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Tecnica del golpe argentino
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In un giorno imprecisato degli anni ’20, Pio XI incaricò don Orione di avvicinare e dare aiuto ad Ernesto Buonaiuti (1881-1946), massimo esponente del modernismo. Pieno di carità, lo stesso pontefice che l’aveva scomunicato si preoccupava del prete apostata: persa la cattedra, Buonaiuti era in miseria, i luterani lo corteggiavano, e si coltivava la speranza di un ritorno del personaggio, che aveva rifiutato di firmare l’atto di abiura delle sue idee ma continuò a dichiararsi cattolico e prete fino alla fine.

L’esplosiva cordialità, la generosa misericordia, la contagiosa apertura umana di don Luigi Orione, già con fama di uomo santo, non potevano mancare di conquistare il reietto nonostante la diversità assoluta di posizioni. Furono veramente amici. Don Orione aiutò il Buonaiuti anche economicamente, dirigendo verso di lui offerte di donazioni che riceveva per sé e le sue opere. Il modernista non si chiuse a questa amicizia, testimoniata da una fitta corrispondenza fra i due.

Ernesto Buonaiuti
  Ernesto Buonaiuti
Una lettera di don Orione, senza data, al «fratello separato», come evidente risposta ad una lettera dell’altro, mi ha sempre colpito come rivelatrice: «Ah! Se il fratello separato pregasse solo un po’, come ritroverebbe egli la via diritta del ritorno a questa gran Madre a cui il Signore dedit latitudinem cordis: come nell’amore dolcissimo Essa attingerebbe balsamo e conforto alla sua vita e splendore di fede purissima ai suoi passi…».

Ecco il punto, che secondo me spiega la deriva modernista e la pietra d’inciampo per i modernisti: non pregano. Buonaiuti parlava di religione, era un esperto di religione, insegnava, discuteva religione, ma non pregava. Nemmeno un po’, come ammette il veritiero e santo don Orione. Non aveva un colloquio intimo e personale con Cristo, non gli apriva l’anima. Si professava cattolico, continuava a voler essere prete, ma non si metteva davanti al Santissimo ad adorare e ripetere: Signore pietà di me peccatore; guardami dentro, e guarisci il mio marciume.

Leonardo Boff
  Leonardo Boff
Ora, la rabbia da cani idrofobi suscitata da una prudentissima critica di Vittorio Messori in tanti modernisti che si sentono ormai trionfanti e al potere nella Chiesa, suscita la domanda: pregano, i preti arcobaleno tanto «impegnati nel sociale» e beninteso nelle «periferie»? Prega ancora Leonardo Boff, già teologo della liberazione, oggi ecologista panteista veneratore di Gaia, a cui papa Francesco ha chiesto i libri per la sub-enciclica ecologista che vuole presentare all’ONU?

Prega abbastanza papa Francesco?

Si, lo so, la domanda è incomoda e poco corretta, non è bon ton impancarsi nell’intimità di un cristiano, tanto da chiedergli: ma tu, preghi? Però a questo punto bisogna farla; tutto l’odio e la furia di cui danno prova questi «apostoli sociali» (Bizzotto, Ciotti, Santoro, Farinella – quest’ultimo colto da bava alla bocca quando pensa a Berlusconi (1)) contro un fratello cristiano come Messori, non pare venga da una vita interiore ben coltivata, dalle virtù di umiltà e di carità di gente abituata ad esaminare la propria coscienza davanti a Gesù.

Ora, che proprio il cattolico desideroso di «impegnarsi nel sociale», nell’«azione di carità», tanto più se prete, abbia bisogno estremo di coltivare la vita interiore, la meditazione e la preghiera personale, è (o era) un fatto ben noto alla sapienza cattolica. L’abate Chautard (in L’anima di ogni apostolato) ha scritto pagine definitive e accese di carità per mostrare che «la vita attiva senza vita interiore è un pericolo per l’anima dell’apostolo»; che il prete che si lascia assorbire nell’azione e non prega non si fa santificatore attraverso l’esempio, non irradia soprannaturale, cerca l’efficacia e il successo... ossia il potere. Difatti è molto significativo che, tutti insieme, preti arcobaleno, Boff e altri progressisti «adulti», abbiano interpretato la prudentissima uscita di Messori come «un attacco frontale» della Curia, anzi «un avvertimento mafioso» dettato da «poteri forti» di cui vedono la prova nel fatto che la critica sia pubblicata sul Corriere, giornalone dei poteri suddetti.

È che i modernisti non riescono a interpretare la polemica se non in termini di lotta per il potere. Per loro non esistono motivazioni legittime e teologiche per essere sgomenti da questo Papa; deve essere per forza qualcuno che vuole scalzarne il potere. Non riescono a pensare ad altro, se non al potere. E ciò – come diceva l’abate Chautard dei sacerdoti d’azione che non pregano – credendo di praticare la carità meglio o più del contemplativo che «ozia» pregando, che «egoista» si occupa solo di salvare la propria anima invece di curare i malati nell’ospedale da campo, invece di immergersi nelle periferie esistenziali che hanno tanto bisogno.

Buonaiuti sosteneva che il cristianesimo era sorto inizialmente «come evento di natura mistica e morale con un programma sociale palingenetico» (ossia per soccorrere le periferie esistenziali) ma che poi s’era snaturato «in un sistema dottrinale gestito da una burocrazia»: la Chiesa-istituzione. Di conseguenza, vedeva nei dogmi «formulazioni concettuali» burocratiche, anzi delle «contraffazioni», e contro di essi invitava a «spezzare l'involucro delle formule, per ridare ritmo circolatorio alle virtù subcoscienti dell’istinto» (l’evocazione del subconscio è rivelatrice: Buonaiuti era stato sedotto dalla psicologia di Jung, come dalle altre certezze pseudo-scientifiche dello scientismo dei suo tempo, oggi invecchiato, che riteneva la vita di Cristo un’invenzione senza fondamento storico, e i Vangeli documenti molto tardi — oggi si è scoperto che sono invece risalenti a subito dopo l’Ascensione).

Ovviamente, il prete modernista-scientista propugnava «l’evoluzione illimitata dei dogmi, il cui significato e valore non proviene dall’immutabile contenuto, ma dall’emozione soggettiva che può suscitare nel credente». Evoluzionismo applicato alla fede: la verità non è dogmatica perché non è permanente, ma legata «alle esperienze, al sentire, agli stati d’animo di una civiltà e di un secolo».

Buonaiuti il progressista fece proprie «le quattro libertà fondamentali dell’umanità» proclamate dal presidente americano Roosevelt: «libertà di parola, libertà di coscienza, l’affrancamento dalla paura, l’affrancamento dalla povertà». Libertà oggi riconosciute dalla Chiesa come nuovi dogmi della modernità, tutta «carità» a-dogmatica.

Non stupirà del tutto ricordare che Buonaiuti «provava particolare avversione per la verginità di Maria»; negava la divinità di Cristo, si proclamava incredulo della Presenza Reale, in nome di un tipico catarismo: la condizione «perché il pane consumato fosse veramente il corpo del Signore, era che i partecipi al pasto, i fratelli, si sentissero e si mostrassero così intimamente e così integralmente fusi in unità, da avallare con la loro solidarietà mistica la prodigiosa trasformazione del pane fisico in pane divino».

Credeva che la Chiesa dovesse dialogare con il mondo: riteneva fondamentale il dialogo con tutte le chiese cristiane e con tutte le religioni. Sognava il dialogo con quelle confessioni che «mostrano le più ansiose aspirazioni alla riconciliazione e alla pace».

Tutte istanze accolte dal Concilio Vaticano II.

Buonaiuti, come si sa, fu anche quello che invitava i suoi discepoli a cambiare la Chiesa restandoci dentro con le proprie eresie: «Fino ad oggi – spiegava – si è voluto riformare Roma senza Roma, o magari contro Roma. Bisogna riformare Roma con Roma; fare che la riforma passi attraverso le mani di coloro i quali devono essere riformati. Ecco il vero ed infallibile metodo». Un lavorio da setta segreta (lo disse lo stesso don Lorenzo Bedeschi, prete modernista), i cui membri praticavano la doppiezza fingendo di aderire a dogmi e credenze che rigettavano; Bedeschi parla di un «multiforme e fervido lavorio segreto» degli esponenti del movimento, «un reticolo inafferrabile e variegato» con «officine» occulte in varie città. Alla fine di questo lavorio, diceva Buonaiuti, «Il culto esteriore durerà sempre come la gerarchia, ma la Chiesa, in quanto maestra dei sacramenti e dei suoi ordini, modificherà la gerarchia e il culto secondo i tempi: essa renderà quella più semplice, più liberale, e questo più “spirituale”; e per quella via essa diventerà un protestantesimo...».

Un protestantesimo senza Presenza Reale, senza dogmi, tutto sociale, dedito all’azione caritativa, senza soprannaturale — ormai ritenuto un residuo magico da gettare: che con una simile mentalità non si accordi l’abitudine di pregare, va da sé.

Papa Giovanni e le ascensioni di quaggiù

L’attuale mutazione della Chiesa non ha nulla di spontaneo, né il Concilio né l’aggiornamento e le innovazioni son mai state chieste, per così dire, a furor di popolo: è il risultato di questo segreto lavorio dall’interno, della congiura che sapeva benissimo dove andare a parare.

Marc Sangnier
  Marc Sangnier
Monsignor Roncalli fu tra i congiurati. Lo dimostra la lettera che scrisse nel giugno 1950, quando era ancora nunzio a Parigi, alla vedova di Marc Sangnier (1873-1950), la punta di diamante del modernismo francese, fondatore del Sillon – movimento solennemente condannato da san Pio X con la lettera Notre Charge Apostolique: un ditirambo.

«La potente fascinazione della sua parola della sua anima, m’aveva rapito», scriveva il Nunzio, «ed io mantengo della persona e della sua attività politica e sociale il ricordo più vivo di tutta la mia giovinezza sacerdotale».

Scomunicato? Non si preoccupi, profetizzava il futuro papa: «Anime capaci di tenersi così fedeli a rispettose come la sua al Vangelo e alla Santa Chiesa sono fatte per le più alte ascensioni, che assicurano la gloria quaggiù presso i contemporanei e i posteri, a cui l’esempio di Marc Sangnier resterà come insegnamento e incoraggiamento».

Strana affermazione per un credente, tanto più per un prelato cattolico: per nulla pensoso del destino immortale di Sangnier, il Nunzio ritiene che quel che importa è la sua «gloria di quaggiù» presso i posteri. Strana ed enigmatica. Ma forse è il capoverso seguente che la spiega:

«All’occasione della sua morte», scrive Roncalli, «il mio spirito è stato molto confortato dal constatare che le voci più autorizzate a parlare a nome della Francia ufficiale si sono incontrate, unanimi, ad avvolgere Marc Sangnier come d’un mantello d’onore, del discorso della Montagna...».

Le voci che si unirono davanti al feretro di Sangnier erano quelle della politica massonica, socialista e laicista (e ferocemente anticlericale) della Francia ufficiale di allora. Era così vicino a loro, il futuro Papa? Direi di sì.

Quando Pio XII si scoprì tradito dal segretario Montini di cui si fidava completamente (venne a sapere che teneva rapporti con Mosca non autorizzati dietro le sue spalle), lo spedì a Milano come arcivescovo senza farlo cardinale, togliendogli la possibilità di essere fatto Papa al prossimo conclave, come tutte le voci e i sussurri profetizzano vi sì fosse immancabilmente destinato. Infatti, al conclave fu eletto Roncalli. Il quale notoriamente disse a Montini: «Le tengo il posto». Una frase da congiurato. E lo fece cardinale, in modo che come auspicato, quello fu eletto Papa alla tornata seguente.

Intanto Giovanni XXIII aveva aperto il Concilio. Che fu la decisiva affermazione delle idee di Buonaiuti: la religione dell’uomo «centro e cima della creazione costituito da Dio signore e governatore della creazione tutta», come recita la Gaudium et Spes: che all’uomo conferisce con ciò gli attributi di Dio.

E infatti:

La coscienza individuale è buona per sé (Gaudium et Spes, 16). La rivelazione di Cristo non è consistita, come si credeva prima, a farci conoscere il mistero della natura divina nella sua vita trinitaria, bensì a farci edotti del mistero della natura umana: «Cristo, il nuovo Adamo, nella stessa rivelazione del mistero del Padre e del suo amore, manifesta pienamente l’uomo all’uomo stesso» (22). L’umanità intera, anche quella che non conosce Cristo o lo rifiuta, è «in qualche modo» (quodammodo) unita a Dio dall’Incarnazione. Gesù del resto non ha rivelato dottrine, ha rivelato se stesso: oggi luogo comune modernista, accettato dai vertici clericali, che una via aperta alla svalutazione dei dogmi e poi alla loro sparizione, e ad ogni soggettivismo.

Che Bergoglio incarni la piena e totale adesione all’umanesimo, relativismo, soggettivismo a-dogmatico, meglio alla nuova «religione dell’uomo» proclamata dal Concilio, e propugnata dal Buonaiuti (2) è evidente per sé. Non sto a ripetere quanto già ho scritto nell’articolo dell’agosto scorso sulla «teologia papale». Mi limito a rievocare una sua frase, assolutamente rivelatrice: quando invitò i vescovi a punire severamente i preti che danno la Comunione in bocca anziché sulla mano, perché – disse – «non si può difendere il Corpo di Cristo offendendo il Corpo sociale di Cristo». Per lui c’è perfetta equivalenza fra la Presenza Reale e i fedeli: il corpo sociale di Cristo vale anzi più del Corpo Reale, perché non lo si deve offendere, se mai si offenda quello Reale dandolo in mano a chiunque...

Ora, dato per dimostrato – per brevi cenni – che nella mutazione della Chiesa è all’opera una cospirazione lucida, deliberata e mantenuta per generazioni per rendere il cattolicesimo «più protestante» e più «spirituale» secondo il Buonaiuti (ossia senza sacramenti, miracoli e sovrannaturale), si possono spiegare gli «atti strani» di Bergoglio come completamento, lucido e ben pianificato, della strategia dei congiurati. Ed anche la sua brutalità, la sua fretta.

C’è del metodo in questa follia



C’è del metodo nella follia di Bergoglio, dico per parafrasare Amleto. Alcuni punti:

1) Appena salito al soglio, procede ad una purga accurata e minuziosa dei prelati in qualche modo sospetti di «tradizionalismo» in Curia. Lo fa senza i guanti, rozzamente, ma secondo una lista che non può essere stato il solo a stilare e a riempire.

2) Contemporaneamente, come obbedendo a un programma preventivamente fissato, stronca e perseguita i Francescani dell’Immacolata. Arriva fino al punto di impedire l’uscita dei consacrati che chiedono l’incardinazione presso vescovi diocesani; s’è fatto dare la lista di quei vescovi che accettano l’incardinazione dei fuoriusciti, evidentemente preparando così una lista di nemici da eliminare. È un fatto spiritualmente gravissimo, quello di soffocare lo Spirito (che soffia dove vuole) al limite del sacrilego o forse oltre. La brutalità della repressione, senza spiegazione e senza possibilità di difesa per le vittime, contrasta derisoriamente con la «bontà» proclamata dal Concilio verso gli errori e gli erranti: «Frequentemente la Chiesa condannò (gli errori) con maggior severità. Nel nostro tempo, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia anziché quella della severità». Ma sui Francescani azzurri, altro che «misericordia»! È il randello che viene usato.

Perché? Il motivo c’è, agli occhi della Congiura: ed è che i Francescani dell’Immacolata, con 700 vocazioni, stavano dimostrando la vitalità della Chiesa di sempre, quella dei dogmi — della preghiera davanti al Sacramento e della contemplazione della croce, della liturgia (che è teologia) e della fede nel soprannaturale fino al sacrificio di sé.

Tutti gli ordini cattolici post-conciliari sono in via di sparizione, gesuiti, domenicani, eccetera quasi sono estinti. Solo quelli lì vestiti di azzurro vedono le loro vocazioni crescere anziché calare.

Secondo me, i congiurati hanno visto il pericolo finale che si configura.

I Francescani dell’Immacolata stavano ricostrendo la Chiesa di sempre
. O dico meglio: la forza propulsiva del modernismo essendo esaurita, i novatori invecchiando e defungendo (vedi Martini) e le loro speranze rivoluzionarie e protestantiche rivelatesi superate (come ogni moda) avendo perso fascino, a poco a poco, la fede stava ricostruendo la Chiesa, allo stesso modo naturale e organico con cui i piccoli polipi costruiscono e fanno crescere la barriera corallina. La barriera corallina dello spirito, devastata dall’inquinamento modernista, riprendeva gli splendidi colori. I nuovi preti giovani, pochissimi, tornano a vestire la talare. Il motu proprio di Ratzinger ha rimesso in circolo la liturgia di sempre. I francescani dell’Immacolata erano come il grumo organico di sedimentazione di coagulo più visibile, la prova che la liturgia «attrae» ed «ha successo» (3); un esempio a cui preti diocesani resi esausti dalla burocrazia post-conciliare vuota e senza prospettiva di salvezza, nonché semplici fedeli, potevano cominciare a guardare.

La brutalità della soppressione è spiegata dalla fretta. La stessa frettolosità rivelata nel Sinodo, dove i modernisti, coperti dal Papa, hanno forzato la mano verso la Comunione ai divorziati che vivono more uxorio: una fretta che è uno strappo ai metodi della setta segreta modernista, dedita da due o tre generazioni al lavorio graduale, massonicamente inavvertito, da dentro, per non suscitare resistenze nei prelati dormienti. Una fretta sbagliata tatticamente, che ha indotto i Kasper e i Forte a passare il segno – sanno di avere poco tempo – pronunciando con troppo anticipo una comprensione per le nozze omosessuali che è saltata all’occhio ed ha risvegliato opposizioni cardinalizie di livello.

1) Le resistenze devono aver sorpreso i modernisti. Che hanno dovuto arretrare. Per il momento: mentre il loro Papa riempie il prossimo sinodo di cardinali di sua nomina e fattura, e procede alla purga e rimozione dei cardinali che si sono rivelati decisi a resistere. Il prossimo Sinodo vedrà l’esaudimento del programma: riconoscimento delle nozze gay (dietro qualche formulazione «di carità») e ovviamente il Sacramento ai divorziati, che sono anche loro Corpo Sociale di Cristo, più sacro del Corpo Reale.

A questo punto c’è il rischio dello scisma. Ma loro non si preoccupano,

2) Con le interviste a Scalfari e le telefonate a Pannella, il Bergoglio s’è guadagnato per sempre – e preventivamente – il favore dei media e dei potentati laicisti – «le voci più autorizzate» direbbe Giovanni XXIII, quelle che «assicurano le più alte ascensioni, che assicurano la gloria di quaggiù»; e non è un caso che i più loschi venerati maestri ed esponenti politici non facciano che citare Papa Bergoglio. Nemmeno parlare dell’opinione pubblica anti-clericale, delle masse attardate nella loro zoologia «progressista», nichilista ed anarcoide (né dio né padroni, «libertà» da ogni vincolo); essa è stata conquistata e trova il Papa simpatico.

3) Se e quando si profilerà lo scisma, i potentati mediatici e laicisti alzeranno la loro potente canea contro i resistenti, che osano opporsi ad un Papa così simpatico. Comincerà la persecuzione dei cristiani «in difesa del Papa venuto da lontano»: ci accuseranno di disertare le periferie esistenziali, susciteranno contro di noi l’odio del mondo. E il Papa andrà all’ONU a parlare dell’ecologia aureolato della corona del martire perseguitato dall’odiosa minoranza di «cattolici oscurantisti», di strette e basse vedute; esattamente come Sangnier fu avvolto dalle voci ufficiali della Francia, da un mantello da discorso della Montagna.





1) Sulla bontà di don Farinella bastino le seguenti sue frasi e pubbliche dichiarazioni: «Berlusconi? Io farei una legge ad personam, l’eutanasia attiva. Quello deve togliersi di mezzo. Si tolga dalle palle e non se ne parli più. Se Berlusconi morisse direi: grazie Signore che te lo sei portato via». Evidentemente non si avvicina da anni al confessionale, don Farinella.
2) Riporto qui una ripetuta e lodatissima frase di Bergoglio: « La Chiesa deve uscire da se stessa. Dove? Verso le periferie esistenziali, qualsiasi esse siano, ma uscire. Gesù ci dice: «Andate per tutto il mondo! Andate! Predicate! Date testimonianza del Vangelo!» (cfr Mc 16,15). Ma che cosa succede se uno esce da se stesso? Può succedere quello che può capitare a tutti quelli che escono di casa e vanno per la strada: un incidente. Ma io vi dico: preferisco mille volte una Chiesa incidentata, incorsa in un incidente, che una Chiesa ammalata per chiusura!». Ecco un tipico esempio della «teologia lasciata a metà» dell’argentino, fatta di frasi lasciate in sospeso. Che cosa è una «Chiesa incidentata» che Bergoglio dichiara di preferire ad una Chiesa «chiusa»? Se fosse obbligato a precisare, dovrebbe dire: una Chiesa eretica? Una Chiesa che abbandona i contenuti di verità, che è indifferente al vero ed è occupata solo del sociale («carità»)? Perché «Gesù non ha rivelato una dottrina ma se stesso»? Per fortuna la semi-teologia imposta dal Concilio non obbliga a completare le frasi, ossia a dare un contenuto veritativo. Il Papa non vuole dare un contenuto veritativo alle sue asserzioni, altrimenti si ricadrebbe nella vecchia opposizione vero-falso, che il modernismo precisamente si studia di eliminare. Per questo quando bastona e punisce i suoi avversari, non ne dà una ragione. Non è questione di ragione o torto, è questione di «io sono più forte di te», una contraffazione dell’autorità pontificale.
3) Non a caso il Papa ha scelto, per commissariare i Francescani dell’Immacolata, elementi della nuova Chiesa ostile al soprannaturale. La commissaria inviata a stroncare il ramo femminile, Fernanda Barbiero, ha rimproverato: nelle religiose «C’è troppo invisibile, troppo arcano. La direzione della vita religiosa pare dimostrare che la santità ha il suo epicentro nell’al di là, nell’invisibile», invece bisogna re-dirigerla «in una carità molto più vicina all’elemosina che alla responsabilità e all’impegno per un mondo più giusto». È una nuova Chiesa che ormai si esibisce: niente più preghiere ma azione nel sociale per un mondo più giusto. La Chiesa dell’invisibile e del soprannaturale, che ha convissuto per secoli ed ha dato sostanza e spinta alla Chiesa-carità, è ormai intollerabile, e va espulsa. Lo scisma è benvenuto per i modernisti, i quali sanno di avere poco tempo.



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