Da Maritain ai catto-sessantottini
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Nel romanzo Limpostura, Georges Bernanos, dopo aver descritto un sacerdote che si dichiara orgoglioso di appartenere al proprio tempo, afferma: «Egli non ha mai prestato attenzione al fatto che in tal modo rinnega il segno eterno di cui è segnato». Bernanos aveva intuito che il culto del proprio tempo, crono-latria, stato d’animo senza serio fondamento e incentivo all’insensata diserzione dall’eternità, era il motore del rovinoso inseguimento cui si erano lanciati i cattolici posseduti delle effimere illusioni propalate dai moderni apostati. La cronolatria è un’alienazione inavvertita dalle vittime, convinte di obbedire non al futile e orchestrato si dice ma a edificanti messaggi lanciati da teologi illuminati e ispirati.

I banditori clericali della cronolatria, teologi da palcoscenico, predicatori da salotto e mistici miliardari, in una prima fase, hanno raccomandato l’attenzione dei fedeli alle scientifiche verità svelate dalla filosofia dopo Immanuel Kant e alla scienza dopo Charles Darwin & Pierre Teilhard de Chardin, in seguito hanno lodato i sofismi galoppanti nel Capitale marxiano e nelle commedie di Bertoldt Brecht, quindi hanno adottato i più roventi criteri della psicoanalisi e del pensiero debole, da Heidegger a Gianni Vattimo. Ultimamente la malattia ha svelato la sua profonda e abbietta origine, il conformismo trionfante e urlante in francofortese, e con voce impostata dal tenebroso e strutturalmente infantile Sessantotto.

Voce di prelati di paglia, di attempati sessantottini emergenti in adulate e affettuose comunelle, di banchieri devoti, predicanti da pulpiti costruiti con pietre insanguinate dall’usura, di azzimate attizzatrici di focolari spenti, di teologi deliranti intorno alla salma dello hegelismo, di filosofi devastati e in marcia su piste sodomitiche, di profeti sincretisti ruggenti nell’obitorio della ragione. Ruggiti in falsetto, che disgustano e allontanano i fedeli e svuotano i seminari prima di irromper nel cabaret allestito dagli iniziati per gettare discredito sulla religione.

Ora all’origine di una tale catastrofe stanno gli equivoci e le distorsioni intorno all’analogia storica diffusi dalla filosofia di Jacques Maritain. Lo ha puntualmente dimostrato José Miguel Gambra, autore di un magistrale saggio pubblicato nella rivista Catholica, uscita dai torchi nell’ottobre del 2011, a Saint Cyr sur Loire.

Gambra rammenta che il Maritain per un certo tratto seguì l’insegnamento di San Tommaso d’Aquino, secondo cui le leggi devono essere applicate tenendo conto delle condizioni nelle quali si trovano gli uomini.

Alla luce della dottrina tomistica, i precetti superiori contengono i precetti inferiori in due diversi modi: nel primo si tratta di precetti comuni, nel secondo di precetti che tengono conto di circostanze particolari. A questo punto Gambra rammenta che nella dottrina di San Tommaso da un lato sono contemplate leggi più o meno generali, leggi che sono in sé immutabili, dall’altro lato le imperfette, contingenti applicazioni delle leggi immutabili.

Maritain, pur aderendo alla dottrina tomista, ne trasse la singolare idea che esiste una differenza sostanziale tra le imperfette applicazioni medievali e pre-moderne delle leggi immutabili e l’applicazione integrale e perfetta computa da un’immaginaria nuova cristianità, grazie all’apporto decisivo del pensiero moderno.

Maritain, già intransigente pensatore cattolico (aveva militato nella Action française dal 1911 al 1926) e autore di Antimoderno, si era improvvisamente convertito al culto della modernità, praticato dai sacerdoti dell’effimero e del cripto-modernismo. Nella visione del primo Maritain, infatti, le leggi dei popoli che costituiscono la Cristianità, erano giudicate il risultato di un’applicazione quasi sempre imperfetta dei princìpi personalistici e comunitari. Dopo la svolta modernizzante e progressiva, Maritain sostenne che le leggi della moderna Cristianità attuavano invece una perfetta deduzione dei princìpi personalistici e comunitari.

Gambra cita a proposito Palacios secondo cui la nuova Cristianità rappresenta, secondo Maritain, un ideale di perfezione assoluta. E conclude affermando che è profondamente errata la filosofia maritainiana della storia, che attribuisce alla cultura laica la capacità di trasformare la dottrina cattolica e di produrre una coscienza più chiara di ciò che deve essere conservato e di ciò che deve essere dichiarato decaduto.

L’infondatezza delle tesi maritainiane e il tracimante ecumenismo che ne discende, è manifesto a quanti considerano i risultati rovinosi della guerra senza quartiere che il pensiero moderno conduce contro i fondamentali princìpi della legge naturale. E quando si calcolano i danni ingenti, causati dalla diffusione delle tesi progressiste e buoniste messe in circolo da Karl Rahner durante e dopo il Concilio pastorale Vaticano II e contestate energicamente da Romano Amerio, monsignor Brunero Gherardini e Paolo Pasqualucci.

Nel 1967, Maritain prendeva le distanze dal trasformismo dei teologi progressisti & neomodernisti, che hanno tentato d’inquinare la dottrina cattolica durante l’infelice svolgimento del Vaticano II.

Purtroppo Maritain non ha ritrattato le opinioni, che costituiscono uno dei sostegni prestati alla teologia progressista, ovvero le sotterranee concessioni da lui fatte allo storicismo hegeliano e alla cronolatria.

Le opinioni maritainiane furono a suo tempo oggetto delle puntuali e mai seriamente contrastate confutazioni di padre Antonio Messineo s. j., di padre Julio Meinvielle, del cardinale Giuseppe Siri, di don Ennio Innocenti. Faticosamente intrapresa da Benedetto XVI, la liberazione dagli errori che avvelenano la vita ecclesiastica e alimentano il delirio teologico urlante dai pulpiti, deve pertanto estendersi al rifiuto degli equivoci generati da Maritain quando ha proposto l’applicazione della chimera progressista alla teologia della storia.

Piero Vassalo



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