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Obama, alias Brzezinski
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Dopo otto anni di imperialismo idiota e cattivo alla Bush, gli europei salutano Obama come la macchina dei sogni di una nuova America. O di una vecchia: l'imperialismo dal volto umano, è quello di cui sembriamo avere nostalgia qui in Europa.

Intendiamoci, ciò prescinde dalle personali preferenze e dalle qualità di Barak Obama. Un presidente americano non ha o non è una «personalità», ma l’espressione di interessi e strategie che lo portano al potere per il proprio vantaggio. Bisogna vedere chi è che manovra Obama.

L’Economist (dei Rotschild di Londra) l’ha detto nel modo più esplicito: «Un nuovo cervello per Batar Obama! Ha 78 anni e funziona ancora alla perfezione. Appartiene a Zbigniew Brzezinski, il pepato ex consigliere di sicurezza nazionale di Jimmy Carter».

Un solo cervello? No. Ci si creda o no, ben cinque Brzezinski prestano il loro cervello ad Obama, come il capostipite lo prestò ad un ignoto commerciante di noccioline, e devoto congregazionalista, che la Trilaterale scelse negli anni '70 come presidente: Jimmy Carter appunto.

Eccoli, i consiglieri di famiglia del primo candidato negro:

Mark Brzezinski, figlio di Zbig, che è stato nel Consiglio di Sicurezza Nazionale di Bill Clinton, in qualità di direttore degli Affari Russi ed Eurasiatici; come tale, è stato lo stratega della «rivoluzione colorata» in Ucraina nel 2004, con l’intento di portare quella nuova «democrazia» nella NATO.

Ian Brzezinski, altro figlio. Attualmente è voce-assistente del Segretario di Stato per gli affari europei e NATO, una delle menti dietro la pressione per l’indipendenza (chiamiamola così) del Kosovo.

Mika Brzezinski, la figlia femmina di Zbig, giornalista e commentatrice politica della MSNBC, intervistatrice fissa di Michelle Obama, e promotrice della immagine di Obama come «il nuovo Kennedy».

Matthew Brzezinski, nipote, è stato corrispondente da Mosca per il Wall Street Journal, dove si è distinto per critiche ostili alla transizione russa. A Mosca non si è limitato a fare il giornalista, ma ha presieduto alle «proteste democratiche» anti-Putin. Da quell’esperienza gli è rimasto un grande amico: Ilya Akhmadov, grande criminale, nonchè «ministro degli Esteri» dell’opposizione cecena e incaricato dagli USA di numerose missioni.

Come si può intuire, è una famiglia che coltiva un’ossessione esclusiva: l’ostilità alla Russia. Del resto Zbigniew Brzezinski (direttore della Commissione Trilaterale 1973-76), come consigliere di Carter ebbe successo nel «risucchiare i russi in una palude vietnamita»: scopo raggiunto nel 1979, quando Mosca invase l’Afghanistan per salvare il regime comunista locale, minacciato dal terrorismo islamico (made in Pakistan con l'aiuto della CIA).

Secondo la sorella dello Scià, Brzezinski fu anche l’artefice della rivoluzione khomeinista che detronizzò il laico Reza Pahlevi, incauto amico degli americani. A quel tempo infatti Zbig - che in un certo senso è anche il creatore di Al Qaeda - puntava a creare una «mezzaluna verde» - di regimi fondamentalisti islamici - a ridosso del fianco Sud dell’URSS, per contenere Mosca e impedirle l'accesso ai mari caldi.

Non è un segreto infatti che Zbig sia fedele alle visioni ottocentesche della geopolitica di MacKinder: strappare alla Russia il controllo dello Heartland, il cuore dell’«isola-mondo» ossia della massa continentale eurasiatica, irraggiungibile dalle flotte imperiali britanniche.

L’avvento di Bush jr. e dei suoi manovratori israeliani (i neocon) ha turbato questo piano, con gran dispetto di Brzezinski: troppe guerre per Israele, rovinose, hanno reso ostili gli Stati «verdi» islamisti e pregiudicato il piano imperiale principale: il dominio dell’Heartland, attraverso l’Europa dell’Est. Perchè, come suona il dogma geopolitico, «chi controlla l’Est europeo comanda l’Heartland, chi controlla l’Heartland controlla l’isola-mondo; chi controlla l’isola-mondo controlla il pianeta».

Ora, tramontato Bush, Brzezinski vede in Obama una «seconda possibilità»: così suona il titolo del suo ultimo saggio, «Second Chance: three presidents and the Crisis of American superpower», in cui fornisce la sua versione del Nuovo Ordine Mondiale: balcanizzazione del Centro-Asia e dell’Est-Europa, con la creazione di staterelli etnici (come già il Kossovo, e in futuro la Cecenia) satelliti degli Stati Uniti. Il tutto nel nome della «dignità» delle etnie e della «democrazia» attorno al Caspio. Il tutto con la faccia di Obama e le sue utopiche visioni.

Funzionerà? Bisogna ricordare che Brzezinski ha portato alla rovina il povero presidente Carter, con tutte le sue ampie visioni (la «dottrina Carter» del 1980, in realtà dottrina Brzezinski, teorizzava il dominio americano sul Golfo: finì con le guardie iraniane che presero ostaggio il personale dell’ambasciata USA a Teheran, e li tennero per anni).

Ma in ogni caso la politica americana nella presidenza Obama non sarà certo meno aggressiva: sarà più antiquatamente imperiale. E sarà diretta più contro Mosca che contro i «terroristi islamici». Ma a decidere, in fondo, non sarà la «volontà» di Breze del suo presidente, ma la realtà economica obbiettiva. Brzezinski, che di economia non s’intende o è indifferente, potrebbe scoprire che l’America non ha i mezzi per attuare le sue visioni.

Ad onore di Brzezinski va detto che non è filo-ebraico, ed è estraneo al messianismo protestante dei «sionisti cristiani». Il suo stile è il freddo realismo, quando consigliava Carter, strappò gli accordi di Camp David nel 1978, dove Israele dovette restituire il Sinai come condizione per la pace con l’Egitto: una ferita che i sionisti fanatici non hanno mai perdonato.

La «visione» di quel certo ebraismo della Eretz Israel ha la sua geopolitica: il grande Israele, secondo come leggono le promesse di YHVH, va dal Nilo all’Eufrate. Per questo i seguaci di Leo Strauss detestano Brezinski, e ne sono ricambiati.

Dopo che il suo candidato Obama è andato a genuflettersi all'AIPAC (American-Israeli Political Committee), Zbigniew ha dichiarato al Telegraph che l'AIPAC «non agisce portando argomenti, ma diffamando, screditando, demonizzando. Sono pronti ad accusare chiunque di antisemitismo. C’è qualcosa di paranoico in questa inclinazione a vedere ogni serio tentativo di compromesso di pace come diretto contro Israele».


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