Non siamo più capaci di fare la guerra. Allora evitiamo
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Il nostro ministro Maroni e il ministro francese degli Esteri, Alain Juppé, non hanno nessun motivo per amarsi. Eppure, quanto si somigliano! Maroni se la prende con l’Europa, che non ci aiuta a bloccare i tunisini. Juppè ce l’ha con la NATO, che «non fa abbastanza» per sostenere la guerra anglo-francese in Libia. «La NATO deve accettare il proprio ruolo in pieno; ha voluto prendere la guida delle operazioni, e noi abbiamo accettato...». Gli alleati devono dare più aerei alla campagna umanitaria compiere più missioni di bombardamento. Inglesi e francesi ne stanno impiegando una ventina ciascuno (Belgio, Norvegia, Danimarca e Canada 6 ciascuno); da marzo sono state compiute 800 missioni di attacco, e non bastano: Gheddafi e le sue truppe, per nulla atterrite dopo le prime ore, stanno conquistando terreno. Frattanto, la NATO ha praticamente esaurito i suoi magazzini di bombe di precisione al laser. I Paesi europei della NATO, perchè è ovvio che il Pentagono ha grande abbondanza di uova fatali, ma – dice – non si adattano agli aerei francesi.

«Non è una grossa guerra», ha malignato John Pike, direttore di GlobalSecurity.org: «Se gli europei restano a secco di munizioni in questa fase così iniziale di una campagna così piccola, cè da chiedersi quale tipo di guerra progettavano di combattere. Forse hanno solo pianificato di usare la loro forza aerea per gli air-show». La malignità risulta puntuta se si sa che i francesi contavano di fare della facile guerra in Libia proprio un air-show che avrebbe aumentato le vendite internazionali dei loro caccia-bombardieri. Non più, se non arrivano gli americani. Sarko e Cameron hanno convinto Obama a fare un truce dichiarazione congiunta per intimidire Gheddafi, dal titolo «Khadafi must go»: Le Figarò l’ha sparata in prima pagina, il New York Times a pagina 19. Speriamo che il colonnello si spaventi. Washington sta cercando un Paese che ne ospiti l’esilio (per Saddam fu tutt’altro trattamento).

Perchè a questo punto si deve ammettere: i generali dell’Armée che ebbe Napoleone come capo supremo dovrebbero essere obbligati a tornare alla Scuola di Guerra per ristudiare i concetti di strategia, tattica e pianificazione. Mai, almeno mai in Europa a lungo insanguinata da secoli bellici, un’operazione è stata pianificata con tale approssimazione e superficialità.

Anzitutto la pianificazione politica, il pretesto usato per scatenare la guerra con l’approvazione politicamente corretta dell’ONU: «Proteggere la popolazione civile» di Bengasi e Cirenaica dalle stragi gheddafiane, imponendo una no-fly zone ma – per carità, questo no – senza alcuna intenzione di detronizzare il dittatore: una guerra già a metà, e persa a metà.

La scelta degli alleati su terreno: i ribelli così fotogenici nelle riprese mentre sparacchiano in aria con i loro mitragliatori pesanti montati su pick-up a beneficio delle telecamere, si sono mostrati un’entità risibile, limitata e di poco peso nel Paese; metà dei suoi dirigenti, inoltre, ex gheddafiani. La loro forza, hanno scritto giornalisti inglesi, «sta interamente nel sostegno, politico e militare, di cui godono sul piano internazionale». Quanto a formare un governo funzionante, e soprattutto a conquistare qualche parvenza di vittoria – anche sotto il riparo della no-fly zone – sono del tutto incapaci. Secondo alcuni osservatori nella stessa Bengasi, saldamente in mano agli insorti, si deve essere molto prudenti a prendere un taxi la notte o a percorrere certe vie, perchè infestate di tiratori del colonnello. L’inviato della Reuters ha notato, pochi giorni fa, un combattente-ribelle nella città strategica di Ajdabyah che «mentre trafficava con il nastro della mitragliatrice ha fatto esplodere accidentalmente due proiettili battendone la coppiglia con un sasso... un camerata combattente è stramazzato al suolo, colpito alla testa, un altro è stato ferito».





La sola volta che i ribelli devono aver mostrato un’operazione convincente è stato ai primi di aprile, quando hanno convinto gli aerei della NATO: che hanno spiaccicato una dozzina di combattenti della libertà avanzanti su Brega a bordo di T-55 e T-70, avendoli presi per carri armati di Gheddafi. «Non sapevamo che i ribelli avessero anche loro dei carri armati», è una delle scuse emanate da Londra e da Parigi. Il che la dice lunga sullo stato dei collegamenti e dell’intelligence che i comandi anglo-francesi hanno stabilito con la gente sul terreno. «Ne abbiamo 400, e ne otterremo ancora», ha replicato il generale Yunis, il comandante dei ribelli. Non dev’essere tanto vero; forse è il caso di mandare qualche spia a vedere, e qualche commando-puntatore a illuminare i veri tanks nemici (ma sarebbe invasione di terra). (NATO ducks apology over Libya rebel deaths)

E a proposito di intelligence, quale serie di informazioni riservate e segrete ha convinto Sarko e David che le forze armate del colonnello si sarebbero disperse e sfaldate al primo impatto dal cielo? Complimenti per gli informatori.

La sola cosa in cui i ribelli sembrano insuperabili è: rigettare ogni proposte di compromesso. Ne hanno rifiutato una avanzata dall’Unione Africana e una della Turchia. La loro posizione è ferma: «Khadafi must go», come se passassero di vittoria in vittoria. Ciò che vogliono (le loro delegazioni sono in USA a fare lobby) è che la NATO continui anzi intensifichi gli attacchi aerei, che intervenga di nuovo la forza aerea americana (che attualmente sta alla finestra); propongono il bombardamento a tappeto delle città in mano a Gheddafi, con tanti saluti per il pretesto iniziale della campagna: salvare vite civili.

E a quanto si deve constatare, le forze gheddafiane riescono benissimo ad avanzare a terra anche sotto la minaccia costante dei caccia alleati (il che dovrebbe avviare un qualche ripensamento, negli Stati Maggiori, sull’efficacia miracolosa della guerra aerea); i mortai, i cecchini e gli incursori del colonnello fanno un lavoro così egregio, che un medico dei ribelli, a Misurata, s’è così lamentato col giornalista del New York Times: «Invece della no-fly zone, adesso abbiamo la no-safe zone».
Nessuna strada è sicura.

Chiedono anche armi, i ribelli, per il loro esercito improvvisato: armi più pesanti, con più volume di fuoco, con più esplosivo. Ma intanto, dagli arsenali libici saccheggiati nei primi giorni sono usciti grosse e inaccertate quantità di missili a spalla, artiglierie antiaeree, RPG, non tutte rimaste in Libia. Gli isrealiani sospettano che venisse da quegli arsenali l’avanzato missile russo anticarro che qualche settimana fa ha centrato uno scuolabus israeliano, e avvertono che Hamas ed Hezbollah stanno cercando di fare shopping di quel materiale. Del resto, prevedono gli esperti (di guerre malfatte), la disponibilità di tante armi grosse da esercito in mani di kabile e tribù, finirà per rendere criminale l’opposizione, sul tipo delle organizzazioni guerrigliere sudamericane, seminando divisioni e scie di sangue che ci vorranno decenni a risolvere. La pretesa di Gheddafi di star combattendo terroristi e criminali comuni troverà dunque la sua verifica nei fatti.

E c’è di peggio dietro l’angolo se, come ipotizza Stratfor, una delle motivazioni di questa avventura bellica anglo-francese con troppe e intersecantesi motivazioni, era quella di mostrare a Berlino che erano loro i leader politici d’Europa. Umiliazione delle umiliazioni, Angela Merkel ha inviato in Libia un agente speciale di nome Schmidbauer, che Spiegel ha ribattezzato «agente 008», il quale ha preso contatto con laSpada dellIslam, ossia col figlio di Gheddafi. Se si capisce qualcosa di questa iniziativa, è meno quella di salvare la faccia a Londra e a Parigi, che quella di stabilizzare la situazione nello status-quo ufficialmente riconosciuto da Sarko e Cameron: non avevano detto che il loro scopo non era quello di detronizzare il colonnello, ma si salvare vite umane?

Gheddafi lascia capire che, ricevute le opportune garanzie, può anche abdicare... in favore del figlio. Intanto combatte e avanza. Insomma l’iniziativa è ancora più che mai in mano sua, e riesce persino a passare per la figura più ragionevole in questa commedia – il che è francamente comico.

Lo stallo allarma Washington, che aveva dato il via alle operazioni aeree e i cui caccia sono poi rimasti sulle portaerei nel Mediterraneo, in attesa che gli anglo-francesi finissero il lavoro. Invece sono finite le bombe al laser. In pochi giorni. Questo è il tipo di guerra che solo il Pentagono – che l’ha inventata – può condurre con abbondanza di mezzi inesauribile (il che non significa capacità di vincere). D’altra parte, se si interrompono le operazioni aeree, sarà molto difficile riprenderle.

Che fare, si domandano a Washington? Tornare a impegnarsi nel conflitto o restarne fuori? Si parla persino di inviare truppe di terra... insomma si ricade nel classico e tante volte ripetuto scenario delle guerre americaniste che cominciano con conflitti limitati, qualche consigliere militare e qualche ONG democratica (sovversiva), e finiscono in escalation caotiche e senza controllo.

«Questo carattere dincontrollabilità non consiste solo nelle difficoltà dei belligeranti di fissare gli impegni e le scelte in rapporto alle forze presenti; si tratta di una incontrollabilità al livello della sostanza della cosa, con lintrusione della pressione del Sistema, che genera atteggiamenti e scelte che non hanno più niente a che vedere con la situazione sul terreno, comprese le situazioni contraddittorie e paradossali» (Dedefensa).

Dal 1946 al 1954 la Francia appena uscita dall’occupazione fu in grado di condurre una guerra ferocissima e dissanguante all’altro capo del mondo (Indocina, ossia Vietnam) e fu sul punto di stroncare la resistenza algerina, Londra inondò di mezzi e truppe inesauribili dell’impero il Nordafrica da Bengasi ad El Alamein e sovrastò l’Africa Korps; oggi, sono impantanate contro Gheddafi, una Libia con 6 milioni di abitanti e il suo esercito dimezzato.

Arriviamo alla triste conclusione: in Europa, non siamo più capaci. Ci mancano la volontà di andare fino in fondo, la cultura militare, la memoria storica, il know how strategico e persino tattico. Non riusciamo più a bombardare senza uno scopo umanitario, ed è questo il primo problema. Abbiamo lasciato scadere tutta la conoscenza e anche la spiritualità bellica. Allora meglio rassegnarci: lasciamo perdere, non siamo più capaci.


P.S.: Una conferma: mentre cerco la parola Indochine su Google per controllare le date del conflitto, salta fuori come prima voce Wikipedia: «Indochineè un gruppo musicale francese new wawe e alternative rock... ». E pensare che per una generazione non ancora scomparsa di francesi la parola Indochine evocava l’orrore e il dolore, l’atrocità e l’eroismo della Legione a DiemBien Phu e ai suoi nidi isolati nella foresta tropicale, che continuarono a battersi al di là di ogni soccorso, di ogni speranza. Chi ne ha voglia, cerchi il vecchio film La 317me Section: storia vera di un battaglione coloniale composto di laotiani, comandato da un tenente e quattro sottufficiali francesi, che viene annientato dalle continue imboscate dei Vietnminh mentre si ritira nella foresta per raggiungere la salvezza (non casualmente, l’unico a salvare la pelle è laiutante Willsdorf, legionario straniero, tedesco veterano della Seconda Guerra Mondiale, magistralmente interpretato da Bruno Cremer: i vecchi soldati sono quelli che non muoiono mai). Il film, dicono, veniva mostrato ancora recentemente nelle scuole ufficiali francesi. Probabilmentem non più.


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