Infallibilità della Chiesa e del Papa (II)
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Il Papa con Cristo formano l’unico capo della Chiesa, che non ha due capi: il Papa e Cristo separatamente

S. Tommaso (†1274) e Torquemada (†1468)

Il soggetto unico della Giurisdizione e del Magistero è il Papa, non l’Episcopato

Il Cardinale Juan de Torquemada (1388-1468) nella Summa de Ecclesia (II, 112, f. 258r, Colonia, 1480), seguendo l’Aquinate (Quodl., l. IX, q. 7, a. 16; S. Th., II-II, q. 1, a. 10 sed contra; ivi, q. 11, a. 2, ad 3um), ammette un solo soggetto del Potere sommo di Giurisdizione universale nella Chiesa e dell’Infallibilità e non due soggetti distinti: il Papa e la Chiesa universale sine Papa o il solo Episcopato in Orbem dispersus, oppure l’Episcopato riunito nel Concilio imperfetto. Infatti la Chiesa senza il Papa (l’Episcopato nelle Diocesi o riunito nel Concilio imperfetto) che è il suo Capo, ossia considerata come “congregatio distincta aut separata a Papa[1], non gode dell’Infallibilità, né della Giurisdizione suprema e universale.

In questo modo il Nostro Autore (Torquemada, S. de Eccl., II, 112, f. 258v) fa derivare l’Infallibilità del Papa dalla promessa di Cristo dell’assistenza di Dio, basata sulla efficacia divina della sua preghiera. In virtù di questa preghiera e di questa assistenza il Papa non può esser considerato un uomo come tutti gli altri, perché è oggetto di una provvidenza e di un’assistenza divina del tutto speciale, in quanto Vicario di Cristo, che deve mantenere l’unità di fede e di comunione o carità nella Chiesa colla pienezza del potere di governo e di Magistero. Dio è la Causa prima ed efficiente principale di questa assistenza e il Papa è la causa seconda, principale e subordinata a Dio (cfr. San Tommaso d’Aquino, S. Th., II-II, q. 1, a. 9; Id., Quodlib., IX, q. 7, a. 16).

Il Concilio ha Potere solo “una cum Papa / assieme al Papa”

Il Concilio convocato dal Papa non ha un potere distinto da quello del Pontefice Romano, ma «habet potestatem una cum Papa” / ha potere “assieme al Papa”, in quanto il Papa comunica e partecipa al Concilio la sua potestà, come il vigore del corpo umano gli deriva dalla sua testa, tagliata la quale, il corpo intero muore» (Torquemada, Summa de Eccl., III, 35, f. 315r). Il Papa è il Capo della Chiesa docente, ossia dell’Episcopato sparso nel mondo oppure riunito in Concilio ed anche della Chiesa discente, cioè dei Chierici e dei fedeli laici.

L’Episcopato non è alla pari del Papa, ma gli è subordinato

I Vescovi nei Concili ecumenici non sono “con-giudici” alla pari o in maniera adeguata col Papa, ma il Papa definisce come causa efficiente principale e i Vescovi come cause subordinate al Sommo Pontefice. Essi concorrono all’effetto della definizione dommatica in maniera inadeguata, ossia non alla pari con la causa principale che è il Papa. Certamente i Vescovi sono veri giudici, però esercitano la loro funzione sotto e subordinatamente all’influsso e al potere del Capo supremo della Chiesa, che è il Papa: cum Petro et sub Petro, mai separati dal Papa nel qual caso non sarebbero successori formali degli Apostoli, ma solo materiali cioè solamente quanto al potere di Ordine validamente ricevuto (Sacerdotium/Ministerium) e non quanto a potere di Giurisdizione (Imperium) e d’Insegnamento (Magisterium), poiché gli Apostoli erano uniti e sottomessi a Pietro e i Vescovi per essere pienamente (non solo quanto al Sacerdozio, ma anche quanto alla Giurisdizione e  al Magistero) debbono essere uniti e sottomessi al Papa.

Il Papa è Vicario principale e universale di Cristo, i Vescovi sono soltanto Vicari subordinati e particolari o locali

Se il Papa è il Vicario principale, universale (cioè per tutta la Chiesa), supremo e unico di Cristo; i Vescovi sono Vicari subordinati, particolari (cioè soltanto nelle loro Diocesi e non in tutta la  Chiesa sparsa in tutto il mondo), essi sono nominati dal Papa e ricevono il Potere o Giurisdizione da Dio tramite il Papa, il quale invece la riceve direttamente da Dio (cfr. S. Tommaso d’Aquino, Contra errores Graecorum, XV, 256).

Papa Vicario di Cristo, Vescovi Vicari degli Apostoli

Il Torquemada spiega che i Vescovi sono i successori e i Vicari degli Apostoli, subordinati a Pietro e al Papa (J. de Torquemada, Summa de Ecclesia, II, 37). Ciò significa che il Papa riceve il Primato e la pienezza del potere immediatamente da Cristo (Summa de Eccl., II, 38) e non dai Cardinali, dal Concilio o dalla Chiesa (S. de Eccl., II, 40-44). Quindi il rapporto che intercorre tra il Papa e i Vescovi è lo stesso che intercorre tra Cristo vivente su questa terra e gli Apostoli, perché il Papa “tiene il luogo o fa le veci” di Cristo esercitandone le funzioni e l’ufficio, ossia ne è il Vicario principale, e i Vescovi “tengono il luogo o fanno le veci” degli Apostoli. Quindi il Papa rappresenta “Cristo in terra” e ne fa le veci o ne è il Vice e “la Chiesa di Cristo deve essere governata da Gesù mediante il suo Vice o Vicario principale” (S. de Eccl., II, 38, p. 152).

XVI secolo

Cajetanus: Episcopato senza Papa = pecore senza pastore

Secondo Tommaso de Vio detto il Cajetanus (1468-1533) il Concilio senza il Papa rappresenterebbe solo le pecore senza il pastore. Ora Pietro è stato istituito da Cristo unico Pastore a cui è affidato l’unico ovile che è la Chiesa (Cajetanus, Tractatus de Comparatione Auctoritatis Papae et Concilii, Roma, 12-X-1511, ediz. Pollet, Roma, Collegio Angelicum, 1936, cap. VII, p. 49, n. 85).

La Chiesa o l’Episcopato, quindi, non è al di sopra o alla pari del Papa, ma è sotto il Papa come l’ovile e il gregge sono sotto il pastore. Se il Concilio, i Vescovi, i Chierici e i fedeli - invece - pretendessero di essere non gregge ma Pastore, se non de jure almeno de facto, non sarebbero il Pastore scelto da Cristo, che è Pietro; ma un pastore “abusivo” o un lupo travestito da pastore (Cajetanus, Tractatus de Comparatione, cit., cap. VII, p. 49, n. 86).

Il Papa con Cristo formano l’Unico Capo della Chiesa

Il Papa forma con Cristo l’Unico Capo della Chiesa. Qui occorre ben distinguere e non cadere nell’equivoco di ritenere che vi sia un governo simultaneo di due Capi (Cristo/Papa[2]) nella Chiesa.

Torquemada riprende l’insegnamento di S. Tommaso d’Aquino (S. Th., III, q. 8, a. 6; Summa contra Gentiles, lib. IV, cap. 76) che parla di un duplice influsso sulle membra della Chiesa: a) uno interno mediante la grazia santificante e in questo modo Cristo è il Capo e la Causa dell’unità della Chiesa; b) l’altro esterno, attraverso il governo visibile dell’Autorità pubblica, che è il Papa, Vicario (visibile in terra) di Cristo (asceso in Cielo, e quindi invisibile agli uomini ancora viatores in terra ad Patriam); inoltre il Papa è il successore di Pietro. Dunque “non vi sono due Capi separati: Cristo e il Vicario di Cristo, ossia il successore di Pietro, ma un solo Capo: Cristo (oramai invisibile all’uomo viatore) con il Papa suo Vicario o Vice gerente visibile in terra”.

Uno solo è il soggetto del Potere nella Chiesa: il Papa. Non vi sono due soggetti del Potere: Papa e Vescovi

Sempre seguendo l’Aquinate (Quodl., l. IX, q. 7, a. 16; S. Th., II-II, q. 1, a. 10 sed contra; ivi, q. 11, a. 2, ad 3um) il cardinal Torquemada (Summa de Eccl., II, 112, f. 258r) ammette un solo soggetto del Potere sommo e dell’Infallibilità e non due soggetti distinti: il Papa e la Chiesa universale sine Papa, ossia l’Episcopato sparso per il mondo o il Concilio imperfetto. Infatti la Chiesa senza il Papa che è il suo Capo, cioè considerata come “congregatio distincta aut separata a Papa[3], non gode dell’Infallibilità e del supremo Potere di Giurisdizione universale.

Grande dignità dell’Episcopato

“I Vescovi sono i successori degli Apostoli nel Governo ordinario delle singole Diocesi, sotto l’autorità del Sommo Pontefice, che governa la Chiesa universale” (CIC del 1917, can. 329, § 1).

L’Episcopato è d’origine divina, ossia è fondato sulla volontà di Dio, che lo ha istituito jure divino. Quindi, come il Papato, anche l’Episcopato dovrà durare sino alla fine del mondo.

L’Episcopato è monarchico, ossia ogni Diocesi ha un solo Vescovo. Storicamente è attestato che sin dall’inizio del II secolo, nella Chiesa universale, vige ovunque l’Episcopato monarchico e non collegiale (il Vescovo affiancato dai Presbiteri e dai Chierici, alla pari, nel governo della Diocesi).

I “Padri Apostolici” (II secolo) con S. Ignazio d’Antiochia († 107) attesta che tutte le “chiese locali” o Diocesi erano dotate, già prima del 100, di un solo Vescovo, come unico Capo della Diocesi e dei Chierici di essa (Ephes., I, 2; III, 2; Magnesia, II, 1; Trall., I, 1; Ad Polycarpum, Prologo; Philadel., 11; Rom., II, 2; IX, 1). Perciò l’Episcopato, secondo S. Ignazio, è inderogabilmente monarchico per norma e per divina Istituzione. La Diocesi non può essere governata dal Vescovo e dai presbiteri in maniera collegiale (S. Ignazio d’Antiochia, Rom., IX, 1 ss.). Lo stesso insegnano S. Ireneo di Lione (Adv. haeres., III, 14, 2), S. Cornelio papa (Epist., XLIX, 2) ed Eusebio da Cesarea (Hist. eccles., VI, 43, 11).

Quindi, secondo la Tradizione apostolico/patristica, per diritto divino, il Primato del Vescovo nella sua Diocesi è incontrovertibile. I Vescovi perciò, come successori degli Apostoli, hanno ricevuto dal Papa, nel governo della loro “chiesa locale” o Diocesi, il triplice potere di Magistero, Ministero (o Sacerdozio) e di Imperio (o Giurisdizione).

I Vescovi sono veri Dottori e Maestri nella loro Diocesi (CIC, can. 136), sono i custodi e gli interpreti autentici della divina Rivelazione, cum Petro et sub Petro; mentre i Presbiteri, i Diaconi e i Chierici sono subordinati e sottomessi ai Vescovi (Tertulliano, De Baptismo, XVII). Infatti il Vescovo è lodato come “il Principe dei Sacerdoti” (Didascalia degli Apostoli, II, 26, 4-8), che fu composta da un Vescovo siriano, rimasto anonimo, nei primissimi decenni del III secolo.

Il Concilio Vaticano I, che fu interrotto dall’invasione massonico/risorgimentale di Roma il 20 settembre del 1870, aveva preparato un canone, che non poté definire, il quale recita: “Se qualcuno dicesse che la Chiesa è stata istituita da Dio come una Società di eguali, senza Gerarchia e che il Ministero e l’Ufficio ecclesiastico deriva alla Chiesa direttamente dai soli Vescovi [ossia umanamente, ndr] e che essa non ha un Potere di Giurisdizione che le compete per divina Istituzione, anatema sit” (Collectio Lacensis, VII, col. 577).

Il Concilio di Trento (sess. XXIII, can. 4) afferma: “Ai Vescovi, che sono i successori degli Apostoli, appartiene specialmente questo Potere gerarchico (Giurisdizione) che li rende successori degli  Apostoli” (DB, 960).

Il Concilio Vaticano I (DB, 1828) ha ribadito la medesima verità già definita dal Tridentino.

San Pio X (Decreto Lamentabili, 3 luglio 1907) ha condannato la dottrina modernistica, secondo cui l’Episcopato si sarebbe costituito umanamente per motivi puramente umani e pratici, indipendentemente dall’Istituzione divina, che gli conferisce il compito di continuare l’opera degli Apostoli” (DB, 2050).

Il Giuramento antimodernista (Motuproprio, Sacrorum Antistitum, 1° settembre 1910) insegna esplicitamente che i Vescovi sono successori degli Apostoli per Istituzione divina (DB, 2147).

Il CIC conferma la divina Istituzione dell’Episcopato come continuazione dell’Ufficio degli Apostoli (can. 3329, § 1)[4].

La “Collegialità episcopale” del Vaticano II confutata dal Torquemada con 500 anni d’anticipo

Secondo il Torquemada (1388-1468[5]) il Papa è l’Episcopus omnium Episcoporum. In breve, come si è insegnato comunemente sino alla vigilia del Concilio Vaticano II (1962-1965), “Il potere gerarchico della Chiesa è un potere monarchico, in opposizione ad un potere collegiale o oligarchico/aristocratico; il potere ecclesiastico non è affidato ad una autorità collegiale, ma viene esercitato da un unico titolare del potere” (A. Lang, Compendio di Apologetica, Torino, Marietti, 1960, pp. 260-261; II ed., Proceno – Viterbo, Effedieffe, 2018).

L’autorità del Concilio deriva e dipende dal Sommo Pontefice, perché solo a Pietro e ai suoi successori Cristo ha dato la pienezza del potere di Giurisdizione e di Magistero. I Vescovi ricevono quest’autorità dal Papa in maniera subordinata a lui. Quindi anche il Concilio riceve l’autorità di Giurisdizione e di Magistero dal Papa. Né vale la distinzione gallicano/conciliarista tra “Sede e sedente” poiché colui che insegna e governa non è la “sedia” o il trono, ma colui che vi sta assiso (“actiones sunt suppositorum / le azioni appartengono ai suppositi”, che agiscono a non ai minerali o agli enti inanimati, i quali non possono agire). La Chiesa universale è infallibile non come comunità distinta dal Papa, ma come corpo del quale il Pontefice Romano è il Capo, da cui il corpo riceve l’influsso vitale. Perciò il supremo potere di Magistero nei Concili ecumenici spetta solo al Papa, che - se vuole - lo partecipa al Corpo dei Vescovi, il quale è subordinato e sottomesso al Papa (S. de Eccl., III, f. 289v). Come si vede la dottrina cattolica tradizionale riaffermata dal Torquemada nel XV secolo, che è l’era del Conciliarismo[6], è in rottura e non in continuità con la dottrina pastorale del Concilio Vaticano II riguardo alla Collegialità episcopale (Lumen gentium, 22).

Riprendendo San Tommaso d’Aquino (De Pot., X, 4, ad 13; S. Th., I, q. 35, a. 2, ad 2um; ivi, q. 1, a. 10; II-II, q. 2, a. 2, ad 3um) il Torquemada (Summa de Eccl., III, 32, f. 309r ss.) insegna che il Papa e la Santa Sede danno al Concilio “robur et firmitatem definiendi. Ergo quidquid in Conciliis universalibus statuitur et definitur, auctoritate Summi Pontificis principaliter fit ” (S. de Eccl., III, 32, f. 309). In breve, per fare un esempio, il Papa di fronte al Concilio è come la volontà che muove tutte le altre facoltà dell’uomo (S. de Eccl., III, 32, f. 311r).

La “Lumen gentium” del Concilio Vaticano II

Quanto alla Collegialità episcopale insegnata pastoralmente dal Vaticano II (Lumen gentium, 22) si potrebbe obiettare: il Papa ha stabilito questa dottrina e quindi così bisogna credere. Si risponde: in primis Paolo VI non ha voluto definire né obbligare, avendo scelto una forma di Magistero puramente pastorale e non dogmatica[7]; in secundis per divina Istituzione i Vescovi ricevono la Giurisdizione dal Papa, che solo ha la pienezza del potere e il Primato di Giurisdizione. Ora il Papa non può sorpassare i limiti che gli vengono dal diritto e dalla Rivelazione divini e quindi, siccome la Chiesa per volontà di Dio ha una costituzione monarchica, in cui vi è un solo Capo supremo, la sua divina costituzione sarebbe sovvertita se il Pontefice Romano volesse o potesse, per assurdo, comunicare ad altri (il Corpo episcopale come ceto stabile, v. Lumen gentium, 22 e la Nota explicativa praevia) la pienezza del suo potere, perché si avrebbero due capi nella Chiesa, ossia una specie di mostro, cioè un corpo con due teste come Giano bifronte. Ma ciò non è consentito al Papa perché esula dai suoi poteri in quanto contraddirebbe la divina volontà di Cristo nel fondare la Sua Chiesa sopra un solo Capo (Pietro/Papa) e sugli Apostoli e i Vescovi subordinati a lui.

In termini filosofici tomistici, che il Torquemada conosceva molto bene[8], si può dire che i Vescovi stanno al Papa come le cause secondarie/subordinate alla Causa principale, la quale conferisce loro la capacità di agire, per esempio i pennelli  ricevono dal pittore la  capacità di  dipingere. Il Nostro (Torquemada, S. de Eccl., II, c. 18) fa anche degli esempi che ci aiutano a capire meglio tali rapporti: il sole (il Papa) illumina le stelle (i Vescovi); la radice (il Papa) dà la linfa vitale agli alberi (i Vescovi). Infine come nel corpo umano le mani, i piedi, gli occhi… non riescono a raggiungere la capacità e la forza della testa, così nel “Corpo Mistico di Cristo, che è la Chiesa” (Efes., I, 23) tutte le membra (fedeli, Chierici e Vescovi) messe assieme non eguagliano il potere del Capo visibile di essa, che è il Papa (S. de Eccl., II, 22, p. 135).

In breve tutto quello che i Vescovi e la Chiesa (considerati senza Papa, ossia senza Capo) hanno per partecipazione, quanto al potere di Giurisdizione e di Magistero, si trova per sé, in misura maggiore e come nella sua fonte originale, nel Papa, il quale lo ha ricevuto direttamente da Dio e lo partecipa ai Vescovi (J. de Torquemada, Apologia Eugenii IV sive de Summi Pontificis et generalis Concilii potestate, Firenze – Venezia, 1759 ss., Mansi, 31B, 1998; De Summi Pontificis auctoritate flores Sententiarum Divi Thomae, Firenze, 1715, p. 44 ).

Conclusione

Riassumendo, il titolo papale significa che il Sommo Pontefice riceve la pienezza di Cristo per quanto è possibile alla natura umana (S. de Eccl., II, 53, p. 169 ad 2um).

Inoltre il Papa forma con Cristo un solo Capo (visibile = Papa / invisibile = Cristo) della Chiesa universale. Infatti Cristo la santifica con la grazia soprannaturale, che è invisibile all’occhio umano, e il Sommo Pontefice la governa visibilmente con il triplice potere di Giurisdizione (legislativo, giudiziario ed esecutivo).

La pienezza del potere di Giurisdizione appartiene al Papa in quanto sommo e principale Vicario visibile di Cristo e a lui solo perché è l’unico Suo Vicario principale e universale (S. de Eccl., II, 53, p. 169, ad 2um). I Vescovi sono Vicari degli Apostoli, ossia subordinati a Pietro e al Papa e governano solo sulle loro Diocesi locali, ma non sula Chiesa universale.

d. Curzio Nitoglia



[1] Cfr. Torquemada, Apologia Eugenii IV sive de Summi Pontificis et generalis Concilii potestate ad Basileensium oratorem in Florentia responsio, Firenze-Venezia, 1759 ss., Mansi, 31B, 1979.

[2] Cristo è il Capo invisibile della Chiesa dopo l’Ascensione in Cielo (“esse”) e vivifica l’anima della Chiesa con la grazia santificante e soprannaturale (“agere”). Egli  ha lasciato su questa terra alla Chiesa - che è una Società soprannaturale, ma visibile - un Capo visibile, che è il Papa, il quale la governa visibilmente con il Primato di Giurisdizione (potere legislativo, giudiziario ed esecutivo), col Magistero e col Ministero o Sacerdozio,  come si addice ad ogni Società visibile. Quindi uno solo è il Capo della Chiesa: Cristo governando invisibilmente e il Papa governando visibilmente, cioè la Chiesa ha un solo Capo nell’ordine dell’essere: Cristo/Papa, che però governa (nell’ordine dell’agere) in modo diverso, visibilmente il Papa, invisibilmente Cristo. Per fare un esempio, l’uomo è uno solo anche se è composto di anima invisibile e di corpo visibile. L’uomo non è soltanto anima o soltanto corpo, non è neppure un’anima unita soltanto accidentalmente al corpo, però sostanzialmente distinta da lui come un cavaliere al cavallo (Platone e Cartesio), ma è un’unione sostanziale di anima e corpo che sono i 2 co-princìpi sostanziali dell’uomo, cioè essi messi assieme formano la sostanza completa detta essere umano, anche se l’anima è superiore al corpo, come lo spirito al corpo, l’atto alla potenza, la forma alla materia, l’essere all’essenza. Invece anima e corpo presi separatamente formano un fantasma (la prima) e un cadavere (il secondo). Così Cristo (vero Dio e vero uomo), pur essendo superiore al Papa che è soltanto un puro uomo, governa - invisibilmente con la grazia soprannaturale - la Chiesa assieme al Papa, che la governa visibilmente con la Giurisdizione, facendo leggi (potere legislativo), giudicando chi le vìola (potere giudiziario) e castigandolo (potere esecutivo).

[3] Cfr. Juan de Torquemada, Apologia Eugenii IV sive de Summi Pontificis et generalis Concilii potestate ad Basileensium oratorem in Florentia responsio, Firenze-Venezia, 1759 ss., Mansi, 31B, 1979.

[4] Cfr. E. Ruffini, La Gerarchia della Chiesa negli Atti degli Apostoli e nelle Lettere di San Paolo, Roma, 1921; A. M. Vellico, De Episcopis juxta doctrinam catholicam, Roma, 1937; V. Cavalla, Episcopi e Presbiteri nella Chiesa primitiva, in “Scuola cattolica”, n. 64, 1936, pp. 235-256.

[5] Cfr. Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, vol. XII, 1954, coll. 330-331, voce “Torquemada, Juan de” a cura di Alfonso D’Amato.

[6] Si legga, a proposito del Conciliarismo del Quattrocento, il bel lavoro di Rodolfo Dell’Osta, Un teologo del potere papale e i suoi rapporti col cardinalato nel secolo XV. Teodoro De’ Lelli Vescovo di Feltre e Treviso: 1427-1466 (Belluno, Tipografia Silvio Benetta, 1948).  Il cardinal Pietro Parente e Monsignor Antonio Piolanti (in Dizionario di Teologia Dommatica, Roma, Studium, IV ed. 1957, p. 84, voce Conciliarismo; V ed., Proceno – Viterbo, EFFEDIEFFE, 2018) hanno definito Teodoro De’ Lelli “uno dei pochi difensori del Primato pontificio nel secolo XV” anche contro le pretese di una parte del Cardinalato, che riteneva di essere successore degli Apostoli e di poter limitare il potere papale.

[7] Cfr. cardinal J. Ratzinger, Discorso alla Conferenza Episcopale Cilena, Santiago del Cile, 13 luglio 1988, in “Il Sabato”, n. 31, 30 luglio-5 agosto 1988: «Il Concilio Vaticano II si è imposto di non definire nessun dogma, ma ha scelto deliberatamente di restare ad un livello modesto, come semplice Concilio puramente pastorale».

[8] Cfr. R. Bianchi, De constitutione monarchica Ecclesiae et de infallibilitate Romani Pontificis iuxta Divum Thomam Aquinatem ejusque scholam in Ordine Praedicatorum, Roma, 1870.