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Bergoglio è papa?
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Storicamente, per il singolo, può essere dubbio; Teologicamente, per la Chiesa, è certo

Prologo

Verso la fine del Trecento vi fu uno scisma in Europa, che turbò la pace della Chiesa e si ebbe, allora, la coesistenza di un Papa con uno o persino due antipapi.

Infatti, dopo il Pontificato di Gregorio XI (1370 – 1378), fu eletto Urbano VI (1378 – 1389), al quale fu contrapposto un antipapa: Clemente VII, che fu eletto da molti Cardinali francesi a Fondi vicino a Latina, il 20 settembre del 1378.

Dubbio storico, certezza canonico/teologica

A - “Storicamente”

Il grande studioso germanico vissuto verso la fine dell’Ottocento, Franz Xaver Funk, ha scritto che a) dal punto di vista storico non è certo, ed è ancora disputabile, se il Papa validamente eletto fosse stato Urbano VI (dell’obbedienza romana/urbaniana) oppure Clemente VII (dell’obbedienza avignonese/clementina). Secondo lui e molti altri studiosi (L. Salvatorelli, J. Köheler, K. A. Fink,) una decisione storica totalmente sicura non sarebbe possibile e una minima incertezza permarrebbe ancora oggi.

Si pensi che, con Clemente VII si schierò persino il grande ecclesiologo San Vincenzo Ferreri (1350 – 1419) che, nel 1380, scrisse anche un trattato teologico/canonico (De moderno schismate), di notevole spessore dottrinale, per dimostrare la validità dell’elezione di Clemente VII.

Mentre, con Urbano VI si schierò Santa Caterina da Siena (1347 – 1380), la cui azione a pro dell’obbedienza romana è nota a tutti, almeno in Italia.

B - “Teologicamente”

Tuttavia, se storicamente è lecito - al singolo Cristiano - studiare ancora la questione per ottenere maggiori luci e consultare nuovi documenti, ritenendola ancora aperta e disputata; b) teologicamente, giuridicamente o canonicamente, è certo - per la Chiesa - che il Papa validamente eletto è Urbano VI e non Clemente VII.

Ora, Urbano VI fu eletto, sotto la minaccia da parte del popolo romano inferocito, dai Cardinali riuniti in Conclave in Vaticano e terrorizzati.

Tuttavia, l’elezione di Urbano VI è considerata dalla Chiesa, come legittima (“Papa indubitatus”) e legittima è stata riconosciuta pure la successione romana dei Papi, che son succeduti a lui. Mentre, la successione avignonese dalle cronotassi ufficiali non è riconosciuta come valida, anche se qualche singolo storico studia ancora la questione come se fosse aperta e disputata.

Clemente VII pose la sua residenza ad Avignone e aprì una nuova Curia formata da 13 cardinali francesi. Così, la Cristianità (non la Chiesa) si divise in due parti: la romana o urbaniana contro l’avignonese o clementina.

Papa Urbano VI rispose scomunicando l’antipapa Clemente VII, cosicché “nominalmente tutta la Cristianità si trovava scomunicata!” (K. Bihlmeyer - H. Tuechle, Storia della Chiesa, vol. 3, L’epoca delle riforme, Brescia, Morcelliana, VII ed., 1983, p. 62), “nihil sub sole novi”, anche oggi le sentenze d’invalidità, le scomuniche e le deposizioni fioccano da una parte e dall’altra.

Nasceva così il Grande Scisma d’Occidente che sarebbe durato quasi 40 anni (1378-1417).

I “Fatti dogmatici” e i “Dogmi rivelati”

La Teologia cattolica insegna che vi sono alcuni fatti (ad esempio, la legittimità e la validità di un Pontificato) i quali pur non essendo oggetto di Rivelazione divina diretta, ossia un Dogma divinamente Rivelato - come, per esempio, la Natività di Gesù a Betlemme - tuttavia, sono connessi strettamente con il Dogma rivelato (cfr. Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1950, V vol., coll. 1058-160, voce “Fatti dogmatici”, a cura di Gabriele De Rosa).

I fatti dogmatici possono definirsi: “Fatti storici, che non sono direttamente rivelati ma sono strettamente connessi con la Rivelazione divina; per esempio, la legittimità di un Papa. […]. Ora, se la Chiesa potesse sbagliare nel suo giudizio su questi fatti o verità, che sono indirettamente connesse con la Rivelazione; ne deriverebbero conseguenze inconciliabili con la sua Istituzione divina e con la sua Santità” (L. Ott, Compendio di Teologia Dogmatica, Torino, Marietti, IV ed., 1969, p. 20-21 e 502).

Esempi storici concreti

Per esempio: non è un fatto rivelato direttamente da Dio che, dopo le dimissioni di papa San Celestino V (dicembre 1294)[1], Bonifacio VIII (1294 - 1303) sia stato il Sommo Pontefice legittimo; tuttavia, il suo essere Papa è un fatto connesso strettamente con il Dogma rivelato e, perciò, per la Chiesa è infallibilmente certo che Bonifacio fosse Papa, poiché questo fatto (la sua elezione canonica al Sommo Pontificato esercitato validamente) è richiesto teologicamente per la formulazione, la difesa e l’applicazione di un Dogma rivelato e definito: la Chiesa è stata fondata da Gesù su Pietro e i suoi successori (i Papi), i quali sono il fondamento e i Pastori o i Capi universali di Essa; per cui da questo principio dogmatico direttamente rivelato (di Fede divino/cattolica), ne segue il fatto dogmatico (di Fede ecclesiastica), che è connesso indirettamente con la Rivelazione divina diretta e formale, secondo cui il Papa regnante ed accettato, in maniera moralmente unanime[2], dalla Chiesa (gerarchica e discente) è veramente Papa, infatti, se non lo fosse vi sarebbero enormi conseguenze teologiche e dottrinali, che annullerebbero praticamente e indirettamente i Dogmi a) dell’istituzione divina della Chiesa su Pietro, b) del Primato di Pietro e, infine, c) dell’Apostolicità della Chiesa: ecco perché da un principio dogmatico ne segue immancabilmente un fatto dogmatico, che è indispensabile per illustrare il principio, calarlo nella pratica, farlo vivere ai Cristiani, rendendo possibile la vita ecclesiale.

Per esempio, papa Urbano VI (1378 – 1389) che è stato eletto, il 7 aprile 1378, sotto una certa pressione popolare esercitata sui Cardinali riuniti in Conclave, o Alessandro VI (1492 - 1503) che ha comprato, l’11 agosto 1492, in maniera simoniaca (quindi ereticamente atea e, dunque, con una scomunica conseguente) l’elezione al Sommo Pontificato, è stato veramente Papa oppure solo apparentemente? Oppure, Giovanni XXIII (1958 - 1963), che è subentrato al cardinal Giuseppe Siri (1906 - 1989), il quale dovette rinunciare all’elezione già avvenuta da parte del Collegio cardinalizio[3], perché quasi tutta l’altra metà dei Cardinali minacciava uno scisma, qualora fosse stato eletto Papa l’Arcivescovo di Genova, ritenuto troppo tradizionalista (Benny Lay, Il Papa non eletto: Giuseppe Siri, cardinale di Santa Romana Chiesa, Roma-Bari, Laterza, 1993); è stato realmente Papa?

Se costoro non fossero stati “veri” Papi (fatto dogmatico e giudizio storico), che non significa “buoni” Papi (giudizio di valore), che fine avrebbe fatto il Dogma dell’Apostolicità della Chiesa; ossia la successione ininterrotta di un Papa da un altro, da San Pietro sino alla fine del mondo? Inoltre, in pratica, tutti i loro atti (apertura del Concilio, Canonizzazioni, nomine di Cardinali…) sarebbero invalidi, perciò come si potrebbe rimediare a tanto danno? Sembrerebbe umanamente impossibile …

Ora, a) se - da una parte - il Dogma rivelato e definito: “Cristo ha fondato la Sua Chiesa su Pietro e i Papi suoi successori” è chiaro e netto; b) dall’altra parte, occorre anche sapere - in concreto e nelle contingenze storiche - se il fatto dell’elezione di “Tizio” (Celestino V o Bonifazio VIII), “Caio” (Urbano VI o Alessandro VI) o “Sempronio” (Giovanni XXIII oppure Francesco) al Sommo Pontificato sia stato valido e se costoro siano stati veramente Papi oppure no.

Tutto ciò non è stato rivelato direttamente da Dio, ma, è un fatto dogmatico connesso con la Rivelazione divina riguardo ai principi dogmatici a) della fondazione divina della Chiesa su Kefa, b) del Primato di Pietro e dei Papi, quali successori di San Pietro e, infine, c) dell’Apostolicità della Chiesa di Cristo. Infatti, la spiegazione, la difesa e l’applicazione del Dogma rivelato è legata strettamente, anche se solo indirettamente ed estrinsecamente, con il fatto dogmatico che Bonifacio VIII (Urbano VI / Alessandro VI / Giovanni XXIII / Francesco…) sono stati veramente Papi; altrimenti, nella pratica della vita ecclesiale, non solamente tutti i loro atti sarebbero invalidi, ma, nella teoria dogmatica, la successione apostolica (o Apostolicità della Chiesa, che è un Dogma di Fede rivelata e definita: “Credo la Chiesa; una, santa cattolica e apostolica”), si sarebbe interrotta e avrebbe cessato di esistere e, dunque, le “porte degli inferi” avrebbero prevalso contro la Chiesa e la promessa di Gesù (“portae inferi non praevalebunt adversus eam”, Mt., XVI, 18) sarebbe stata vana… Ma ciò - secondo la Rivelazione e la Fede cattolica per le quali Gesù è Dio e, dunque, non può né sbagliarsi, né ingannarci - è impossibile.

“Papa dubius, Papa nullus”?

I teologi si chiedono se si dubitasse dell’elezione di un Papa (per esempio l’elezione del cardinal Bergoglio dopo le dimissioni di Benedetto XVI) o del fatto che sia veramente Papa poiché non ortodosso (come i neo-modernisti: Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco), come bisognerebbe risolvere questa questione?  Ebbene, la soluzione data comunemente dalla sana Teologia è che “l’accettazione pacifica di un Papa, da parte di tutta la Chiesa moralmente unanime (non solo docente, ma anche discente), è il segno e l’effetto infallibile di un’elezione e di un Pontificato validi[4].  Quindi, nel caso nostro, l’accettazione di Francesco - da parte della maggioranza dell’Episcopato, dei Cardinali, dei Sacerdoti e dei fedeli - rende praticamente e teologicamente certa, da parte della Chiesa, la sua elezione; anche se il singolo Cristiano può studiare il problema da un punto di vista puramente storico.

Il cardinal Louis Billot (1846 – 1931), uno dei massimi teologi ed ecclesiologi del Novecento, insegna: “Nel caso dell’ipotesi della possibilità di un Papa ritenuto eretico[5], l’adesione, moralmente unanime, della Chiesa universale sarà sempre, in sé stessa, il segno infallibile della legittimità di tale o tal altro Pontefice” (De Ecclesia Christi, Roma, Gregoriana, 1903, vol. I, pp. 612 - 613). Quindi, la questione viene risolta dalla Chiesa, canonicamente e dogmaticamente, con la “sanatio in radice” di un eventuale Papato dubbio.

Infatti, se la Chiesa, nella sua totalità morale non matematica o assoluta, aderisse a un falso Sommo Pontefice, “le porte dell’inferno” avrebbero prevalso contro di Essa, poiché l’erronea adesione ad un falso Pontefice sarebbe la stessa cosa di un’erronea adesione ad un falsa regola della Fede. Infatti, il Papa e il Magistero vivente nel Papa regnante sono la regola prossima (“Credo, tutto ciò… e che la Santa Chiesa mi propone a credere”) dell’atto di Fede; mentre l’Autorità di Dio che rivela (“Credo tutto ciò che Dio ha rivelato…”) è la regola remota di esso per cui, se si aderisse a un falso Papa, si obbedirebbe implicitamente a una falsa Fede.

Dio può permette un dubbio storico da parte di singoli fedeli, Sacerdoti o Prelati sull’elezione di un determinato Pontefice, ma non potrebbe permettere che la Chiesa intera (Episcopato, Collegio cardinalizio, Sacerdoti e fedeli) accetti come vero Papa colui che non lo è realmente. Perciò, oggi il singolo Cristiano (sia fedele, sacerdote, Vescovo o Cardinale) può dubitare se Bergoglio sia Papa, ma la Chiesa nel suo insieme, moralmente unanime, non può aderire a un falso Papa.

Ora, oggi, il problema dibattuto, in modo più molto acceso e pungente, è proprio quello se Bergoglio sia veramente Papa, oppure no.

Perciò, per quanto riguarda questo tema, occorre dire che, non tanto le dimissioni di Benedetto XVI (28 febbraio 2013), quanto la sua invenzione della figura (inesistente sino al 2013 nella Teologia e nella prassi della Chiesa) del “Papa emerito”, hanno creato nell’ambiente ecclesiale una certa confusione, la quale rende ipotizzabile, da parte del singolo Cristiano, il dubbio storicamente positivo e puramente ipotetico e speculativo sulla possibilità remota che il Papa regnante sia ancor oggi Benedetto XVI; tuttavia, questo dubbio lecito storicamente e speculativamente viene risolto, a livello ecclesiale, dal Diritto canonico e dalla Teologia che ci dà la certezza (di Fede ecclesiastica) della valida elezione del cardinal Bergoglio al Sommo Pontificato, non senza dimenticare che Anna e Caifa erano reputati da Gesù e dagli Apostoli “Sommi Sacerdoti”, come pura Giuda Iscariota era stato chiamato da Gesù come Suo Apostolo, pur essendo un “diavolo” (Giov., VI, 71).

Da quanto esposto sopra, si evince chiaramente che questo fatto (“Francesco è Papa?”) non è solo un fatto puramente umano o storico, non è neppure un Dogma rivelato direttamente o di Fede divina, ma è, tuttavia, un fatto dogmatico e di Fede ecclesiastica ed ecclesiologicamente infallibile, ossia strettamente correlato al Dogma del Primato del Papa, dell’Apostolicità della Chiesa romana e della subordinazione dell’Episcopato al Pontefice romano.

Infatti, è un “fatto ecclesiastico” (o ecclesiologicamente e giuridicamente rilevante) se esista un Papa che governi la Chiesa (se “bene o male”, non è questo il problema in questione qui), se Essa possa sussistere senza un Papa in atto ma solo in potenza o materialiter; oppure se non sia restato assolutamente nulla della gerarchia ecclesiastica (Papa, Cardinali e Vescovi con giurisdizione): cioè se la Chiesa sia rimasta oggi senza un fondamento su cui poggiare (totalmente o solo formalmente).

Tutti i Trattati di Ecclesiologia o di Teologia dogmatica che trattano il tema della Chiesa fondata da Cristo[6], ammettono che il fatto dogmatico fa parte dell’oggetto secondario dell’Infallibilità della Chiesa, la quale - nel Fatto dogmatico - è indirettamente scevra da errore e ci dà (indirettamente) un’infallibile certezza (di Fede ecclesiastica) fattuale (il fatto o l’avvenimento che Francesco è veramente e non solo apparentemente Papa), ma, Essa non si pronuncia sulla bontà e rettitudine dottrinale o meno di essi. Si limita a enunciare un fatto e “contro il fatto non vale l’argomento”.

d. Curzio Nitoglia



[1] Da un punto di vista storico e giuridico/canonico, alcuni singoli esperti ancor oggi studiano (teoreticamente), se le dimissioni di papa Celestino V, allora (13 dicembre 1294), furono legittime e spontanee oppure forzate e illegittime; oppure se l’elezione di Urbano VI (1378) sia avvenuta validamente.

[2] L’unanimità è matematica o totale quando assolutamente tutti, nessuno escluso, sono in accordo; mentre è morale quando solo la maggior parte si trova in accordo.

[3] Come lui stesso rivelò, sotto registrazione, al giornalista vaticanista Benny Lai, nel 1987, a condizione che fosse pubblicato solo dopo la sua morte (Genova, 2 maggio 1989).

[4] F. X. Wernz – P. Vidal, Jus canonicum, Roma, Gregoriana, 3 voll. 1923-1938, tomo II, p. 437, nota 170; cfr. F. Suarez, De Fide, disp. X. Sez., V, n. 8, p. 315.

[5] Anche se l’Ecclesiologia reputa tale opinione una pura ipotesi possibile, ossia non ripugnante, poco probabile e non certa.

[6] Cfr. A. Piolanti, Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1953, vol. X, coll. 6-19, voce “Primato di San Pietro e del Romano Pontefice”; inoltre cfr. San Tommaso d’Aquino, S. Th., III, q. 8; Id., In Symbolum Apostolorum expositio, aa. 7-8.

 
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