine di dominio, per diventare violenza fine a se stessa. Scompare quell’enorme entusiasmo che aveva trascinato l’Occidente in una folle corsa verso grandi successi e poi verso la tragedia della disperazione e della morte totale. Viene la crisi, una specie di connotato ripetitivo ed ossessivo. La crisi permanente e ricorrente induce, costringe a guardarsi dentro, dando vita ad una variegata corrente di pensiero, che prenderà il nome di esistenzialismo. Torna di moda la filosofia che induce l’uomo a rientrare in se stesso. Sarebbe stata una grande occasione per le chiese cristiane tentare la riconquista del favore del popolo. Ma solo pochi saranno capaci di fare questo passo.

Nel 1855 era morto Sören Kierkegaard (10), che aveva espresso la sua esperienza personale, diventata universale grazie alla sua profonda religiosità.  Kierkegaard aveva vissuto e descritto il dramma della sua anima, tormentata sino alla disperazione dalla coscienza del peccato, percepito come parte non cancellabile dell’esistenza. Ma sarà vivere con coraggio tutta intera la disperazione, la strada per trovare Dio. Egli avvertì sino in fondo tutta l’amarezza del sua esperienza spirituale, scoprendo il paradosso che questa disperazione è connaturata con la vita degli uomini. «Non c’è nulla di più grande e di più terribile che esistere in quanto uomo, vivere sotto la propria coscienza vigile, da solo nel mondo». In chi decide di essere se stesso si rinnova in tutta la sua tragicità la storia del primo uomo.

«Dio, dice Kierkegaard, nel trarmi dal nulla, mi ha posto in uno stato d’innocenza e d’ ignoranza, stato di sogno che così è indeterminato, come è indeterminato il nulla, ed – al pari di questo – è ricchezza infinita di possibilità, uno stato indistinguibile tra bene e male. Dio ama la sua creatura, e perciò la vuole libera; e non può volerla libera senza darle la coscienza di quella sua assoluta indeterminatezza che è l’innocenza e quindi della possibilità di avere coscienza di esistere. «Tu non mangerai – dice Dio ad Adamo – i frutti dell’albero della scienza del bene e del male, se no, certo tu morirai». L’innocenza dell’uomo è ignoranza, è non sapere, ma accompagnato dal sapere di non sapere, e dunque dal sapere di poter sapere. Ogni uomo ha usato la possibilità di sentirsi esistente. Invaso da questa libido sciendi, ha consapevolmente assunto il suo ruolo di essere finito; ha chiuso irrevocabilmente nella determinazione e nella finitezza del suo essere singolo la ricchezza infinita delle possibilità che s’aprivano davanti a lui.

Ho voluto sapere quel che sono; sono passato così dal sogno dell’innocenza alla veglia della conoscenza. Ho visto che, essendo creatura di Dio, io non appartengo a me stesso. Io che sono un essere creazione di Dio dal nulla, per me stesso sono nulla. Tuttavia questo riconoscere di essere nulla  è già porsi come qualcosa, che se non fossi qualcosa non sarei neppure capace di riconoscermi. In questo riconoscermi consiste appunto il mio esistere, la mia singolarità finita. Individualità finita deriva dall’essere infinito. Non posso affermarmi nella mia finitezza, non posso essere me stesso, senza contrappormi a Dio, senza vedermi nudo di fronte a Dio. E questo è peccare. Non posso esistere senza peccare; e non posso non esistere. Non posso esistere senza assumere la responsabilità di me stesso; ma non posso essere me stesso senza scoprirmi peccatore. Perciò appunto io mi scopro come contraddizione vivente, come un paradosso, come un mistero a me stesso. Ho voluto sapere, ho voluto affermare me stesso, e con ciò mi sono perduto. Perciò l’ esistenza è angoscia: angoscia del finito di fronte all’infinito, vertigine della libertà che, dopo aver raggiunto la sua finitezza ed essersi in essa determinata, risollevandosi, si scopre colpevole; simile alla vertigine che prova chi è sopra un abisso dove avrebbe potuto non guardare, ma dall’abisso, l’occhio che vi ha diretto lo sguardo, si risolleva smarrito e confuso. L’angoscia si risolve nella disperazione, ossia nell’atto in cui l’individuo accetta di vivere se stesso come un paradosso. Ma è questa disperazione che gli fa sentire la presenza di Dio, di Dio salvatore. Dalla disperazione nasce il contrario, la fede in una coincidenza immediata di opposti, per via di una salto, inverso a quello per cui io sono passato dall’innocenza al peccato. Dalla coscienza esasperata del peccato, dall’estremo limite dell’angoscia, nasce la redenzione e la salvezza opera della grazia, il soccorso di Dio. Quanto più intimamente sento la fuga dal tempo in cui sono immerso, quanto più profondamente percepisco la morte che è nella mia vita, il nulla che è nel mio essere, tanto più pre-sento nella temporalità l’eterno, nell’esistenza l’annullamento dell’affermazione di sé. Nel cedere della ragione all’angoscia disperata, io rinunzio al tentativo orgoglioso di comprendere razionalmente me stesso e Dio; tentativo che implica la tentazione satanica di voler accusare Dio della libertà che mi ha concesso, insieme alla libertà di peccare. Mi abbandono, oltre ogni comprensione razionale, alla fede; trasformo la mia vita in preghiera rivolta a qualche cosa che non so, preghiera per il nulla. E tuttavia in questo pregare mi salva. Per il legame che esiste tra i contrari, il peccato chiama la grazia, l’esistere chiama l’essere, il finito chiama l’ infinto. L’esistenza è insieme una ferita e la sua guarigione (10).

Questa intuizione dell’esistenza come incontro paradossale tra l’eterno ed il tempo finito, come sintesi del finito e dell’infinito, come coincidenza dell’essere il singolo presente a se stesso insieme presente davanti a Dio, e di Dio davanti al singolo, capovolge la negatività del peccato nella positività della grazia.

Questo è il punto da cui partono le tre dottrine che si svilupperanno in Germania nel clima della Rinascita kierkegaartiana: la teologia della crisi di Karl Barth, insieme alle altre due definite esistenzialiste: quella di Martin Heidegger e quella di Karl Jaspers. In Francia avremo la dottrina di Sartre, ultra atea e dichiaratamente comunista marxista.

L’eredità di Kierkegaard, più di sessant’anni dopo la sua morte, sarà quindi raccolta in Germania nel 1919, per colmare il baratro creato dalla prima guerra mondiale. Tuttavia può apparire giustificato il sospetto che il pensiero filosofico germanico, a corto di nuove ispirazioni, abbia cercato nel pensiero di Kierkegaard qualche cosa di nuovo in cui rinnovarsi. Ma poi i tedeschi torneranno ai loro consueti arzigogoli e tradiranno, traviseranno il pensiero di Kierkegaard, così chiaro e vero.

Ora quale ramo dell’esistenzialismo pensate che con le sue propaggini sia entrato nel Concilio Vaticano II?

Non certo Barth, profondamente cristiano ma un poco comunista, anche se lo era in modo molto critico. E poi Barth era protestante. Escluso anche Jaspers, poco incisivo, restava solo il nazistoide Heidegger, che infatti influì attraverso il suo discepolo Rahner.

Vediamo come Heidegger ha modificato e travisato il pensiero di Kierkegaart da cui sarebbe derivato l’esistenzialismo.

Il pensiero di Heidegger


Richard Wagner
  Martin Heidegger
Heidegger sarà uno degli epigoni dell’esistenzialismo e, grazie alla cooptazione tra i padri conciliari di Karl Rahner, suo devoto allievo, sarà il suo pensiero ad ispirare il cammino verso la modernità di Santa Romana Chiesa. Bastava leggere qualche pagina di un testo di storia della Filosofia come quello del Lamanna (10) per rendersi conto dell’errore verso cui veniva trascinato tutto il popolo dei fedeli.

Hidegger si professò sempre cristiano, anche se il Cristianesimo non entrò nel suo sistema filosofico. Per lui la questione fondamentale fu cercare il senso dell’essere. Il suo maestro Husserl (1859-1938) questo senso o significato lo aveva trovato nelle essenze ideali che costituirebbero l’immutabile trama dell’essere, sciolta in ogni contingenza storica e psicologica, in schemi temporali che è compito della fenomenologia descrivere come limiti delle diverse sfere del mondo ideale, ciascuna sfera chiusa nella sua propria autonomia.

Sembra avere inizio una imponente produzione di fumo di marca germanica, un fumo che eserciterà un fascino tanto più sarà oscuro ed incomprensibile. Scrivo prendendo dall’ ancora ottimo testo del Lamanna (10). La coscienza come intenzionalità, ossia rapporto di trascendenza con quegli oggetti ideali che vengono intuiti dentro se stessa, è l’assoluto, il termine ultimo della riduzione fenomenologica. Proprio questo punto di arrivo della coscienza secondo Husserl, invece per Hidegger diventa il fondamento del mondo delle essenze costitutive del senso dell’essere.

Husserl aveva trascurato il reale nel suo divenire, per Heidegger in questo aspetto trascurato del reale c’è l’esserci, la realtà di essere presenti. Questa presenza vuole comprendersi e per questo pone in questione se stessa: perché ci sono al posto di non esserci? Per rispondere è necessario trascendere se stessi; nell’Essere esiste il fondamento alla sua finitezza. L’esistenza si rivela come l’essenza dell’esserci. Questo emergere (ex-sistere) è la metafisica, come azione dell’esserci. L’esistere è metafisica, in quanto è un esprimersi dell’essere a se stesso, rivelazione dell’essere a se stesso, un venire dell’essere a sé stesso nelle sue concrete determinazioni.

La vita è un essere per la morte

Questa filosofia è stata definita dell’autosufficenza della finitudine umana avvolta dal nulla, da cui emerge ed in cui poi sprofonda. La trascendenza non è che l’atto del trascendimento compiuto dall’uomo nell’intimità del suo esserci, atto per il quale l’uomo resta chiuso in se stesso. Nel trascendimento la finitezza dell’uomo si afferma come autosufficienza e, nel suo sforzo di afferrarsi a qualche cosa, scopre il nulla. Umanismo e nullismo si congiungono strettamente. Peggio di così è impossibile. Alla fine di Dio non c’è traccia. In realtà quando diciamo che tutto è nulla, implicitamente dichiariamo che per noi qualche cosa potrebbe essere reale solo se fosse eterna.

Il legame di Rahner con Heidegger



Heinz J. Vogels – che certo non può essere considerato un tradizionalista – ha messo in evidenza i principali pericoli insiti nella teologia rahneriana: Padre, Figlio e Spirito Santo visti come tre modi di manifestarsi di un’unica Persona divina e non come tre Persone distinte (modalismo); Gesù Cristo solo espressione storica del Padre, non Persona divina preesistente (adozionismo); mancato riconoscimento del carattere di persona dello Spirito Santo; una rischiosa tendenza a vedere operante in Gesù Cristo un’unica energia (monoenergismo) e un’unica volontà (monotelismo), quella divina, mettendo in ombra la componente umana; la maternità divina di Maria messa implicitamente in discussione; affermazione della capacità dell’uomo di auto-redimersi. Anche ad una rapida occhiata, è possibile comprendere che qualcosa non va nella teologia dell’illustre gesuita.

Al fondo c’è l’attrazione fatale di Rahner per Heidegger, padre dell’ esistenzialismo nella versione che negava l’esistenza di Dio, così come lo intende la fede cattolica. C’era in Rahner il pericolo implicito di una teologia che, portata alle estreme conseguenze, conduce lontano dall’ortodossia cattolica. Non sarebbe il primo caso, nella storia della Chiesa, di un teologo che, pur pensando di mantenere se stesso all’interno della fede cattolica, ha di fatto, suo malgrado, dato il via a rovinose deviazioni dottrinali, che hanno poi ripercussioni gravissime nella vita spirituale dei fedeli, e prima ancora nei seminaristi e dunque nei futuri sacerdoti. Papa Roncalli si preoccupava per la scarsa ortodossia di Padre Pio e non si era accorto delle forti deviazioni dottrinali di Rahner?

Di Heidegger uomo non si può dire gran che bene. Alcuni aspetti della sua vita sono stati raccontati da suo nipote Heinrich, sacerdote cattolico, figlio di Fritz Heidegger, fratello del filosofo. Insieme a Pierfrancesco Stagi, Heinrich ha scritto un libro: Martin Heidegger, mio zio (ed. Mursia), dove si sforza di elogiarne le idee e la filosofia. Heidegger in privato criticava il nazismo, ma portò sulla giacca lo stemma del partito sino agli ultimi giorni di guerra, giorni che trascorse nel caveau della banca di Messkirch, dove erano già stati messi al sicuro i suoi preziosi manoscritti. Si considerò sempre un buon cristiano, cattolico anche se non molto osservante. Dalle pagine del nipote, emerge il rapporto di Heidegger con l'arcivescovo Conrad Gröber (1872-1948), le cui prediche erano seguite da agenti della Gestapo e da giovani, tra i quali spunteranno teologi, come lo stesso Karl Rahner (già proprio l’allievo devoto che porterà il pensiero ateo e nichilista di Heidegger dentro il Concilio). Heinrich racconta il «grande interesse» di Heidegger per il Concilio Vaticano II, nel quale egli «leggeva una rottura della Chiesa con il passato». Infatti fu una rottura, anzi la demolizione dei fondamenti della Chiesa. Il Concilio si sarebbe dovuto limitare ad un aggiornamento, capire finalmente ciò che era realmente avvenuto dal medioevo in poi. Per capirlo bastava rileggere i Vangeli, avendo in mente le parole di Cristo ed applicarle alla situazione presente. Invece la trasformazione venne affidata agli esperti, anzi ad un solo esperto: un gesuita tedesco.

Ma il pensiero di Heidegger non era certamente inserito nel futuro, non avendo dato una soluzione valida al problema principale determinato dalla presenza della Scienza e della Tecnica nel mondo moderno. Un problema esplosivo, visto che tutti gli aspetti materiali della vita erano mutati, causando una serie di cambiamenti politici e sociali anche tragici, cambiamenti inaugurati dalla Rivoluzione francese, che per i cristiani e per la Chiesa fu un bagno di sangue e di martirio.

Conclusione

Con la denuncia delle vicende e degli scontri ideologici dietro la trasformazione del cattolicesimo da una fede religiosa ad un ente appena socialmente utile, rivolto a supportare il potere unico mondiale, il quadro può dirsi completo. Le coraggiose improvvisazioni dei papi che sono seguiti hanno restituito un po’ di vita ad una Chiesa esangue. Ma l’arte delle immagini è diventata una parodia oscena, legata ad un’estetica giustificata solo da un uso sociale delle droghe. Alle immagini sacre è stato fatto compiere un percorso ancor più umiliante: una parodia del sacro e del peccato. La cultura è cresciuta tra ideologie massificanti di sinistra e velleitari impegni orientati a mostrare una inesistente libertà concessa dal grande potere unico.  Gli strumenti di controllo della pubblica opinione si appoggiano a poderosi e sofisticati apparati, creati da nuove tecniche. Cresce la Tecnica, diventata l’ unico credo universale, unica religione, unico strumento di progresso e di potere ed insieme unica arma dei contropoteri, unica verifica della Verità.

Con il fallimento delle chiese cristiane per dare una giustificazione alla devastazione sismica di Lisbona, ebbe inizio il cammino dell’Illuminismo. Con la dimostrazione della potenza distruttiva raggiunta dalle armi atomiche, uscite dalle ultime propaggini dell’ Illuminismo: la distruzione di due città giapponesi Hiroshima e Nagasaki, ha avuto inizio la cancellazione degli stati nazionali e la costruzione di un potere unico mondiale, un potere in cui una fede religiosa autentica può sopravvivere solo tornando nelle catacombe, in un altrove che gli aspiranti alla libertà si costruirono agli inizi del Cristianesimo, nel silenzio e nella preghiera, dentro i cimiteri contigui alla morte, dentro i primi romitaggi ospitati nelle grotte.

Alla creazione del potere unico, nelle mani della finanza internazionale, ha contribuito involontariamente il tentativo iniziale dell’URSS di creare, in opposizione al capitalismo, un sistema politico mondiale fondato sulla dittatura del proletariato, inutilmente atea. Il tentativo dei paesi del patto di Varsavia naufragò a causa dell’impossibilità di reggere il confronto dialettico (e militare) con l’Occidente, che mise in campo una guerra totale, anche culturale.  Quindi ben pochi si sono indignati per l’influenza della CIA a sostegno di un’arte che è stata imposta come arte moderna. Anzi alcuni hanno applaudito lo sforzo, anche finanziario, compiuto all’insaputa dei cittadini americani che hanno pagato le tasse per sostenere tutta l’ operazione. La grande orrenda vetrata pop della chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo (*) è opera di un artista chiamato direttamente dal Vaticano e, insieme alla chiesa in cui è inserita, costituisce l’esempio più eclatante della linea imboccata dalla Chiesa Cattolica dopo il Vaticano II in fatto di architettura sacra.



Particolare del drago a sette teste che incombe sulla Robert Rauschenberg Gerusalemme celeste, non più tanto celeste perché è scesa a terra. Questa immagine sembra piuttosto il trionfo del drago



È difficile pensare che gli Stati Uniti siano estranei ai mutamenti che si sono verificati nella Chiesa Cattolica dopo la scomparsa di Pio XII. Dal noto libro della Saunders (11) sulla strategia adottata dalla CIA nel campo culturale per vincere la guerra fredda contro l’URSS, si deduce che quasi tutte le attività culturali occidentali furono seguite, ostacolate o incoraggiate da varie ramificazioni della CIA. L’elenco, presentato dalla Saunders con grande dovizia di prove e riscontri, sarebbe stato molto più breve se al contrario avesse citato le poche attività che restarono immuni dall’ influenza americana. In particolare venne riservata molta attenzione alle iniziative, peraltro rare, rivolte a trovare una forma di convivenza con il comunismo. Persino Guareschi, con le storie di don Camillo e di Peppone, venne visto con sospetto ed osteggiato. Per non parlare poi del sequestro Moro e della sua esemplare condanna a morte, eseguita in modo da scoraggiare chiunque avesse pensato di seguirne la linea politica, allora non gradita agli americani. La controprova venne pochi anni dopo, quando le brigate rosse, nel dubbio di essere state giocate dai servizi segreti, sequestrarono il generale Dozier, che gli americani provvidero a liberare rapidamente con i loro agenti, che riservarono un trattamento piuttosto duro ai brigatisti colti in flagrante.

In America Latina c’è stato il lungo intervento sulle chiese cristiane e su quella cattolica in particolare, affinché mantenessero una linea senza cedimenti verso il comunismo.

Nelson Rockfeller è stato un personaggio chiave della politica estera americana. Durante la seconda guerra mondiale coordinò le operazioni di intelligence in tutto il sud America. Egli fu molto preoccupato per l’orientamento pauperista delle chiese in America latina quando, nel 1969, dopo una visita in quei paesi, si convinse che le organizzazioni religiose potessero finire sotto l’influenza dei rivoluzionari. Allora molti missionari protestanti o cattolici scelsero di diventare informatori della CIA, con la convinzione di compiere un dovere patriottico. I servizi segreti poterono quindi attuare azioni mirate colpendo i sovversivi.

Questo è ben documentato nel libro della Penny Lernoux: Cry of the People, dove dice: «esistono prove certe che la CIA in America latina ha usato gruppi religiosi per perseguire i suoi scopi. Nello stesso tempo ha sostenuto le persecuzioni contro la Chiesa Cattolica dell’America latina e ne incoraggiò le divisioni sostenendo i gruppi cattolici di destra. Inoltre ha finanziato e addestrato la polizia locale che si è resa responsabile di arresti, torture e assassini di preti, suore e vescovi, alcuni di questi cittadini statunitensi».

C’è stata anche un’azione di carattere politico con finanziamenti fatti passare attraverso gruppi legati alle chiese. 2.6 milioni di dollari è costata la campagna per l’elezione del Cristiano Democratico Eduardo Frei in Cile nel 1964. E questo fu solo l’inizio della recente serie di interventi degli USA in sud America.

Per il Concilio Vaticano II non sono trapelati interventi americani. Se ci furono, certamente furono molto riservati. La conclusione tuttavia è nei fatti: le modifiche introdotte nella Chiesa Cattolica hanno azzerato la sua presenza negli Stati Uniti, dove al contrario, una ben orchestrata campagna di stampa stava denunciando una supposta intollerabile ingerenza dei cattolici nella politica statunitense.

Il primo grande rinnovamento del pensiero fu l’Illuminismo, che ebbe la sua prima legittimazione da come, in suo nome e con i suoi principi, era stata affrontata l’emergenza della città di Lisbona, distrutta da un terribile terremoto nel 1755, il giorno della festività di Ognissanti. Dei circa 270000 abitanti, poco meno di un terzo trovò la morte in quel cataclisma che sconvolse la Spagna e l’Africa nordoccidentale. Si era scatenata l’ira di Dio per i peccati degli uomini? La Chiesa non capì l’errore mortale in cui stava cadendo condannando in toto l’Illuminismo. Il marchese di Plombal ebbe pieni poteri dal re del Portogallo ed attuò, senza stragi di oppositori, ciò che qualche decennio dopo sarebbe stato compiuto, in un lago di sangue, dai giacobini a Parigi, in Francia ed infine in tutta Europa. Plombal applicò la ragione della Scienza e in poco tempo pose rimedio al disastro. Questo successo valse poi all’ Illuminismo il grande consenso che conquistò in Francia, diventando lo spirito guida della Rivoluzione francese.

C’è un legame tra la distruzione dell’arte e la cancellazione della fede religiosa? La nuova religione è quella che riconosce negli Stati Uniti (con Israele) il paese eletto da Dio per guidare tutti i popoli della Terra. Tutto ciò che è ostacolo a questo disegno, che sarebbe voluto da Dio, deve essere cancellato con qualsiasi arma. La nuova arte è funzionale a questa quasi religione universale, imposta con la forza persuasiva di un vasto arsenale di armi atomiche.

In questo quadro la figura di Rahner assume il ruolo di uno strumento, suggerito ed appoggiato come consigliere del Concilio, proprio per le sue ambiguità, proprio per gli effetti negativi che sarebbero derivati dalle sue idee. Aveva il compito di portare la cristianità al collasso, ma papa Wojtyla fece del papato un irresistibile spettacolo per i giovani e mandò a monte gli aspetti pratici della congiura. Papa Ratzinger, che era ben al corrente di come si erano articolate le delibere del Concilio, tentò una revisione ideologica dei risultati del Vaticano II, ma da buon tedesco non poteva certo attuare una contro-congiura e abdicò.

Infine tentiamo una risposta alla domanda cruciale che ci si pone sempre ancora oggi davanti ad un disastro naturale, ovvero causato dallo scatenarsi di forze presenti nel mondo naturale, quello che alcuni definiscono innocente sin dal suo nascere.

Perché ci sono rovine e vittime per disastri naturali? È l’ira di Dio che si manifesta a causa dei peccati degli uomini? Non lo possiamo escludere.

Cristo tolse il mistero, nulla dopo di lui sarebbe stato inconoscibile o impossibile. Disse che l’uomo, come figlio di Dio, abitava nella casa che il Padre gli aveva dato e che aveva l’ intelligenza per capire tutto del mondo naturale. Disse che bisognava cercare sempre la verità, tutta la verità, non solo quella del mondo dello spirito, ma anche quella del mondo fisico. San Francesco aggiunse che la natura non era dominio del demonio ma sorella dell’ uomo essendo opera di Dio. Ma la casta dei sacerdoti, che si ricreò, fece della fede un suo monopolio. Costoro amministrarono il perdono dei peccati, ma dimenticarono che c’era un peccato che non poteva essere perdonato: quello contro lo Spirito Santo, ovvero il peccato contro la Verità.

Nel 1531 c’era già stato un terremoto a Lisbona. Chi e cosa aveva impedito di studiare e capire perché la terra trema e inventarsi una tecnica per costruire le case in modo che resistessero ai terremoti? Fu l’Illuminismo, in questa occasione, a suggerire a Plombal di fare quello che si sarebbe dovuto fare qualche secolo prima, seguendo lo spirito del Vangelo: studiare la Terra per svelare i suoi segreti. Si pensi che il giovane Immanuel Kant nell’occasione lasciò per qualche tempo la filosofia e si mise a formulare ipotesi su cosa ci fosse all’ origine dei terremoti. Con lui tanti altri e nacque la sismologia. Perché nei monasteri si era smesso di studiare le scienze della natura? Perché si era smesso di cercare la Verità?

Questo è stato il peccato: quello contro la Verità. In tre Vangeli è detto espressamente che questo peccato non viene perdonato. Ecco i morti e la distruzione di Lisbona, ecco tutti i morti che seguiranno a causa delle persecuzioni giacobine, ecco il demonio a cui è stato concesso di colpire.

Non si preoccupi il lettore: è solo un’ipotesi. Ma il povero Rahner, con tutta la sua orgogliosa teologia, il suo amorazzo senile, esce come un nano, con tutta la miserevole architettura e con l’ancor più misera arte sacra, approvate e volute dal Vaticano II, un Concilio da dimenticare e da rifare.

Professor Raffaele Giovannelli

(parte I)

*) Su chi sia l’autore della vetrata le versioni non concordano. Dalla documentazione reperibile in internet risulta che la vetrata dovrebbe essere opera di Robert Rauschenberg, un maestro della pop-art. Questa vetrata è l’elemento peggiore di tutta la chiesa, ammesso che sia possibile stabilire una graduatoria tra le infamie di tutta l’opera. La vetrata è realizzata con tessuto serigrafato visto in trasparenza. Coloro che scelsero questo insigne maestro speravano di attirare nella chiesa i giovani stanchi di frequentare discoteche e di assumere droga?  Wikipedia dice che il Vaticano nel 1998 offrì l’incombenza a Rauschenberg, che poi pare si sia visto rifiutare il progetto. Altri invece affermano che fu proprio Rauschenberg a realizzare l’opera, costruendo un miserevole collage, prendendo lo spunto da un celebre arazzo, che illustra momenti dell’ Apocalisse e che ora è custodito nel castello di Angers in Francia. Soffermiamoci su questo argomento. Robert Rauschenberg (1925 –  2008), fotografo e pittore statunitense, vicino alla pop art, senza mai aderirvi realmente. Innescò una corrispondenza con l'espressionismo astratto. Quindi ha messo insieme quanto di peggio si possa concepire nelle arti delle immagini. Troviamo scritto che nel 1998 il Vaticano, per la chiesa progettata da Renzo Piano, avrebbe preso l’iniziativa di commissionare la vetrata a Rauschenberg, vetrata che poi sarebbe stata rifiutata (non è chiaro se il rifiuto fu dell’ autore o del Vaticano, infatti è scritto solo: later refused). Ma alla fine la vetrata è stata messa in opera e tutti i fedeli debbono sopportare quel capolavoro.




10) E. P. Lamanna, Sommario di Filosofia, Vol. III, Felice Le Monnier, 1950
11) S. Saunders, Gli intellettuali e la CIA – la strategia della guerra fredda culturale, Roma, Fazi Editore, 2004.