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Come sopravvivere alla crisi?
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Gli americani già se lo domandano. In USA, è sempre esistita una corrente «survivalist», di gente che accatasta viveri d’emergenza, armi e oggetti da campo in vista di un’autosufficienza forzata in caso di catastrofe. Questa corrente ha preso ora nuova vita.

Apocalittico, un sito survivalista (The Power Hour) fornisce l’elenco dei «100 generi che saranno i primi a sparire»: tipicamente americano, mette al primo posto «generatori autonomi», al terzo «wc portatili», al settimo «armi, munizioni, coltelli, bastoni», al 29mo «assorbenti femminili»; e solo al 93mo posto «sigarette» - il che me lo rende, personalmente, non del tutto credibile.

Alcuni dei consigli però suonano molto sensati: «legna da ardere» (quarta nella lista), con l’avvertenza che la legna ci mette da 6 a 12 mesi per asciugare in modo da poter essere usata come combustibile.

«Apriscatole a mano» e «mola per grano manuale» se mancherà l’elettricità. «Mutande lunghe e maglie da pelle di lana», mi paiono di essenziale utilità, come anche i «fazzoletti da collo» (i cow boy, ricordate, per non sporcare troppo la camicia), «stivali di gomma»  e «cappelli», nonchè i «bidoni da spazzatura», che possono diventare un mezzo di trasporto se sono con le ruote.

«Lamine di alluminio», sia in fogli sia più spesse, «ottime per cucinare e per baratto». Quanto alle «taniche per acqua», sono segnalate «urgenti», perchè fra le prime cose a sparire. Vero, l’ho visto a Sarajevo.

E a proposito: un «sopravvissuto di Sarajevo» (tre anni di assedio), fornisce una lista più breve ma colma di esperienza vissuta, e meno americana:

1 Immagazzinare è d’aiuto, ma non si sa mai quanto durerà il guaio, quindi meglio localizzare una fonte di cibo vicina.
2 Vivere vicino a un pozzo dotato di pompa a mano è come il Paradiso.
3 Dopo un po’ anche l’oro perde la sua appetibilità; invece, non c’è merce di lusso più desiderata della carta igienica; il suo valore di scambio diventa superiore a quello dell’oro.
4 Se si deve rinunciare a un servizio, meglio perdere l’elettricità che il riscaldamento, è più facile farne a meno, a meno che non si viva in un posto di clima mite. Vero: a Sarajevo, il gelo era senza fine. La gente si metteva a letto nel pomeriggio, al primo buio d’inverno, ciò calmava anche un poco il senso di fame. E’ accaduto lo stesso in Romania, ai tempi di Ceausescu.
5 Il cibo in scatola è ottimo, specie se è mangiabile senza cottura. Ma una delle cose migliori da immagazzinare è il sugo in scatola, perchè rende in qualche modo commestibili le cose asciutte e poco attraenti che si trovano da mangiare in guerra. Richiede calore suffficiente per riscaldarlo, non cuocerlo.
6 Avere dei libri, meglio di evasione, storie d’amore, di spionaggio eccetera: diventano sempre più preziosi più a lungo la guerra continua. Si avrà un sacco di tempo libero.
7 L’aspetto umano può presto svanire. Potrei raccontarvi di tanta gente di mia conoscenza che avrebbe scambiato un pasto di cui aveva bisogno per un po’ di dentifricio, rosso per labbra, lamette da barba, Colonia. Sono cose che tirano su il morale come niente altro.
8 Candele a lenta consumazione e tre altre cose: fiammiferi, fiammiferi, fiammiferi.
In un altro sito (grazie al lettore che me l’ha segnalato) qualcuno riflette, in modo profondo, su come mai nel 1929, nonostante le estreme durezze della vita, la società non implose; e come mai  invece la società gli pare tanto più fragile e vulnerabile al caos delinquenziale. E’ una riflessione che vale anche per noi. Vale la pena di riportarla:

«Consideriamo le qualità dell’America degli anni ’30. Era una società largamente agricola ed autosufficiente. Oggi l’1% della popolazione coltiva, e mantiene il restante 99%. Non dipendeva tanto quanto noi dalle reti di compuer, di comunicazione, dalle reti elettriche e dai carburanti da petrolio. La catena di rifornimento era corta: si mangiavano cibi coltivati nel raggio di cento chilometri. La classe dei marginali, dipendente dalla carità pubblica o privata, era più piccola. Imposte, tasse e tariffe di ogni genere erano più lievi. La maggioranza dei lavoratori aveva il posto di lavoro vicino a casa. In più, i disoccupati, erano disposti ad accettare lavori manuali duri, e pagati meno. La nazione intera era economicamente autosufficiente e poteva farcela senza importazioni. C’era un livello di indebitamento, pubblico e privato, molto più basso. All’inizio della Depressione, la maggior parte delle famiglie disponeva di risparmi liquidi; oggi siamo una nazione di debitori. Esisteva una moneta sana, ancora basata sul bimetallismo. Benchè Roosevelt avesse nel 1933 sequestrato tutto l’oro in mano ai privati, il dollaro era ancora pienamente redimibile in argento, e ciò fino al 1964. L’occupazione nelle grandi corporation era minore, e dunque minore il rischio di licenziamenti di massa capaci di devastare intere città. Una società più morale, che  aveva degli scrupoli e un atteggiamento generale di rispetto della legge. Una società omogenea che condivideva comuni valori cristiani (l’autore dice ‘giudeo-cristiani’), che andava in chiesa regolarmente; che conduceva una vita meno costosa, con gusti alimentari e abitudini di divertimento che non richiedevano grossi esborsi di denaro. Molte famiglie avevano una sola auto, e vivevano in case pià piccole, dunque più economiche da riscaldare. Nel 1930 la vita costava meno come percentuale del reddito, e la gente era capace, abituata e volonterosa di ‘fare senza’. Quando persero il lavoro, per lo più non persero anche la casa, perchè avevano finito di pagare il mutuo. Molta gente potè semplicemente tornare a un modo di vita autarchico e pagare le imposte sulla proprietà immobiliare con lavori contingenti.Oggi l’imposizione fiscale è eccessiva».

«Se l’America dovesse passare un’altra Grande Depressione, dato l’altissimo indebitamento e l’altissima dipendenza da reti e sistemi, ci sarebbero enormi sconvolgimenti e moltissimi senza-tetto. E con la attuale immoralità e l’atteggiamento prevalentemente egoistico che abbiamo assunto, non ho dubbi che esploderebbero saccheggi e disordini».

Come si vede, si parla qui di ben più che una crisi ecomomica; ci si aspetta una catastrofe, un’Apocalisse. E’ un timore esagerato, di gruppi millenaristici come sono spesso i survivalist?

Ebbene, un manager tedesco di un grosso fondo d’investimento, Walter K. Eichelberg, teme uno scenario apocalittico (1). Questo personaggio, intervistato, ha puntato il dito sul fatto che «il creditore solvibile di ultima istanza, lo Stato, si è fatto trascinare nella crisi globale», con gli immani stanziamenti per «garantire» i depositi, le banche e i loro capitali, il loro salvataggio.
Capitali che non ci sono, beninteso.

«Se altre banche vanno sotto e fanno appello alle garanzie (promesse dallo Stato) lo Stato collassa. Abbiamo cominciato a vederlo in in Islanda, Ungheria, Ucraina ed altri Paesi. Allora svendono Buoni del Tesoro in cambio di moneta, che ora è priva di valore. Se questo accade, è la fine».

E che cosa comporterebbe per la gente?, chiede l’intervistatore. Eichelberg: «L’implosione avviene perchè la moneta diventa priva di valore. Ci sarà iper-inflazione nei supermercati. Poi comincia la fame».

E cosa dovremmo fare, secondo lei? Risposta: «Non tenete moneta cartacea. L’euro è carta igienica, il franco svizzero non lo è meno. Suggerirei che la gente abbia cibo, che si compri un ettaro di terra arabile e investa in oro. L’oro è ancora a buon prezzo a 3 mila dollari l’oncia».

Ho esitato a riportare questa intervista. Eichelberg, con brutalità tedesca, dà voce allo scenario taciuto, che sicuramente in questi giorni agghiaccia tutti i ministri (responsabili, se lo sono) dell’Occidente.

La sparizione del credito con la fuga generale dai Buoni del Tesoro, grazie a cui gli Stati sono i prestatori d’ultima istanza, e sempre - fino ad oggi - solvibili. E’ lo scenario di cui si deve tacere, e sperare che non si verifichi.

Anche se è successo in Germania negli anni ‘20, in Argentina, in Russia più recentemente, nel ‘98; quando milioni di pensionati, la cui pensione non vale più nulla, hanno frugato nei bidoni della spazzatura e poi sono morti in silenzio, mentre i ricchi «oligarchi» facevano feste.

Ma non ci credo. Lo riferisco solo come motivo di riflessione. Esso costringe a una riflessione del tutto inaudita sulla economia, sul «mercato» e sui suoi «valori», che una simile realtà ristabilirebbe crudelmente.

Ciò che ha valore oggi, se l’ipotesi si realizzasse, lo perderebbe totalmente; e acquisterebbero valore cose che diamo per scontate, e che non siamo disposti a pagare troppo. Senza più moneta, si formerebbe un «mercato» elementare e fortemente reale.

Il contadino quanto valuterà, in fagioli, la vostra giacca di Armani, il nostro jean Dolce & Gabbana, le nostre scarpe Nike, lo zainetto firmato Naj Oleari, il telefonino da 500 euro con fotocamera a 5 mila pixel? Un chilo, o solo un etto? Basterà a sfamare la famiglia lo scambio del televisore al plasma seminuovo 46 pollici? Interesserà il pastore che detiene la riserva di pecorino? Dipende: se c’è ancora  elettricità.

Lo scenario apocalittico è quello in cui, semplicemente, i valori - che oggi abbiamo rovesciato - si ricostituiscono nella loro gerarchia naturale. Acquisterà un valore estremo il contadino, e lo perderà del tutto il finanziere e il banchiere che non sa coltivare.

Avranno valore amici sicuri e fidati, nessuno il politico e il promotore finanziario. Varranno molto una manciata di grano, un chilo di fagioli, tre etti di castagne, una fascina di legna, una scatola di fiammiferi; poco, pochissimo, tutte le griffes di lusso, gli stracci firmati, la paccottiglia col marchio di cui abbiamo ornato la nostra «personalità» e a cui abbiamo affidato il rispetto di noi stessi, il nostro falso senso di dignità.

Speriamo che ciò non avvenga. E in ogni caso, abbiamo sempre il Rosario (un’altra cosa spregiata, che riacquista valore); ma possiamo affermare, in coscienza, che non ci siamo meritati proprio questo?

Questo scenario, dice molto su di noi. E’ uno specchio davanti alla nostra faccia vera.




1) Florian Godovits, «Beginning of hyperinflation», The Epoch, 28 ottobre 2008.


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