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Perchè «Galileo» sta fallendo
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Ci si domandava come mai Galileo - il grandioso progetto di posizionamento satellitare europeo - stesse incontrando tante difficoltà e ostacoli.
La versione ufficiale dice: invidie e rivalità particolariste fra le ditte europee consocie del progetto (fra cui la nostra Finmeccanica).
Ma ora, un articolo di Stratfor, un sito militare USA, spiega qualcosa in più.
«I vantaggi militari di rompere il monopolio USA della tecnologia di posizionamento satellitare (GPS) sono ovvi. Qualunque Paese in rotta di collisione con gli Stati Uniti perde l’accesso al GPS: ciò rende impossibile a forze armate di altri Paesi di sviluppare e usare armi con guida satellitare GPS, se non leccando i piedi a Washington».
Tanto più che i missili d’oggi dipendono, per l’acquisizione di bersaglio, da questa tecnologia.
E, come ha scritto Spiegel il 4 giugno, «vendere sistemi d’arma avanzati non basati sulla navigazione satellitare è più duro che provare a vendere telefoni con la numerazione a ruota».
Ovvio che gli USA non abbiano voluto perdere questi vantaggi politici, strategici e industriali.
Perciò il 4 dicembre 2001 (si noti: poche settimane dopo l’11 settembre) Paul Wolfowitz, allora vice-ministro al Pentagono, scrisse una lettera a tutti i ministri della Difesa europei esprimendo la contrarietà di Washington per il progetto Galileo: secondo lui, i segnali del sistema europeo  avrebbero interferito con quello americano GPS, e dunque ostacolato la «guerra al terrorismo globale».
Era la nuova dottrina Bush: se non siete con noi, siete contro di noi.
Subito obbediente a Wolfowitz, Gilles Cantelet, il portavoce del programma Galileo, si affrettava a dichiarare, nel marzo 2002, che «Galileo è praticamente morto».
Non era la politica ufficiale, in apparenza.

Nel marzo 2002 l’ESA, l’agenzia spaziale europea, dichiarava la sua determinazione di attuare il Galileo, e il lancio della sua trentina di satelliti che l’avrebbero reso più preciso e affidabile del GPS.
La decisione fu riconfermata nel «Libro Verde» sulla politica spaziale che la UE pubblicò al principio del 2003.
Il progetto Galileo non era morto.
Ma in Europa, c’era chi per servire gli USA si dava da fare per ammazzarlo.
Cominciarono poco comprensibili disaccordi intra-europei sulla suddivisione dei lavori (e dei benefici della ricerca) e dei finanziamenti.
Ciò nonostante, la Cina chiese ed ottenne di entrare nel progetto Galileo, con 259 milioni di dollari d’investimento.
Presto seguita dall’India, dall’Ucraina e da Israele.
Le manovre americane dietro le quinte si intensificarono.
E culminarono in un accordo firmato tra la UE e Colin Powell a Shannon in Irlanda (29 giugno 2004).
Con quell’accordo, gli europei si impegnarono a mantenere «la natura strettamente civile» del progetto.
Colin Powell era raggiante: «Galileo e GPS possono navigare affiancati», dichiarò.
Non più pericolo di interferenze sui segnali.
Le rivalità tra nazioni e ditte europee non hanno fatto che approfondirsi.
Si è litigato su tutto, anche sulla sede centrale del progetto: alla fine s’è deciso per tre, una a Monaco, una in Italia e una in Spagna.
Nel frattempo il completamento di Galileo - costo previsto almeno 3,2 miliardi di euro - veniva rimandato sempre più avanti.
Doveva essere operativo nel 2008.
Poi, nel 2012.
Ora dicono nel 2014.

A causa di questi ritardi, Pechino ha lanciato il suo proprio programma satellitare
(La Bussola), lanciando il primo dei satelliti relativi l’aprile scorso.
L’India, che non vuole restare indietro alla Cina nella corsa spaziale e soprattutto ha bisogno di un sistema di puntamento avanzato indipendente dagli USA, ha messo in cantiere il proprio IRNSS (Indian Regional Navigation Satellite System): lancerà il primo satellite, a scopo specificamente militare,  pare ad agosto.
Mosca sta rammodernando il suo invecchiato sistema, il GLONASS.
E anche Washington ha annunciato un GPS di seconda generazione da lanciare prossimamente.
Mentre ciò avveniva, sono apparsi sui media europei, specie britannici (ed italiani) articoli di vari esperti che ponevano il dubbio: a chi serve un Galileo a pagamento, quando c’è il GPS gratuito?
Il progetto è commercialmente fallimentare.
Eppure, inizialmente, Galileo si proponeva di servire 3 miliardi di uomini nel mondo e di ricavare dai servizi offerti 275 miliardi di dollari l’anno entro il 2020.
Il Gaileo sta facendo la fine del progetto Airbus, anch’esso osteggiato dall’apparato militare industriale americano per gli stessi motivi, e anch’essi piagato dalle stesse inefficienze, conflitti tra nazioni e imprese, al limite del sabotaggio.
Il Galileo è di nuovo praticamente morto, come da ordini superiori.
Ma i conflitti sempre più aspri fra le aziende coinvolte nel progetto hanno avuto un effetto imprevisto.
Essendo questo conflitti finanziari (chi paga, e chi ricava) sempre più insolubili, i ministri dei trasporti della UE hanno deciso di tagliare il nodo di Gordio: il finanziamento del Galileo verrà interamente da denaro pubblico.

Il progetto, originariamente voluto «privato» come da dogma liberista (anche se un miliardo di euro sarebbe venuto comunque dagli Stati-membri), è stato di fatto nazionalizzato.
E siccome è denaro dei contribuenti quello che viene speso, l’uso commerciale volto al profitto è passato in seconda linea rispetto alla utilità «pubblica»: ossia, fra l’altro,  militare.
Per la prima volta, la UE ha accennato ad un «possibile uso militare» (sic) del Galileo.
Lo ha fatto per bocca di Jacques Barrot, vice-presidente della Commissione Europea.
Pare che le sfortune della super-armata USA in Iraq, il viale del tramonto che Bush sta percorrendo e soprattutto la prospettiva che Bush attacchi, prima di andarsene, l’Iran, abbiano indotto a questo, chiamiamolo così, «atto di coraggio» e prova di indipendenza.
Il fatto interessante è che a far rivivere il Galileo morto e a spingere per la nuova destinazione è stata la Germania.
Wolfgang Tiefensee, ministro dei Trasporti di Berlino, ha detto: «Dobbiamo provare il nostro valore in questo settore tecnologico in competizione con Russia, USA ed Asia».
Le aziende di armamento europee tirano un sospiro di sollievo: possono cominciare a pensare a sistemi d’arma appoggiati da un apparato di puntamento indipendente.
Ma naturalmente non c’è da essere troppo ottimisti.
Il progetto tedesco di rendere pubblico il finanziamento del Galileo è stato osteggiato - apprendiamo senza stupore - da Londra e dall’Olanda, che preferiscono, guarda caso, il vecchio  progetto di consorzio privato.
Ciò fa ancora una volta mancare i fondi a Galileo.
Per non bloccare tutto (le centinaia di ricercatori, scienziati e tecnici che stanno lavorando da anni), è stata fatta passare al Parlamento Europeo una risoluzione, il 20 giugno scorso, per mettere interamente il Galileo a carico del bilancio UE.
Ma una risoluzione del Parlamento, nella democrazia eurocratica, non obbliga a nulla.

I ministri delle Finanze devono discutere il problema il 10 luglio.
Poi, lo discuteranno ancora.
E ancora, e ancora.
Galileo rimorirà?

 
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