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Darwin e la gnosi
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Nella Cattedrale di Orvieto, Luca Signorelli ci ha lasciato in effigie la miglior raffigurazione dell’Anticristo che l’arte cristiana abbia realizzato. In quell’affresco, l’Anticristo è colto durante la sua predicazione con fattezze somatiche inquietantemente simili a quelle di Cristo, ma torbide, oscure, impressionanti e però ambiguamente seducenti. Dietro di lui, Satana, del quale secondo la Rivelazione, egli è «strumento», a suggerirgli come ingannare gli uomini. Davanti a lui una folla, eterogenea per ceto e dignità, sedotta dalle sue parole. In lontananza si scorgono nell’atto di essere martirizzati coloro che non si sono lasciati sedurre dalla sua predicazione.

Il Signorelli, quando si adoperò al suo affresco, aveva ben presente l’antica tradizione cristiana che vuole l’Anticristo essere soprattutto uno Pseudo-Cristo, un falso Cristo. Un suadente ingannatore piuttosto che un fragoroso oppositore.

Una tradizione che si appoggia sull’altra per la quale Satana è la «scimmia di Dio», «simius Dei», in quanto imita il Signore per essere adorato al suo posto.

Sappiamo, infatti, direttamente da Nostro Signore, che il diavolo è «padre della menzogna» perché «non ha perseverato nella Verità». Ed è per questo, per essere menzognero, che esso «fu omicida fin dall’inizio» (Giovanni 8, 44).

Ora, ogniqualvolta nella storia delle idee ci troviamo di fronte, e succede spesso per non dire sempre, alla riproposizione della Rivelazione ma in forma traslata dal Trascendente all’immanente, intendendo per immanente non solo le posizioni materialiste, ormai demodé, ma anche quelle spiritualiste o, come si dice oggi, «oliste», in ogni caso moniste o panteiste, vuol dire che siamo incappati nella «scimmia di Dio».

Coloro che ancora credono alla «scientificità» della scienza, come se essa fosse neutra e immune da inferenze meta-scientifiche, possono togliersi ogni illusione. Non solo perché la scienza post-moderna ha finalmente riconosciuto il carattere soltanto probabilistico, e dunque non più infallibile, del proprio statuto. Ma anche perché nessuno scienziato, di qualsiasi disciplina, parte da una totale assenza di opzioni originarie.

Sappiamo che l’uomo è per natura un essere religioso. Lo diceva un tempo Sant’Agostino, lo ha ripetuto più di recente un Mircea Eliade. L’ateismo non esiste. L’ateo è solo colui che esclude il Dio trascendente perché, più o meno consapevolmente, adora un «dio immanente», sia esso la Natura, la Materia, il Cosmo, l’Idea, la Ragione, il Tutto, il Nulla. O ancora, sul piano della filosofia politica, lo Stato, la Nazione, La Razza, la Classe, il Mercato.

Un Odifreddi, ad esempio, si dichiara spinoziano. Egli ha una sua religiosità che è, per l’appunto, quella del «Deus sive Natura».

Che, dunque, sia materialista o sia invece spiritualista, che creda all’eternità della materia o invece allo spirito cosmico che anima il mondo, l’ateo si rivela alla fine come un perfetto gnostico.
La scienza oggi ci informa del fatto che l’universo non è eterno ma ha avuto un inizio, circa 13 o 13,5 miliardi di anni fa. Non di più, perché prima del Big Bang non esisteva nulla, non certamente lo spazio ma neanche il tempo. Spazio e tempo nascono contemporaneamente all’universo primigenio. Le speculazioni, come quelle dei fratelli Bogdanov, circa un tempo immoto, fisso, condensato, come pure la materia, in una forma di energia statica precedente il Big Bang, sono per l’appunto soltanto speculazioni, non dimostrate o suffragate da prove e neanche indizi. Meri teoremi matematici, con cui si trastullano i vari Odifreddi, che, è evidente, ripropongono l’idea greca, pre-cristiana, dell’eternità del mondo. E che non superano l’aporia della pretesa di un «tempo eterno», non potendosi dare alcuna forma di «tempo» laddove c’è l’Eterno, né potendosi dare il sussistere dell’Eternità come temporalità (perché è invece il tempo, in quanto creatura, ad essere «contenuto ad extra» nell’Eterno, ma come altro dall’eternità).

Tuttavia le «speculazioni» extra-scientifiche dei Bogdanov e degli Odifreddi sono utili perché dimostrano che, come si diceva, alla base di ogni teoria scientifica vi è una opzione previa e che essa è quella di sempre: l’eternità o la creaturalità del mondo. Detto in altri termini, la scelta è tra la tradizione gnostica, presente in varie forme presso tutte le culture extrabibliche, a tutte le latitudini, o la Rivelazione cristiana. Lo schema scientifico che descrive oggi la nascita del cosmo è, molto sinteticamente, il seguente: 13 miliardi di anni fa il Big Bang; le prime forme di vita unicellulari appaiono circa tre miliardi di anni fa; la vita complessa vegetale e animale circa mezzo miliardo di anni fa; la vita intelligente, l’uomo, non più di centomila anni fa. Come poi il pur darwinista Gould ha rilevato, pare che le forme vitali compaiono e scompaiono all’improvviso nel corso delle ere geologiche (intendendosi per «improvvisamente» spazi di poche decine di migliaia di anni su scale temporali che come si è detto devono essere calcolate in miliardi di anni e che, d’altro canto, nonostante queste lunghezze sono insufficienti, come hanno rilevato altri scienziati, affinché il mero caso possa selezionare forme vitali sempre più perfette. In tal senso ad ostare è il calcolo delle probabilità, per il quale, affinché il casualismo darwiniano possa ritenersi fondato, sarebbe necessario un universo molto vecchio, perlomeno di 300 miliardi di anni: invece, come si è visto, l’universo è al contrario molto «giovane»).

La vita, in forma unicellulare, compare all’improvviso nel Cambriano, nel quale si assiste ad una vera e propria «esplosione» di forme viventi  senza che esse possano dirsi evoluzione di alcuna precedente, tra l’altro inesistente, forma vitale. Né tali prime forme unicellulari di vita possono ritenersi l’«assemblaggio», più o meno casuale, di molecole pre-organiche, perché queste ultime non solo sono coeve ai primi batteri ma, in ciascuna epoca e dunque anche oggi, restano tali, ossia meri composti chimici, per tutto il tempo di convivenza con le più complesse forme vitali e non tendono affatto a trasformarsi gradualmente nella vita unicellulare o pluricellulare. Sembra piuttosto che le molecole pre-organiche siano il prodotto del disfacimento di precedenti forme vitali più complesse, unicellulari o pluricellulari. In ogni caso, pur ammettendo la precedenza di tali molecole, sembra che per il passaggio «ontologico», dalle prime molecole pre-organiche alle prime cellule, già di per sé estremamente complesse, sia stato necessario un «salto improvviso e discontinuo». Dal momento che questa per «salti improvvisi» sembra essere la modalità che si è ripetuta ad ogni passaggio, dall’unicellulare al pluricellulare, al vegetale, all’animale, Gould ha ipotizzato l’«evoluzione per salti», mettendo da parte il gradualismo casualista darwiniano.

Quel che sembra tuttavia ormai certo è che, nel passaggio da un’era all’altra, le forme vitali scompaiono e compaiono repentinamente e senza agganci con le forme precedenti. Quasi, si potrebbe dire, che la storia del cosmo e della vita sia l’attuarsi sul piano immanente di un «Progetto», di un «Archetipo». O, meglio ancora, l’attuarsi di una «Parola» che, avrebbe detto un San Bonaventura, ha disseminato nel creato, al momento stesso della creazione, le proprie «rationes seminales», le quali si attivano soltanto al momento stabilito per sviluppare le forme viventi e non viventi secondo un «programma», una finalità, stabilito dalla Parola-Archetipo medesima.

Ora, è palese che lo schema scientifico sopra succintamente descritto è il medesimo del Genesi.

Jérôme Lejeune ha notato che le due storie, quella biblica e quella scientifica, non sono affatto in contrasto: il primo capitolo del Genesi «è - dice Lejeune - il primo libro evolutivo, perché evidenzia le tappe della creazione. Sarebbe a dire che la Bibbia, in uno scorcio assolutamente sfolgorante, enumera esseri viventi secondo l’ordine in cui li ritroviamo negli strati geologici» (1).

Molti credono che Darwin abbia maturato la sua teoria evoluzionista durante il viaggio intorno al mondo che gli consentì di prendere cognizione di molte specie fino ad allora poco studiate. In realtà, non fu da quel viaggio che il naturalista inglese desunse le sue teorie ma dalla lettura del «Saggio sulla Popolazione» con cui Malthus ha creduto di dimostrare la non proporzionalità tra la crescita della popolazione e quella delle risorse necessarie alla vita. Ancor oggi le teorie maltusiane sono la base giustificativa, presuntivamente «scientifica», delle politiche onusiane finalizzate al controllo demografico mediante la diffusione, su scala mondiale, dei sistemi contraccettivi non naturali e dell’aborto. Questo carattere «cataro», ossia contrario alla vita, segnala l’origine gnostica delle teorie di Malthus, dal momento che è tipicamente gnostico, dunque luciferino, odiare la carne, la vita, perché essa imprigionerebbe nella sofferenza della materia la scintilla spirituale, dal cattivo demiurgo «creatore» strappata allo spirito cosmico ed indifferenziato ed al quale deve essere restituita, innanzitutto impedendo il perpetuarsi delle nascite, della vita. Nella visione maltusiana, il creato è malvagio, cattivo, foriero di sofferenza. Perciò non essendoci, in un mondo così cattivo, sufficiente alimento per tutti, Malthus proponeva la castrazione dei poveri e delle «razze inferiori» affinché solo le classi e le razze superiori potessero vivere e garantire la sopravvivenza della «migliore» umanità (2).

Alla radice della formazione culturale, pre-scientifica di Darwin, insieme a Malthus troviamo poi il liberalismo di John Locke ed il liberismo di Adam Smith, che postulavano la concorrenza economica come il vero motore del mercato.

Da qui, dall’idea della naturale scarsità alimentare e dell’individualismo egoistico, il passaggio alla teoria darwiniana della lotta per la sopravvivenza per la selezione del migliore, del più adatto alla vita, è estremamente facile.

Nel 1858 (lo stesso anno delle apparizioni di Nostra Signora a Lourdes, apparizioni che hanno rappresentato la smentita celeste del razionalismo positivista), quando Darwin non aveva ancora pubblicato la sua opera sull’origine della specie, gli giunse una lettera da un collega, Alfred Russel Wallace, a sua volta di idee maltusiane, nella quale il mittente metteva il destinatario a parte di certe idee «trasformiste» da lui maturate, affinché Darwin ne facesse partecipe il geologo Lyell con cui egli era in stretti rapporti (3).

Alla lettura di quella lettera Darwin cadde nella disperazione. Qualcuno, prima di lui, aveva «realizzato» la sua stessa teoria. Ne parlò con Lyell e con Hooker, un altro «sponsor» delle sue idee.
I due erano, intorno alla metà del XIX secolo, i più potenti cattedratici inglesi, con vasta notorietà internazionale. Da una loro decisione dipendeva il successo o la damnatio di qualsiasi giovane scienziato dell’epoca. Ora, sia Lyell che Hooker avevano un’ossessione: dimostrare scientificamente l’ateismo. Il giovane Charles Darwin, nipote del meno noto nonno Erasmus, anch’egli naturalista di idee «trasformiste», era diventato il loro pupillo per l’impresa «scientifica» che avevano come obiettivo.

Lyell ed Hooker fecero in modo, con l’assenso dell’ingenuo Wallace, che il lavoro di quest’ultimo fosse presentato alla Società Linneana. Ma tale presentazione non suscitò particolare clamore né interesse nella comunità scientifica dell’epoca. Quando invece, qualche anno dopo, apparve «The Origin of Species by means of Natural Selection or the preservation of favoured races in the struggle for life» by Charles Darwin, il clamore ci fu, eccome! Esplose immediatamente e globalmente il caso: finalmente la scienza aveva dimostrato l’origine naturalistica della vita e dell’uomo e l’oscurantismo religioso era stato definitivamente battuto. L’enorme successo editoriale dell’opera di Darwin era stato evidentemente e chiaramente preparato da una operazione di marketing che aveva seminato gli opportuni «spiriti dell’aria», gli adeguati «état d’ésprit», per facilitarne la notorietà.

«La presentazione del… contributo (di Wallace) alla Società Linneana - scrive Sermonti - non suscitò alcun speciale interesse nel pubblico, e c‘è da pensare che ‘non dovesse’ suscitarlo, perché non era venuto il momento e la nuova teoria doveva avere la firma di Darwin» (4).

I presupposti gnostici dell’opera di Darwin sono svelati dal carattere «scimmiesco», nel senso raffigurato dal Signorelli nella Cattedrale di Orvieto, della teoria darwiniana (e Darwin di scimmie si intendeva!).

Questo carattere gnostico diventa evidente quando, dal problema dell’origine della specie, Darwin passa all’origine dell’uomo.

Non si pensi, ingenuamente, che Darwin assuma l’origine «scimmiesca» dell’uomo come un dato acquisito da un’obiettiva osservazione scientifica, sperimentalmente provata. Non si pensi neanche che nell’affermare la discendenza dell’uomo e della scimmia da un comune antenato meno evoluto, e dunque più simile alla scimmia che all’uomo (5), Darwin volesse soltanto adempiere ai voti ateistici dei suoi mentori Lyell e Hooker.

Il fatto è che per Darwin l’origine dell’uomo «doveva» essere necessariamente brutale ed animalesca. L’uomo «doveva», nella prospettiva pseudo-religiosa di Darwin, scaturire dal «male», da un mondo malvagio che, lungi dal conoscere in natura anche la cooperazione e la solidarietà intraspecifica ed a volte interspecifica, seleziona spietatamente i più adatti alla vita (6).

L’origine bestiale dell’uomo offriva a Darwin la metafora zoologica, l’imitazione naturalistica, del dogma del peccato originale. Nella «Genesi secondo Darwin», la scimmia, peccatrice, viene cacciata dalla foresta, che sarebbe l’equivalente dell’Eden, per affrontare la savana, l’equivalente della biblica «terra arida», sottoponendosi al duro lavoro, alle sofferenze del parto, fino ad elevarsi gradualmente, in una sorta di auto-redenzione, all’umanità.

Si noti che dove nel Genesi biblico il peccato causa la perdita dell’innocenza e della santità originali, in Darwin esso è invece il presupposto, il motore, dell’evoluzione. Dal peccato, per Darwin, ha origine la salvezza. Anzi, il peccato è la salvezza perché senza di esso la scimmia non sarebbe mai diventata uomo. Ritorna, in questo, l’antico tema gnostico del «peccato salutare», della salvezza che si lucrerebbe attraverso il peccato anziché attraverso la sua redentiva espiazione.

«Il senso del peccato originale - ha scritto un cugino di Darwin, lo statistico Francis Galton - non dimostrerebbe… che l’uomo sia decaduto da una condizione superiore, ma piuttosto che gli uomini possano raggiungere la posizione di membri liberi di una società intelligente» (7).

Non a caso, Darwin ebbe a commentare così la sua «scoperta»: «Origine dell’uomo ora dimostrata. La metafisica deve fiorire. Chi comprendesse il babbuino farebbe per la metafisica più di quanto ha fatto Locke. L’origine della nostra specie è la causa delle nostre passioni malvagie! Il Diavolo sotto forma di Babbuino è nostro nonno!» (8).

La «metafisica» darwiniana pone tutta la malvagità, tutto il male, alle origini del mondo, nella bestialità che lo permeerebbe. Si tratta di una riproposizione, sotto apparente forma scientifica, dell’antica gnosi spuria per la quale il mondo, la creazione, è pura malvagità posta in atto per imprigionare le scintille che, a causa della sua frammentazione, cadono dall’indifferenziato pleroma primordiale. Per Darwin il Diavolo è all’origine del mondo.

Ora, una tale visione negativa dell’essere dovrebbe accompagnarsi con una concezione regressiva del tempo e della storia. In effetti, nelle correnti di «destra» (Evola, Guénon), della gnosi spuria così è: la storia concepita ciclicamente è il decadere del tempo e dell’umanità da un’età aurea sempre più in basso verso l’età oscura, per poi riprendere il ciclo dall’inizio in un perpetuo eterno ritorno.

Invece, sovente, e forse è la modalità più diffusa, la visione negativa della gnosi si accompagna ad una concezione antropologica ottimista e ad una concezione progressista della storia. Come se quest’ultima fosse l’altra faccia, quella ottimistica, della stessa medaglia gnostica.

E’ questo ad esempio il caso delle teosofie ottocentesche, come quella di madame Blawatsky, che si nutrivano di una spiritualità intrisa, ad un tempo, di negazione, simil-induista e simil-buddista, della bontà dell’essere e di evoluzionismo progressista (il kiplingheriano«fardello dell’uomo bianco»).

Tali teosofie per questo loro carattere anti-ontologico e progressista sono state l’anima del fabianesimo socialista e, al tempo stesso, la punta di diamante delle politiche coloniali inglesi. Del resto anche la versione regressista di «destra» può essere letta in chiave progressista se si guarda non tanto all’età dell’oro perduta ma a quella che si presume essere all’orizzonte della storia avvenire. Ecco perché il cerchio gnostico tra destra e sinistra, regressismo e progressismo, finisce inevitabilmente per chiudersi ed un movimento di «destra magica ed esoterica» come il nazismo poté avere anche avanzati aspetti di progresso sociale e tecnologico o un movimento materialista come il comunismo poté avere retroterra teosofici che derivavano dalle logge egalitarie francesi, come quella del Babeuf, o aspetti panteistici, come quello del «cosmismo» sovietico diretto retaggio dell’idealismo tedesco.

Anche nel caso di Darwin, la visione negativa dell’essere si sposa con un ottimismo storicistico che pone alla fine del processo evolutivo la sopravvivenza della «migliore» umanità, che, se per il naturalista inglese si identificava nella «buona società» dell’Inghilterra manchesteriana, per due suoi ferventi estimatori, Marx ed Engels, si identificava invece nel mondo nuovo della futura società socialista compiuta. L’uomo socialista per Marx ed Engels sarebbe stato incomparabilmente superiore all’uomo attuale e talmente progredito da invertire anche il corso dei fiumi e dei venti.

Per Darwin l’uomo inizialmente gravato da istinti bestiali e deficienze intellettuali sarebbe giunto, selezionando gli individui migliori, ad un livello tale di potenza da potersi affrancare totalmente dalla natura stessa. Ed anche in questo riappare l’antico delirio gnostico che vuole l’iniziato capace di «creare» il suo mondo o di «cambiarlo» a proprio piacimento. Ecco perché Voegelin ha potuto vedere nelle rivoluzioni politiche moderne forme «secolarizzate» dell’antica gnosi.

L’importante, sia che si faccia riferimento al regressismo che al progressismo, è che venga del tutto negata ogni dipendenza dell’uomo dal Dio trascendente, dalla Sua Grazia. L’uomo che ha origine dalla bestia, dalla malvagità che fonda il mondo, l’uomo pertanto chiuso alla Grazia, è l’uomo che evolutosi si fabbrica da sé, ottimisticamente, il proprio mondo, a propria immagine e somiglianza, questo sì «buono» perché nell’evoluzione l’uomo acquisisce il meglio di sé. L’uomo darwiniano, che non ha bisogno di dipendere da alcun Dio, altro non è che l’uomo gnostico. L’uomo dell’«eritis sicut Dei».

Da un essere malvagio, bestiale, emergerebbe gradualmente l’uomo moderno attraverso l’emancipazione dell’animalesco primordiale, che sottrae a Dio l’Origine dell’umanità.

«Quest’uomo gnostico - scrive Sermonti - , razionalizzante, deve solo fuggire se stesso e la natura, rifugiarsi in tutto ciò che è artefatto e innaturale. E’ in quanto cade. Quando egli avrà costruito il faustiano ‘Homunculus’ nella provetta, solo allora avrà conclusa la sua caduta e avrà iniziato una generazione di robot, che ha rescisso il suo cordone ombelicale con l’origine bruta, inaugurando una stirpe di esseri fatti di sola ragione meccanica» (9).

Dalla scimmia al robot, il ciclo del darwinismo si chiude facendo trapelare il volto dell’Anti-Pseudo-Cristo raffigurato dal Signorelli.

Luigi Copertino



1) Citato in Giuseppe Sermonti «Darwin e la gnosi», ora in Ennio Innocenti «La Gnosi Spuria - l’ottocento», Sacra Fraternitas Aurigarum, Roma, 2009, pagina 98. Dichiariamo il nostro debito da questo contributo del Sermonti, che, da parte nostra, abbiamo inteso rielaborare in senso più propriamente cattolico ossia senza i riferimenti al neo-platonismo a-cristiano che il noto genetista invece sembra fare propri, o che utilizza per una necessità di «neutralità a-confessionale» sempre richiesta allo scienziato, anche se credente.
2) Il razzismo nasce in ambito anglosassone. Malthus e Darwin, insieme a Chamberlain, inglese naturalizzato tedesco al cui capezzale Hitler si recò a rendere omaggio, ne sono stati gli alfieri «scientifici». Nel suo «Descent of Man», 1871, Darwin scriveva: «Tra tutti gli uomini ci deve essere lotta aperta (…). Tra qualche tempo a venire, non molto lontano se misurato nei secoli, è quasi certo che le razze umane più civili stermineranno e sostituiranno in tutto il mondo quelle selvagge».
Citato in G. Sermonti opera citata, pagina 100. Si noti che nell’odierno ecologismo, impregnato di una evidente religiosità panteista e neopagana, che vuole l’uomo come il «malvagio» saccheggiatore globale delle risorse ambientali, si ritrovano posizioni maltusiane, laddove, contrariamente al comando biblico «crescete e moltiplicatevi», si denuncia come ecologicamente criminale lo sviluppo demografico dell’umanità. Siccome Lucifero per ingannare utilizza sempre il gioco degli specchi, ossia la dialettica dei contrari orizzontali (cosa del tutto diversa dall’«et-et» verticale della visione cattolica del reale), all’opposto dell’ecologismo neopagano si trova l’altro, complementare, errore, quello dell’orgoglio faustiano, della volontà di potenza tecnologica, che spinge l’uomo a sognare, con l’eugenetica e la manipolazione genetica, di creare la vita in provetta. Espressione anche questa, diversa, prometeica, ma strettamente connessa con il pauperismo ecologista, della gnosi spuria.
3) Il Lyell è il padre della attuale scala divisionaria delle ere geologiche che sono state da lui classificate sulla base dei fossili rinvenuti da Darwin che dal canto suo classificava i suoi fossili sulla base della divisione che Lyell andava facendo degli strati geologici: un bell’esempio di «infallibile» metodo scientifico! In proposito si veda M. Blondet, «L’uccellosauro ed altri animali - la catastrofe del darwinismo», Effedieffe, Milano, 2002, pagine 110-111.
4) Confronta G. Sermonti, opera citata, pagina 96.
5) Si noti che invece oggi diversi scienziati, tra i quali proprio il Sermonti, ritengono piuttosto che il comune antenato fosse più simile all’uomo che alla scimmia e che dunque più che di evoluzione dell’uomo si dovrebbe parlare di involuzione della scimmia e, in misura minore, dell’uomo. Per quanto riguarda l’umanità, una tale teoria collima perfettamente con la Rivelazione, alla luce del dogma del peccato originale.
6) La stessa visione negativa dell’uomo è propria anche di Sigmund Freud. Il quale attinse molto da Darwin soprattutto per quanto riguarda gli «istinti primordiali» del sesso e dell’aggressività che egli colloca, nelle tenebre dell’inconscio, come eredità dell’origine bruta dell’uomo. L’uomo solo in un momento successivo avrebbe sviluppato un «ego» razionalizzante tra l’altro in continuo conflitto con l’inconscio mai del tutto debellato. Da questo assunto Freud, ebreo, desumeva che la fede nel Dio biblico altro non sarebbe che una nevrosi universale, la quale, nell’illusione di calmierare gli «istinti primordiali», produrrebbe turbe psichiche che soltanto la «psicoanalisi» saprebbe risolvere, mediante la liberazione dell’inconscio. Ora, a giudicare dal fallimento della psicoanalisi, anche come terapia, fallimento ormai ammesso dagli stessi psicoanalisti, si può ben comprendere quanto sia valida la psicoanalisi come chiave ermeneutica del reale. In realtà, nel freudismo si rivela lo stesso determinismo che è del darwinismo e che fu di Lutero («la natura umana come peccato invincibile»). Determinismo riproposto da certo biologismo, quello che neo-darwinianamente pontifica di «gene egoista» e che viene, con i nostri soldi di contribuenti, propagandato, attraverso la RAI, da Piero Angela, per sostenere l’inevitabilità dei comportamenti aberranti, in specie di quelli sessuali ad iniziare dall’adulterio che sarebbe benefico al miglioramento della specie. Biologismo che, non deluso dal fallimento delle teorie lombrosiane del XIX secolo, ripropone anche oggi, in forme in apparenza inedite ma in realtà essenzialmente eguali, la totale riduzione dell’uomo alla chimica del DNA. E questo proprio mentre molti scienziati hanno iniziato ad ammettere che nei geni non si trova né il segreto della vita né la radice della persona umana.
7) Confronta F. Galton «Inquiry into Human Faculty and its Development» (1865), citato da G. Sermonti, opera citata, pagine 99-100.
8) Confronta Gruber e Barret «Darwin or Man», 1974, ora in G. Sermonti, opera citata, pagina 99.
9) Confronta G. Sermonti, opera citata, pagina 100.