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Ha vinto la speculazione
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Commento di un trader americano dopo il mega-salvataggio europeo: «Wall Street ha vinto, possiede i mercati. Vanno giù, vanno su, e si guadagna comunque».

L’annuncio dei 700 miliardi a loro disposizione li ha ringalluzziti, i «mercati». Le azioni delle banche schizzate all’insù, e salutate dai media come «scampato pericolo, l’euro è salvo» (Unicredit più 20%) hanno un motivo ben preciso: la BCE ha fatto sapere che compra alle banche i titoli tossici e i crediti inesigibili di cui sono piene. Non si è salvato l’euro, si è salvata l’irresponsabilità di questi prestatori.

E gli speculatori hanno anche più ragione di esultare. Si sono gettati a comprare il debito pubblico greco con forti sconti (ossia con tassi d’interesse al 12%: erano stati declassati a «junk bonds» dalle note agenzie di rating); hanno attizzato i media perchè gridassero l’allarme sul debito sovrano e l’insolvenza greca. La BCE e gli Stati si sono precipitati a pagare il conto greco, ossia quello in mano agli speculatori. Hanno rifatto il gioco con Spagna e Portogallo, diffondendo le voci più catastrofiche su quelle finanze. BCE e Stati hanno messo in campo i 700 miliardi: ora gli speculatori hanno montagne di titoli di debito pubblico che hanno acquistato per un boccone di pane, e il cui rimborso è garantito, nientemeno, dall’Unione Europea.

I rialzi frenetici, paranoici delle Borse confermano la solita storia: ormai i mercati azionari non servono più a finanziare l’economia reale, ma al contrario: ad estrarre benefici dall’economisa reale e dai contribuenti, a vantaggio dei Soros, dei Goldman Sachs, e dei Profumo & Co.

Il salvataggio europeo ha garantito ai cittadini europei un «ventennio giapponese», ossia di recessione e di deflazione, dovuto a quelle banche giapponesi che dovevano fallire, ma sono state tenute in vita come zombies. Per di più, niente è stato risolto per frenare i «mercati», e il gioco della speculazione contro i debiti pubblici europei può ricominciare fra qualche giorno o qualche mese.

La cura d’austerità imposta alla Grecia (e alla Spagna, al Portogallo e all’Italia) avrà appunto questo esito. Per arrivare a tagliare il rapporto debito-PIL di un punto, la Grecia dovrà di fatto tagliare di 2-3 punti in restrizioni: ciò renderà impossibile la crescita economica reale, e fra qualche mese il debito greco si sarà aggravato, e sarà ancora cresciuta la forbice fra i BOT greci e i BOT germanici. E la speculazione potrà ripetere il suo gioco.

Questo avverrà dovunque, anche da noi. Perchè i banchieri e i loro maggiordomi governanti non vogliono sapere che quando si tenta di ridurre un deficit in fase di recessione, l’aumento delle imposte e il taglio delle spese e dei consumi che ciò comporta sono così violenti che non fanno che aggravare la situazione iniziale: le finanze pubbliche saranno ancor più degradate, con l’aggiunta di una disoccupazione a due cifre.

Il salvataggio dell’euro ha salvato esclusivamente il quadro concettuale e ideologico, non solo profondamente sbagliato, ma anche radicalmente immorale, del liberismo: secondo cui le banche e la speculazione di Borsa servono a fare credito, a finanziare le imprese.

Abbiamo visto che non è così. La sola realtà risultante è questa: che la crisi delle finanze private e speculative è stata trasferita agli Stati, come crisi delle finanze pubbliche, quelle che finanziano le spese sociali. Adesso si tratta di tagliare le spese sociali e i salari, per salvare gli speculatori.

E pensare che la Merkel aveva dichiarato: «Siamo in  guerra contro i mercati». Bella guerra, e bella vittoria. Ha fatto vedere ai «mercati» i 700 miliardi ed ha detto: sono per voi, venite a prenderli.

Bisogna ricordare che prima del crack finanziario dei subprime americani nel 2007, in Europa non c’era un problema di debito pubblico, nè alcuna difficoltà delle finanze pubbliche di indebitarsi?

Tutte le recessioni degli ultimi vent’anni hanno per origine degli shock dovuti alla finanza speculativa (bolle che scoppiano), e trasmessi all’economia reale attraverso il canale del credito, che improvvisamente diventava più avaro.

Allo scoppio di ogni crisi, l’aumento dei deficit pubblici diventa un imperativo congiunturale, onde contrastare la recessione. Adesso i «mercati», appena salvati dai deficit pubblici, ingiungono agli Stati (con la voce della Merkel e di Trichet) di «rientrare dal debito pubblico eccessivo»: in fase di gravissima depressione economica mondiale, questo non farà che aggravare disoccupazione, perdita di potere d’acquisto, riduzione dei consumi e dunque, degli introiti fiscali.

E la speculazione ricomincia, ricominciano le strida sulla «insolvenza degli Stati», ricominciano le voci paterne alla Ciampi che raccomandano «austerità», e quelle che dicono: la crisi dimostra che l’Unione Europea deve diventare un vero corpo politico... ossia che bisogna lasciare il governo ai banchieri centrali.

Fino a quando può durare questo massacro?

Fino a quando le società sopportano, senza rivolte sociali, di essere le vittime dei banchieri. Di quelli centrali e di quelli speculativi. Perchè, come dice l’economista Fréderic Lordon, «l’antagonismo attuale è ‘corpi sociali’ contro finanza». Ai politici, la finanza dà il compito di arbitrare il conflitto, di mettere al remo delle galere le loro società. Così, quando le società degli schiavi si ribelleranno, saranno i politici a pagare in credibilità e legittimità, mica i banchieri. E i banchieri potranno dire, con apparente ancor più ragione: lasciate governare noi, la democrazia non funziona. (Crise, la croisée des chemin
 s)

Se la democrazia funzionasse, i governi europei, nella stessa seduta in cui hanno faticosamente impegnato 700 miliardi, avrebbero emanato normative penali contro ogni strumento speculativo che non finanzi direttamente l’economia reale: derivati, giochi al ribasso, le illimitate leve (indebitamenti a breve) per speculare, vendite ad alta frequenza automatizzate al ritmo di una puntata ogni 0,2 secondi. Tutte queste cose andrebbero messe, semplicemente, fuorilegge.
Avrebbero nazionalizzato le banche. Avrebbero acquistato i titoli di debito direttamente dagli Stati, non dalle banche sul «mercato secondario». Avebbero emanato un mandato di cattura europeo per i responsabili di Goldman Sachs e dei giocatori d’azzardo globali.

Se i governi fossero democratici, ossia rispondessero agli elettori-cittadini, non avrebbero delegato ai banchieri il compito di suggerire le regolamentazioni da attuare contro la speculazione. Avrebbero messo un freno politico alla circolazione dei capitali. Avrebbero dichiarato il protezionismo europeo contro le delocalizzazioni.

E, visto che hanno seppellito alcune «regole» d’acciaio che la BCE s’era data, potevano ripensare le altre «regole» dannose: fra cui quelle che vietano ai Paesi con la moneta unica euro di aggiustare i tassi di cambio. Il che significa: non abolire l’euro (in piena crisi, le difficoltà logistiche e politiche sono insormontabili) ma trasformarlo da moneta unica a moneta comune.

L’idea fu ventilata autorevolmente da economisti francesi e anche da Edouard Balladour, primo ministro francese, e da John Major, primo ministro tatcheriano, prima dell’euro, nel 1989. Farne una «moneta comune», ossia la sola convertibile contro valute extra-europee, e in rapporto alla quale le monete nazionali europee avrebbero ricevuto una parità di partenza, ma revisionabile via via. Non però secondo i meccanismi dei «mercati», ma da meditati processi di negoziazione politica fra gli Stati membri, con decisioni prese a forte maggioranza o all’unanimità. Insomma, mantenere al potere politico le prerogative di svalutare.

L’idea di Balladur e Major fu censurata. Altri, in America, nel Bildeberg, nella Trilateral, sul Britannia, avevano deciso: sarà l’euro, con le sue fragilità intrinseche, per forzare la creazione degli Stati Uniti d’Europa (il governo degli eurocrati e dei banchieri).

Chi non era d’accordo, era trattato dai media da anti-europeista, nazionalista, sospetto fascista, e magari negazionista. Gli economisti che avevano preso quella posizione non vennero mai più intervistati dai grandi media. Le idee alternative furono così marginalizzate, e si potè dire che «non esistevano» che c’era solo un pensiero unico, e una corale unicità.

Adesso però c’è l’informazione parallela. E’ il solo motivo di speranza, nella lotta fra finanza e corpi sociali che si apre.



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