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Un ultimo appello alla prudenza e alla giustizia
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1) Mi sembra che la risposta di monsignor Williamson non sia stata “gratuita e non-dovuta”, poiché gli è stata posta una domanda precisa, in pubblico e video-registrata, alla quale doveva rispondere necessariamente. Egli aveva pattuito con la TV svedese un’intervista sull’operato dottrinale della Fraternità Sacerdotale San Pio X, stop. I giornalisti invece gli hanno teso una trappola, chiedendo - in maniera sibillina - una risposta su quanto aveva affermato venti anni prima in Canada, in occasione dell’ingiusto processo Zundel-Leuchter, con l’intento di farlo cadere. Se non avesse risposto, avrebbe avallato l’insinuazione del giornalista, che voleva farlo passare per un anti-semita biologico e nazional-socialista. Se avesse detto il contrario di ciò che pensava, avrebbe mentito pubblicamente, sotto registrazione, avrebbe condannato due vittime (Zundel-Leuchter) e avallato un’opinione storico-teologica che non sta in piedi (“shoah male assoluto” e “sterminio totale e pianificato degli ebrei europei, tramite camere a gas”). Ora, se mi scavano una fossa sulla strada che attraverso e vi cado dentro, non sono io il colpevole ma chi mi ha teso il trabocchetto. Se mi fanno uno sgambetto, mentre cammino e cado oppure prendo “uno scivolone” perché mi gettano una “buccia di banana” dove passo, non sono io il malvagio o l’imprudente ma chi mi ha fatto lo sgambetto e mi ha fatto scivolare.

2) Non si può accusare pubblicamente monsignor Fellay di aver tradito, di essersi venduto al modernismo post-conciliare, senza avere e addurre le prove oggettive e reali e non semplici congetture. Sarebbe un giudizio temerario in materia grave, che comporta un peccato grave, contro l’8° comandamento e la virtù di giustizia, almeno oggettivamente o materialmente. Se qualcuno ha dei dubbi positivi, seri e fondati, gli è lecito sospendere l’assenso e il giudizio “pro auctoritate”, attendere prudentemente ciò che avverrà e agire o parlare solo dopo aver risolto il dubbio ed aver avuto la certezza morale.

3) Per quanto riguarda i dottori Savino-Copertino, che stimo ma dai quali dissento:
a) “Ebrei fratelli maggiori e prediletti nella Fede di Abramo”, è un grave errore contro la Fede cattolica, poiché il giudaismo post-biblico non crede alla Santissima Trinità e all’Incarnazione del Figlio, che sono i due misteri principali di essa;
b) L’Antica Alleanza era tutta relativa alla Nuova e a Cristo; il giudaismo l’ha rotta, il suo padre non è più Abramo ma è il diavolo (Giovanni, VIII, 42 seguenti);
c) L’ermeneutica della continuità di “Nostra aetate” non regge; essa non contiene neppure una citazione della Sacra Scrittura, dei Padri ecclesiastici e del Magistero, poiché non ve ne sono, non esistono. Cosa “continua”? Nulla. Il continuo è definito “id cujus extrema sunt unum”. Ora quale è l’unità di dottrina tra Tradizione e “Nostra aetate”? Non c’è. Ho già scritto su questi tre ultimi argomenti e non vorrei ripetermi, poiché “repetita juvant, cum non scocciant”.

4) Il revisionismo non deve far parte necessariamente dei colloqui per dirimere gli errori conciliari e post-conciliari. Sono perfettamente d’accordo. Ma chi lo ha messo nell’“agenda” è stato Benedetto XVI, canonicamente eletto Papa, ma parlante in questa occasione come dottore privato, non monsignor Williamson.

5) L’autenticità della Fede non passa attraverso le posizioni revisioniste, sì è vero, ma neppure il contrario: il revisionismo storico non è contro la Fede cattolica. Ora Benedetto XVI ha chiesto esplicitamente a monsignor Williamson di aderire alla vulgata sterminazionista, come conditio sine qua non per entrare nella “piena e perfetta comunione” col Vaticano II e per poter esercitare l’episcopato.

6) Date queste premesse, la “shoah come male assoluto” o il revisionismo storico diventano qualcosa di connesso intimamente con la Fede. Onde l’insegnamento (che ho citato ed è stato ripreso dall’amico Domenico Savino) di San Tommaso d’Aquino è applicabile - hic et nunc, rebus sic stantibus - anche all’“olocausto-latria”. Il giudaismo, oggi, professa il dogma olocaustico e pretende atto di sottomissione ad esso. Quindi è dovere del cattolico non solo affermare positivamente la verità, ma anche condannare l’errore.

7) Sedersi al tavolo con Benedetto XVI per correggere gli errori conciliari e post-conciliari sarebbe doveroso ma egli ha escluso la volontà di correggere, anzi ha chiesto “piena e totale accettazione del concilio e del post-concilio”. Invece sedersi per accettarli o patteggiare con essi sarebbe rovinoso. E’ stato già fatto ciò? Non mi risulta. Potrebbe avvenire? E’ possibile. Ma “a posse ad esse, non valet illatio”. Cosa fare? “Non sbraniamoci come cani”, diamo tempo al tempo, “se son rose fioriranno, se son rovi seccheranno”. Se poi non spuntano le rose e se si vedono rovi, se ne prenderà atto. Ora come ora è azzardato e prematuro emettere giudizi pubblici, i quali pretendono avere una certezza che oggettivamente non c’è ancora. Aspettiamo con pazienza, prudenza, senso di giustizia e misericordia.

8) Firmare il protocollo del 4 maggio 1988 significherebbe accettare il Vaticano II e il post-concilio, dopo il 2009 “olocausto-latria” annessa. Monsignor Lefebvre lo fece ma poi - fortunatamente - ritrattò. Ora “errare humanum est, perseverare diabolicum”. Voler spingere a ricommettere ciò che monsignor Lefebvre stesso giudicò essere stato un errore, non è un “buon consiglio”. Prego perché non succeda, penso mi sia lecito e consentito. Deo gratias non è ancora successo, sarebbe scorretto affermare - con certezza - il contrario. In coertis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas. Alcuni giudizi perentori e definitivi contro o su monsignor Williamson sono ingiusti, mi hanno stupito e addolorato. Altri su monsignor Fellay sono affrettati e quindi imprudenti. Ora la prudenza è l’auriga di tutte la altre virtù. Quindi cerchiamo di mantenerla. “Expectans expectavi”… Detto questo mi fermo e attendo. Non intendo emettere giudizi affrettati né ingiusti su nessuno (“Qualcuno dice: io sono di Cefa, qualche altro: io di Paolo. No, bisogna dire: io sono di Cristo”, San Paolo). Non voglio fare né sentire illazioni o pettegolezzi. “Oremus ad invicem” e per la Fraternità Sacerdotale San Pio X che tutto si aggiusti, nulla è impossibile alla preghiera. “Miserere nostri Domine, miserere nostri, quia multum sumus pleni despectione”. “Qui reputat se stare, caveat ne cadat”.

Et de hoc satis. Pace e Bene a tutti!

Don Curzio Nitoglia


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