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Kiev ha urgenza di trascinare l’Occidente in guerra per scongiurare il fallimento
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Anzitutto una domanda: avete più sentito notizie sulle scatole nere del volo MH17? Silenzio perfetto. Solo un mese fa, era tutto un grido mediatico e politico, in Occidente, che accusava dell’abbattimento i russi del Donbass, istigati ovviamente da Putin. Il regime di Kiev voleva che la NATO entrasse immediatamente in guerra contro la Russia, la grande colpevole; gli Stati europei quasi quasi ci stavano andando, per il momento hanno elevato le dure sanzioni contro Mosca.

L’ultima notizia dava le scatole nere a Londra: i ribelli del Donbass le avevano trovate e consegnate agli ispettori della Malaysia, i quali le hanno girate agli espertissimi del Regno Unito. Da allora, silenzio. Più precisamente, una notizia pubblicata il 28 luglio dal Wall Street Journal di Murdoch, che metteva le mani avanti: «Esperti della sicurezza aerea dicono che le scatole nere a bordo dell’aereo abbattuto sono una versione antiquata, che probabilmente darà solo informazioni limitate sulla sequenza degli eventi».

Che disdetta: una versione antiquata. La Malaysia si fa un punto d’onore di avere gli ultimi modelli in tutto, smartphone, tablets, computers, e poi ti casca sulle scatole nere montate sui suoi aerei passeggeri. Vecchie, con poca memoria interna, con batterie scariche... è la prima volta, nella storia degli incidenti aerei che sento gli esperti lamentare la vecchiaia delle scatole nere. Anche negli anni ’80, per dire, con le scatole nere di allora sicuramente superate, erano capacissimi di estrarne le voci dei piloti negli ultimi minuti, quota di volo, deviazioni dalla rotta e dall’orizzonte, picchiate, cabrate eccetera.

Peccato. Dovremo fare a meno delle certezze offerte dalle scatole nere. E tuttavia, di una cosa almeno siamo sicurissimi: se tali registrazioni avessero accusato i russi, tutti i media occidentalic lo avrebbero strillato 24 ore su 24, i politici occidentali avrebbero fatto la voce grossissima contro Putin, e saremmo davvero vicinissimi alla guerra della NATO contro la Russia. Possiamo dunque giungere con sufficiente tranquillità alla seguente conclusione:

L’abbattimento del MH17 è stato un crimine del governo di Kiev allo scopo, appunto, di trascinarci in guerra. Un false flag costato la vita di 298 innocenti.

Rasmussen complice

Siccome a Ferragosto ci si distrae, può darsi vi sia sfuggito un altro «false flag» del regime di Kiev allo stesso scopo – precipitare l’intervento NATO – e con chiare responsabilità europee d’alto livello. Roberto Dal Bosco l’ha già raccontato qui a fianco, sicché mi limito ai punti principali.

Il 15 agosto un giornalista del Guardian che si trova in una cittadina russa di frontiera con l’Ucraina, scrive di aver visto una colonna di 23 corazzati russi porta-truppe attraversare il confine e penetrare in Ucraina; anche un giornalista del Telegraph comunica la stessa cosa. Due giornali molto «autorevoli» confermano la grave circostanza. Il francese Le Monde riprende la notizia dai due autorevoli giornali come sicura, vera e senza condizionali: «Des blindés russes sont entrés sur le territoire ukrainien». Il giorno dopo, 16 agosto, il Guardian (e tutti gli altri) raccontano quanto segue: il presidente ucraino Petro Poroshenko, ha parlato al telefono con David Cameron che il convoglio corazzato russo era penetrato in Ucraina, ma è stato «distrutto» dall’artiglieria di Kiev.

Ora, Mosca ha sul confine centinaia di carri armati e decine di migliaia di uomini; che cerchi di penetrare con una colonna di 23 mezzi, per di più senza alcuna copertura aerea; e che per giunta, quando questi incappano nel fuoco nemico, li lasci «eliminare» senza provare ad estrarre i suoi superstiti, è dura da credere... Tanto più che né Kiev né i giornalisti inglesi hanno una foto da esibire.

Nonostante l’assenza di ogni concreta prova, il Foreign Office britannico convoca l’Ambasciatore russo per accusarlo di questa incursione. A parte che non risulta (ancora) che Kiev sia parte del Commonwealth britannico, i russi la prendono in ridere: avranno distrutto un convoglio fantasma. «Si tratta di qualche tipo di fantasia», è la risposta ufficiale.

Ma non c’è nulla da ridere. Dall’11 di agosto il segretario generale della NATO, il danese Anders Fogh Rasmussen, tempesta le agenzie con allarmi come questo:

NATO'S RASMUSSEN SEES “HIGH PROBABILITY” THAT RUSSIA COULD INTERVENE MILITARILY IN EASTERN UKRAINE

E giura alle agenzie: «Stiamo vedendo un rafforzamento militare che può essere usato per condurre operazioni militari illegali in Ucraina».

Anzi: nelle stesse ore in cui il giornalista del Guardian «vedeva» la colonna russa, lo stesso Rasmussen ha twittato la profetica frasetta:

«L’Europa è più pericolosa e meno stabile di un anno fa. La NATO deve essere pronta per qualunque cosa il futuro porti».



La NATO dispone di satelliti-spia, di spie sul posto e tutti gli apparati necessari: dunque, può provare l’avvenuta incursione. Ebbene sì, conferma Rasmussen al Telegraph: era «una incursione russa» che conferma il mio lungo sospetto di «un continuo flusso di armi e combattenti dalla Russia all’Ucraina orientale», a dar manforte ai ribelli.

Perbacco, allora la guerra è imminente. Le Borse internazionali crollano. Il presidente Obama annuncia che «alla luce dei recenti sviluppi in Ucraina», gli Stati Uniti hanno preso decisioni per rassicurare i loro alleati nell’’Europa Centrale ed Orientale, «e il suo prossimo viaggio in Estonia sarà l’occasione per confermare la nostra ferrea fedeltà all’articolo V della Nato». È l’articolo per cui l’aggressione ad un membro dell’Alleanza viene considerata aggressione a tutta l’Alleanza, ed obbliga tutti i paesi all’intervento armato....

Il guaio per i guerrafondai è che poche ore dopo la stessa Casa Bianca conferma sì che i russi hanno di certo l’intenzione di aggredire l’Ucraina, ma «...non può confermare l’asserzione di Kiev che una colonna militare russa sia penetrata in Ucraina... stiamo lavorando a cercare informazioni sulla distruzione del convoglio da parte delle forze ucraine. Non siamo in grado attualmente di confermare questi rapporti».

Basta. Le ulteriori informazioni raccolte devono aver appurato che Kiev s’è inventata tutto, perché la notiziona di ferragosto sparisce dai media. Smentita dagli Stati Uniti, Kiev non ha potuto avere la sua guerra mondiale che tanto desidera.

Ma il fatto gravissimo è che, per tenere bordone a questa grottesca montatura, due giornali autorevoli, il Guardian e il Telegraph, hanno speso la loro credibilità per confezionare un malfatto «false flag» volendo contribuire a scatenare la guerra. Peggio ancora, di questa montatura si è reso complice Anders Fogh Rasmussen il segretario della NATO.

La misteriosa speculazione sull’oro

Anzi, si debbono immaginare anche più alte complicità. Paolo Rebuffo, analista finanziario di rischio calcolato, ha mostrato che poco prima che divenisse pubblico il falso annuncio della invasione corazzata russa, qualche manina aveva fatto cadere il prezzo dell’oro: «Un bel crollazzo del prezzo dell’Oro SENZA alcun motivo. (...) Perché l’ORO è un problema enorme per il dollar standard, e deve essere tenuto sotto controllo e sotto pressione PRIMA che accada qualcosa», in modo che non rincari troppo (l’oro è il bene-rifugio per eccellenza in caso di crisi totale). Rebuffo ha visto una simile manipolazione al ribasso sull’oro «giusto prima dell’abbattimento del volo MH17».



A noi, ciò ricorda un fatto che precedette l’attentato dell’11 settembre 2001. Il 6-7 settembre, qualcuno comprò al «Chicago Board Options Exchange» 4744 opzioni «put» della «United Airlines». E il 10 dicembre, ancora a Chicago, qualcuno comprò 4516 opzioni «put» dell’American Airlines. Insomma delle due compagnie aeree i cui velivoli sarebbero stati lanciati, il giorno dopo, contro le Twin Towers. Le opzioni put sono l’equivalente di una vendita di titoli «allo scoperto»: chi le comprò, sapeva che le azioni delle due compagnie, il giorno dopo, sarebbero crollate, e speculò al ribasso a colpo sicuro. Il volume delle opzioni «put» allora acquistate superava del 600 per cento la media di una giornata normale. Le indagini, assai superficiali, si fermarono davanti alla porta di una piccola finanziaria americana, la AB-Brown: una finanziaria di cui fino al 1999 era stato presidente esecutivo A.B. Krongard, il numero 3 della CIA al momento del mega-attentato (ho parlato di questa caso nel mio «11 Settembre colpo di Stato in Usa», capitolo 12).

Kiev: collasso imminente

Perché la giunta di Kiev ha una disperata fretta di coinvolgere la NATO e l’Occidente in una guerra mondiale, è presto detto: perché il collasso economico è imminente, e non ha altra soluzione che farsi prendere in carico totalmente dall’Alleanza Atlantica in quanto prezioso o utile co-belligerante.

I combattimenti contro i ribelli nella zona carbonifero-metallurgica del Donetsk hanno provocato la chiusura del 50% delle miniere di carbone. Per l’Ucraina, il secondo produttore europeo di carbone, è disastroso il contraccolpo sulla produzione di energia elettrica: sono le centrali a carbone che forniscono il 40% dell’elettricità. Le industrie locali temono di restare senza carbone in meno di un mese.

Peggio: l’Est russofono, di cui il regime di Kiev sta bombardando e distruggendo le infrastrutture, è stato esportatore netto di carbone, e anche di prodotti industriali legati a questa fonte di energia. Prodotti industriali che servivano il mercato russo. Ovviamente, questo sbocco non esiste più. Risultato: a luglio, la produzione è crollata tragicamente in tutti i settori. Macchine utensili -23,8 per cento. Metallurgia, -12,3. Chimica, meno 22,2, coke e raffinazione del petrolio, - 15,9. Carbone, - 28,7%.

Il debito delle imprese ucraine verso Naftogaz (il distributore di gas in Ucraina) ammonta a 20 miliardi di hrivne, quasi 2 miliardi di dollari. Si attendono interruzioni di elettricità. Già la regione di Kharkov ha imposto razionamenti draconiani: ridotto un mese di riscaldamento il prossimo inverno, temperatura negli appartamenti abbassata d’imperio da 18 a 16 gradi, prolungamento delle vacanze invernali nelle scuole per non dover riscaldare gli edifici. Siccome i salari sono stati tagliati e le tasse aumentate per sostenere lo sforzo bellico, e i sussidi eliminati per le cure d’austerità suggerite dal FMI, c’è qualche ragione di temere rivolte popolari invernali fra gli intirizziti cittadini.

L’enorme corruzione ad ogni livello pubblico e provocato (leggi: oligarchi miliardari) ha inoltre divorato altre risorse. Si ricordi che un anno fa il presidente Yanukovich ottenne dalla Russia due miliardi di dollari come invito ad entrare, invece che nella NATO-UE, nella comunità doganale di Mosca. Yanukovich è stato rovesciato, la giunta s’è tenuta i miliardi. Dove sono? Spariti. L’Occidente, per premio del golpe, ha fornito alla giunta prestiti garantiti e altri miliardi di dollari: volatilizzati anche quelli. Tant’è vero che un mese fa il Primo Ministro messo lì dal Dipartimento di Stato, Arseny Yatsenyuk, ha provato a dare le dimissioni rivelando che l’Ucraina ha le casse vuote e non poteva pagare stipendi e razioni ai soldati combattenti (già non li paga e non li nutre, tanto che parecchi si consegnano ai russi, oltreconfine, per mangiare). Yatsenyuk è poi tornato sulla poltrona di Primo Ministro, ormai scomodissima; probabilmente su pressione dei suoi protettori del Dipartimento di Stato. Non gli è permesso dimissionare: prima, deve strappare la «vittoria» sui ribelli.

E difatti, l’armata ucraina ha adottato la semplice strategia di bombardare i civili e le infrastrutture di sopravvivenza della società civile a Lugansk e Donetsk, privandole di elettricità, acqua, luce, rifornimenti medici essenziali: così spera che la popolazione si ribelli contro i combattenti russofoni. Perché, sul piano strettamente militare, il povero e mal comandato esercito di Kiev subisce rovesci e sconfitte su sconfitte. Radio-fante parla di intere unità distrutte, come si apprende da demoralizzati soldatini in questo video:



Qui sotto, un comunicato del capo della propaganda di Maidan, Roman Bochkala, che esulta perché «La 30ma Brigata ha rotto l’accerchiamento».

 


Il testo russo esultante recita: «Hanno sfondato! Cinque giorni sotto il fuoco dei Grad e dei mortai, senza cibo, acqua né armi. Gli è stata offerta la resa ma hanno rifiutato. La prima compagnia del primo battaglione della 30ma brigata. Non avevano comunicazione dal comando. I ragazzi hanno deciso di rischiare e rompere l’accerchiamento combattendo; e sono riusciti ad uscire. Con perdite, però... su 96 combattenti, solo 43 restano in grado di battersi. Gli altri sono ‘200’ o ‘300’ [uccisi o feriti in battaglia] e 7 uomini sono stati fatti prigionieri...»

Se questo è un successo per cui esultare, si capisce perché le diserzioni si moltiplichino, e perché i comandi preferiscano adottare il massacro dei civili come strategia: a Lugansk hanno usato bombe al fosforo e missili balistici SS21 con ogiva da 500 kg, del tutto inutili contro una guerriglia, ma utilissimi per distruggere case, ospedali, centrali elettriche e tutti gli obiettivi ordinati dai «consiglieri militari americani» (saranno mica israeliani?). Ciò contribuisce a spiegare le dimissioni del capo del cosiddetto esercito, Andrey Paruby, fondatore di «Svoboda», neonazista e sospettato di aver ordinato l’abbattimento del MH1 7 malaysiano. Paruby preferisce non farsi carico del bilancio catastrofico degli ultimi tre mesi di operazioni militari.

È questo anche il motivo per cui Kiev non vuol consentire il passaggio dei 250 autocarri russi con i soccorsi umanitari. Anche se l’altro motivo indicato da Dimitri Orlov non è da trascurare: «Finché non escogitano il modo di rubare i beni del convoglio, almeno in parte, nulla si muoverà. Perché dopo vent’anni di esperienza in «libertà e democrazia», niente si muove in Ucraina fino a quando ciascuno non abbia preso la propria fetta della torta» (sembra quasi l’Italia).

Ghennadi Kernes
  Ghennadi Kernes
Una delle richieste è stata di far passare il convoglio di aiuti non da Donetsk, ma da Kharhov, con un lungo giro... Fra l’altro, ci sono segni di sgretolamento dell’unità, e proprio a Kharhov è emerso un potere locale autonomo da Kiev: grazia al ritorno sulla scena del suo sindaco, Ghennadi Kernes. Questo personaggio è sopravvissuto a un tentativo di assassinio, probabilmente organizzato dal suo acerrimo nemico Arsen Avakov, il Ministro dell’Interno. Tornato al potere convalescente, Kernmes ha dato la cittadinanza di Kharkov – udite udite – a due uomini d’affari russi, grossi investitori locali. Ha dichiarato che «non farà mai la guerra alla Russia», e mantiene ostentatamente una posizione moderata.

Una manifestazione del Pravi Sektor, indetta contro di lui davanti alla sede del municipio, ha raccolto solo qualche decina di militanti. Si ritiene che Kernes abbia le forze (armate) e i suoi miliziani privati, insomma picciotti, in quantità e qualità tale da tener testa, al bisogno, alle forze che gli può inviare il suo ex alleato Kalomnoiuski (il pagatore di Pravi Sektor) e persino all’armata ucraina. Tuttavia, la vita di Kernes è sempre in pericolo. Basta ricordare che – senza che i media occidentali ne abbiano dato notizia – a luglio è stato assassinato il sindaco di Krementchug, e quello di Lvov è stato vittima di un attentato.

Se c’è mai stato uno Stato-canaglia (rogue state), uno Stato fallito (failed state), questo è l’Ucraina. Strano: da vent’anni gli USA, quando definiscono una nazione «rogue state» o «failed state», poi lo aggrediscono per instaurarvi la democrazia. L’hanno fatto in Somalia e Iraq, in Afghanistan, in Libia e in Egitto, ci provano in Siria armando i loro terroristi islamici preferiti. Invece la democrazia ucraina, dove sindaci-mafiosi sono ammazzati da sicari inviati da Ministri dell’Interno ultra-mafiosi, siamo chiamati a difenderla, tutti quanti come membri della NATO e dell’UE.

Si vede che soddisfa «i valori dell’Occidente».




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