Europa: attenti alle Idi di maggio
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La frammentazione politica dello Stato greco ha una conseguenza imminente: il Paese non avrà un governo funzionante il 15 maggio. Cosa accade il 15 maggio? Scade un debituccio di 430 milioni di titoli del suo debito, i cui detentori non hanno aderito al «taglio di capelli» accettato da altri creditori. Dunque, la Grecia dovrà pagare in toto. Soldi che quasi certamente non ha. A questo punto i detentori dei bond ellenici trascineranno Atene davanti ai tribunali internazionali, come un qualunque bancarottiere privato.

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A presentare querela sarà la Norvegia, il cui fondo sovrano (che gestisce oculatamente gli introiti petroliferi) è appunto il principale detentore dei titoli in scadenza. È difficile se non impossibile che in questi pochi giorni i partiti greci, usciti centrifugati dalle urne, riescano a fare un qualunque governo di coalizione. Già i loro leader gettano la spugna uno dopo l’altro.

Resta, è vero, il governo «tecnico» di Papademos, il Monti ateniese, già vicepresidente della Banca Centrale Europea. Ma essendo il parlamento dissolto, non può legiferare. Certamente i suoi rapporti con la BCE consentiranno in qualche modo di raggranellare un altro prestito dagli europei – cosa volete che siano i 430 milioni, dopo la settantina di miliardi di «tagli» – per far durare la Grecia fino al giugno 2013, quando viene a maturità un’altra fetta dei suoi titoli. Far durare l’agonia, però: si apprende che i turisti esteri in Grecia crollano di un’altissima percentuale, del 12,5%. Soprattutto i tedeschi hanno annullato le prenotazioni, probabilmente non gradiscono passare le vacanze nel Paese che li dipinge come nazisti. Dunque la principale attività economica del Paese, anzi l’unica rimasta, sta implodendo come tutto il resto.

La Grecia avrà bisogno di altri salvataggi miliardari, ossia di altri prestiti a tassi proibitivi che l’Europa dei creditori le ha dato bene o male, con tanta malagrazia. Al solo scopo di mantenere il Paese nell’euro, e di salvare l’euro, ma senza la minima prospettiva di risolvere la crisi. Tutti dovranno mettere le mani al portafogli, anche noi, anche i tedeschi. È possibile?

Come fanno notare gli analisti del sito americano StratFor, in meno di due anni sette leader politici europei sono stati cacciati via, o dall’elettorato o dai creditori internazionali che li hanno sostituiti con i loro curatori fallimentari: Sarkozy in Francia è solo l’ultimo. Irlanda, Spagna, Portogallo, Grecia, Spagna e Olanda hanno visto crollare i rispettivi governi ma – ancor più cruciale –, «le elites politiche  storiche che prima dominavano quei Paesi». Anche la Merkel è in bilico, e il suo governo di coalizione è tutt’altro che solido, mentre anche lì cresce il partito anti-sistema dei «Piraten», che presenta analogie col movimento italiano di Grillo.

«Insomma», conclude StratFor, «in Europa si sta formando un miscuglio esplosivo: insolvenza finanziaria, fragilità economica e instabilità politica».

E i nuovi venuti al potere non avranno stabilità: è diventato impossibile mantenere le politiche di austerità richieste dalla Germania e dai «mercati» e mantenere allo stesso tempo il favore elettorale. Il sistema elettorale (il doppio turno alla francese) aiuterà in questo Hollande, l’inquilino dell’Eliseo può restare nella poltrona fra un turno e l’altro, per quanto si sia reso detestabile all’elettorato; ma il primo turno ha mostrato una Francia non meno frammentata dell’Italia.

In Italia, i «tecnici» e il loro vero capo politico (Napolitano) possono solo sperare nella paura blu dei parlamentari PdL: visto come sono stati vaporizzati alle amministrative del 6 maggio, se fan cadere il governo e vanno ad elezioni anticipate, pochi di quelli che oggi ritirano l’emolumento di 15 mila euro mensili, saranno ancora nel loro seggio dopo; dovranno trovarsi un lavoro vero. È solo per questo che il Pdl, nonostante le sue grida e minacce, «sosterrà il governo Monti» ad ogni costo. Ma nel Parlamento c’è oggi una «maggioranza berlusconiana» che nel Paese non conta più il 30% e passa, ma il 5%. Priva di ogni legittimità e persino di ogni significato.

Per questo sentiremo tante chiacchiere sul tema: «Basta con l’austerità, adesso la crescita!». Casini e Bersani hanno già cominciato. Ma dove andranno a prendere i soldi? Li chiederanno ai «mercati»?
Auguri. O alla BCE? Ai tedeschi, che non sembrano così tanto sedotti dalla voglia di fare della UE una «comunità di destino»?

Vedremo se risponderanno.



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