Foglio.it 05 Settembre 2013
Digiunare e pregare senza alcun oggetto razionale stabilisce una misteriosa connessione con il divino, è un esercizio di fede. Appartiene al mondo meraviglioso delle religioni, è l’espressione di un credo, un abbraccio a Cristo o una sottomissione (islam) al Dio unico e al suo profeta Muhammad. Può essere un esercizio di liberazione personale, un’ascesi oltremondana che si inizia nel mondo e lo vanifica. Ma lo stato non è una fede, e non voglio che i ministri segretari di stato, Emma Bonino e Mario Mauro, si associno a un digiuno politico, vanifichino il loro e il mio posto nel mondo. Non lo voglio in un significato profondo. Mi metto fuori dallo stato, se lo stato si mette fuori dalla ragione che lo istituisce. La paura può forse essere all’origine di un contratto sociale, ma sicurezza e libertà sole lo compiono, lo definiscono in una società democratica e liberale moderna.
La commisurazione dei mezzi ai fini, e perfino la statuizione di mezzi politici alla luce dei fini, è il progresso da Machiavelli a Kant. Il fine del digiuno di sabato sera in San Pietro, cristiano o interreligioso che voglia essere, è un sentimento dell’urgenza dell’ora, urgenza apocalittica, disvelamento. In questo senso è comprensibile. Ma in mano ai governi politici, quel mezzo allude a un altro fine, a un’altra fine: la fine della responsabilità civile. Ho sempre creduto nello spazio pubblico della fede, e nel diritto di esistere socialmente delle religioni, in particolare della mia, del cristianesimo, ma non credo nella sostanza spiritualistica della politica. La politica è carità in un senso molto più complicato di quello evocato dal digiuno dei ministri degli Esteri e della Difesa. Bisognerebbe che il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio richiamassero ai loro doveri, al loro giuramento, alla verità di significato del loro ruolo quei bacchettoni della paura che alla paura si prosternano, invece di agire con la manliness necessaria a giustificare il contratto che ci lega nello stato e nella sua norma fondamentale.
Fonte > Foglio.it