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Sbaglia Draghi (e gli altri banchieri centrali)
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L’economia è una cosa troppo seria per essere lasciata agli economisti; eppure tutti i banchieri centrali, oggi, sono economisti. Come scrive George Cooper (The Origin of Financial Crisis) aver messo degli econimisti (per giunta liberisti) a capi delle Banche Centrali, equivale a mettere un obiettore di coscienza al ministero Difesa: il risultato è l’impreparazione permanente alla guerra.

Oggi, sull’esempio dell’accademico Bernanke, tutti i banchieri centrali stanno tagliando i tassi e pompando liquidità con una creazione di moneta illimitata,  fino al dissesto dei loro Stati, per nulla dissuasi dal fatto che la crisi non fa che approfondirsi. Tagliano i tassi, ma le banche private non prestano (se non a tassi comunque altissimi) nè famiglie e imprese chiedono prestiti, perchè già indebitate, e perchè le prospettive future sconsigliano investimenti e acquisti a credito.

Tutti stanno applicando il loro manuale, probabilmente alla pagina sbagliata. Trattano la crisi come una crisi di liquidtà: a cominciare da Bernanke che ha studiato la Depressione 1929-39, che effettivamente fu aggravata dal fatto che la FED fece mancare liquidità.

Ma questa volta – avverte il sito previsionale Europe2020 – la mancanza di liquidtà non è la causa del problema, bensì la conseguenza.

La causa è una crisi di insolvenza: colossale, un buco nero in cui spariscono i bilanci delle banche pompati di liquidi, gli indebitamenti delle famiglie, le imprese in fallimento (1).

Qual è la differenza tra crisi di liquidità e crisi d’insolvenza?

 La distinzione è essenziale, perchè da ciò dipende se gli interventi delle Banche Centrali serviranno a qualcosa oppure saranno addirittura pericolosi. Europe 2020  la spiega così:

Avete una piccola azienda e non riuscite a pagare l’IVA trimestrale allo Stato esoso, perchè i vostri clienti non vi hanno pagato a tempo. Si tratta di una crisi transitoria di cassa, che la vostra banca (o una ricca zia) possono aiutarvi a superare con un prestito. I loro prestiti sono benefici, perchè voi potete continuare la vostra attività, retribuire i vostri dipendenti e voi stesso, rimborsare ad interesse il prestito ottenuto, sicchè l’economia in generale ha avuto un beneficio.

Ma se invece il vostro problema è che la vostra attività non è redditizia – e lo diventa sempre meno data la crisi economica in corso, che riduce la clientela e la domanda – allora il prestito che vi fa la banca o la vecchia zia diventa pericoloso per tutti voi (banca e zia compresa), e tanto più pericoloso quanto più è grosso.

Di fatto, la vostra prima richiesta di fondi sarà seguita da altre richieste; e voi promettete (persino onestamente) di rimborsare il nuovo prestito, perchè «il momento è difficile ma passerà». La banca e la zia sono indotte a darvi nuovi prestiti, perchè se voi cessate l’attività, esse rischiano di perdere anche quel che vi hanno già  prestato.

Ma se la situazione continua a peggiorare, si arriva al momento limite: la banca decide che ha più da perdere a sostenervi ancora che a lasciarvi fallire; la zia non ha semplicemente più soldi per continuare ad aiutarvi, perchè le avete succhiato tutti i risparmi. Appare alla luce del sole che voi siete insolvente e prossimo a fallire, ma – peggio – che avete trascinato la vostra famiglia nella rovina e indebolito la vostra banca, e insomma avete danneggiato l’economia attorno a voi, famiglia compresa.

Secondo Europe 2020, è questa la situazione in cui si trova il sistema finanziario mondiale nel suo insieme, e in cui ha trascinato l’economia globale, l’economia reale e quella di tutti gli attori economici (stati  compresi) che hanno basato la loro crescita degli anni scorsi sull’indebitamento.

La causa: il credito espanso nelle sue forme più fantasiose, diventato eccessivo rispetto alla capacità degli indebitati di rimborsarlo coi guadagni e profitti reali delle loro attività.

Il mutamento brutale dell’ambiente economico scatenato dalla crisi dei sub-prime nel 2007 ha sconvolto la redditività di tutte le altre attività, senza che gli attori ne abbiano preso coscienza in tempo, o abbiano capito per tempo la vastità della crisi, e delle sue conseguenze (2).

Ciò vale soprattutto per i banchieri centrali, che hanno sperato di rigonfiare la bolla afflosciata pompando cifre incredibili (i 700 miliardi di dollari in USA). Come dice giustamente Tremonti, hanno curato un alcoolista fornendo nuovi bicchierini di vodka.

L’hanno fatto in malafede, perchè essendo – sostanzialmente – dipendenti delle banche private e del sistema finanziario speculativo, il loro istinto di casta li ha indotti a cercare di salvare (a spese del contribuente) anzitutto gli «attivi» delle banche stesse. Attivi di carta, anzi spettri elettronici il cui valore è diventato nullo, perchè nessuno è disposto a comprarli e pagarli alcunchè.

Ora, ineluttabilmente, questi «attivi-fantasma», che Europe 2020 valuta sui 30 mila miliardi di dollari (due volte e mezzo il PIL americano) hanno rivelato la loro natura spettrale: ricchezze che non esistono, perchè coloro che dovrebbero riempirle di moneta reale coi loro salari e i loro profitti e il sudore della fronte, guadagnano troppo poco per rimborsare quei debiti.

Ormai, la crisi è di insolvenza generale.

«Il mondo sta prendendo coscienza che è molto più povero di quanto credesse nel passato decennio», quando indebitarsi era facile e poco costoso, «e il 2009 è l’anno che obbliga tutti gli attori economici a tentare di valutare concretamente la propria solvibilità».

Ciò, a cominciare dagli speculatori finanziari, i cui «attivi» (tipo derivati e sub-prime, iscritti a 100, che valgono in realtà 4 o meno, e dunque non si possono vendere) continuano a perdere di valore.

Peggio: nessuno sa più che valore residuale abbiano questi attivi, dato che è scomparsa ogni fiducia negli indicatori tradizionali. Le agenzie di rating hanno perduto ogni credibilità. Il dollaro USA come misura monetaria mondiale «è ormai una finzione di cui gli Stati detentori cercano di liberarsi». La finanza globale è ritenuta, giustamente, ormai un buco nero astronomico, che  insaziabile ingoia trilioni e non lascia uscire nemmeno un raggio di luce.

Per le imprese, di riflesso, la situazione di solvibilità diventa incerta anche per le più sane, perchè la domanda cala drasticamente; i portafogli di ordini non si sa quanto valgano, dato che un numero crescente di clienti annulla gli ordinativi o non acquistano più, anche a prezzi ribassati.

Il peggio attende gli Stati, richiesti di creare «stimoli» keynesiani aumentando il proprio debito, proprio mentre la crisi economica riduce i loro introiti fiscali.

Si pone dunque la domanda più pericolosa: gli Stati sono ancora solvibili?

Domanda cruciale per quelli già stra-indebitati, come USA, Gran Bretagna, Grecia... e Italia.

Chi comprerà i loro titoli di debito, BOT, in concorrenza con i BOT di Stati più grossi e potenti (USA, massima potenza militare: le armi servono, eccome) e anche più sani (come la Germania)?

Ciò spiega la prudenza estrema che viene rimproverata a Tremonti dalla cosiddetta «sinistra», la sua esitazione a concedere «stimoli» costosi, che dovrà poi coprire a credito, in un mondo dove il credito s’è tragicamente striminzito.

La nostra situazione è peggiorata dallo statuto della Banca Centrale Europea. La FED, la Banca Centrale USA, non esita a comprare i Buoni del Tesoro americano, ponendo le basi per l’iper-inflazione, ma anche per il dilavamento degli «attivi» fantasmatici (i debiti impagabili sono svalutati di fatto).

La BCE – che è la banca più indipendente del pianeta – ha nel suo statuto il divieto di fare lo stesso, in nome di una ormai ridicola «stabilità monetaria» ; e l’articolo 1010 del trattato costitutivo della Comunità vieta anche alle Banche Centrali nazionali di fare credito, in qualsiasi forma, alle amministrazioni pubbliche nazionali. E ciò, mentre gli Stati nazionali sono incitati a gonfiare i loro debiti, per «stimolare l’economia».

E’ una situazione ridicolmente impossibile. Che ci paralizza e ci strangola come europei.

Col  tempo – ossia col consueto ritardo eurocratico, fatale in tempi di crisi accelerata – la realtà imporrà di trovare qualche trucco per scavalcare quel divieto, e di fatto tirar fuori dal magazzino la macchina stampa-biglietti. Se non altro, perchè gli USA, la Gran Bretagna e poi tutto il mondo hanno già cominciato a stampare banconote a rotta di collo.

Ciò comporterà, in un prossimo futuro, il passaggio repentino dalla deflazione all’inflazione - con la conseguente svalutazione delle pensioni e dei risparmi, già penalizzati dai bassi tassi.

Quando avvverà il cambiamento?

Impossibile prevederlo.

Oggi gli scambi sono paralizzati. Quando gli stimoli degli Stati «forzeranno» infine la loro ripresa, appariranno le prime «scarsità»: a cominciare ovviamente dal petrolio, che passerà dal prezzo troppo basso di oggi a prezzi troppo alti.

Gli Stati non muoveranno un dito per contenere l’inflazione, perchè essa è la soluzione alla insolvibilità generale, almeno in parte. I debiti impagabili saranno  ridotti inflazionisticamente, ossia manterranno il loro «valore» in senso puramente monetario.

Un modo di ripulire la finanza è mantenere i tassi negativi in termini reali, e ciò per lungo tempo. E’ quello a cui allude Tremonti quando propone di gettare la cacca inventata della finanza speculativa in una «bad bank», e di lasciacela per 50 anni: a quella data, i valori saranno ridotti a zero o quasi.

L’inflazione avrà anche il vantaggio di erodere gli indebitamenti degli Stati e delle pubbliche amministrazioni; specialmente il cumulo dei vecchi debiti, accumulati  negli ultimi 30 anni, scenderà al ritmo dell’inflazione.

Il fenomeno o «soluzione» è tipico dei dopoguerra europei: i rispamiatori e le rendite pagano la ripresa e il risanamento; i vecchi che vivono a carico dei giovani saranno tragicamente impoveriti, ma i giovani (si spera, se ce ne saranno ancora) saranno liberati dal peso e potranno ricominciare a indebitarsi per la casa (a tasso reale negativo, una pacchia), a investire e comprare.

Ma questo processo sociale doloroso richiederebbe un compenso: come minimo, una messa in regola severa del liberismo selvaggio, che ricostituisca la lealtà dei giochi, e  assicuri che il capitale non verrà più retribuito a spese del lavoro e dei salari.

E’ per questo che Tremonti dice: i responasibi, a casa o in galera.

Campa cavallo. I responsabili del disastro sono al timone, e non hanno alcuna intenzione di lasciarlo spontaneamente.

Anzitutto, sono quelli che – mentre tutti noi ci perdiamo – hanno profittato di più dal decennio della febbre speculativa e delle allegre bolle finanziarie, prestando senza responsabilità perchè poi rifilavano i crediti impagabili, cartolarizzati, a terzi.

Le banche prestatrici (di cui Draghi e i banchieri centrali sono dipendenti strapagati) non hanno prestato solo a compratori di case insolventi. Hanno prestato ancora di più a debitori «corporati», che di quel denaro hanno fatto un uso criminale, in accordo coi banchieri-creditori.

Esempio: dal 2004 al 2008, le 500 più grandi imprese americane, le multinazionali dello Standard & Poors hanno riportato profitti netti per 2.400 miliardi di dollari. Di questi, hanno pagato 900 miliardi in dividendi; ma – anzichè usare il resto per investire in nuovi macchinari, produzioni e salari – hanno speso 1.700 miliardi per... riacquistare azioni proprie, onde farle artificialmente rincarare.

Ciò significa che, nell’insieme, gli azionisti si sono pagati 200 miliardi di dollari in più... di quanto quelle mega-imprese hanno guadagnato realmente nel quadriennio. Si sono scremati una ricchezza non realizzata. E mica tutti allo stesso modo: i piccoli  azionisti sono stati lasciati col cerino in mano quando le azioni sono crollate, mentre i grossi e potenti – ben avvertiti in tempo – le avevano già vendute, realizzando profitti enormi.

Costoro dovrebbero essere «in galera». Restituire il maltolto, contribuire alla loro parte del risanamento che peserà su pensionati e piccoli risparmiatori in BOT.

Invece no. Anzi, continuano a far danni.

Goldman Sachs, ad esempio: ha assitito lo Stato di California ad emettere e vendere titoli di debito, esigendo per la sua opera milioni di dollari in commissioni; poi, ha cominciato ad offrire alla sua ricca clientela Credit Default Swaps sul debito californiano, ossia a puntare sul fallimento dello Stato. Con ciò, contribuendo a far cadere i prezzi dei BOT californiani, e a rincarare gli interessi che la California deve pagare, in definitiva ad accrescere il peso sui contribuenti (3).

Non c’è nessuna legge che punisca questo vero atto di slealtà, questo danneggiare un cliente (California) per far guadagnare altri clienti (i soliti noti miliardari amici).

Goldman Sachs viene lasciata libera di aggravare la situazione finanziaria di uno Stato, proprio nel momento in cui ogni speranza di ripresa è appesa al filo – sottilissimo – della fiducia nella solvibilità degli Stati, nella solidità del debito sovrano.

Finchè questo genere di operazioni non saranno severamente punite (magari con l’impiccagione, per  alto tradimento) non tornerà la fiducia.

Ovviamente, i banchieri centrali sono lì proprio per impedire che le riforme necessarie – che danneggerebbero i loro padroni  finanzieri, tutti tesi al profitto a breve, con ogni mezzo, nonostante tutto – vengano attuate con il dovuto rigore.

Ora, tutto è infatti affidato agli Stati: esiste un pool mondiale di liquidità che in questa crisi cerca piazzamenti «sicuri», e ancora crede che la firma di uno Stato sovrano su un titolo fornisca questa sicurezza. Difatti, i BOT, Bund e Treasury Bills si comprano a manate, a tassi ridicoli o negativi.

E’ una pacchia sinistra, perchè si avvicina il momento in cui i BOT renderanno tanto poco, che converrà detenere i propri risparmi in banconote in cassaforte: quelle non danno interessi, ma almeno non sono depositate nelle banche.

E’ il terribile «liquidity trap», i soldi nell materasso, sottratti agli impieghi utili.

Gli Stati dovrebbero approfittare dunque di questa pacchia temporanea, indebitamento a costo zero, per investire in grandi progetti che sostengano «in futuro» l’economia reale: non salvare General Motors (le cui auto non trovano compratori, e che dunque resterà insolvente), nè offrire 2.500 euro a chi compra una Volkswagen, come ha fatto la Merkel, ma grandi progetti infrastrutturali, ferrovie iper-veloci, motori ibridi, tutto ciò che la fantasia e la necessità concrete possano suggerire in vista di un nuovo modello di sviluppo durevole, che non sia contro la società e il lavoro, ma a suo favore.

Più facile a dirsi che a farsi: gli Stati hanno perso, nell’epoca delle privatizzazioni, la «cultura dello Stato», la dottrina dello Stato – ossia il senso della responsabilità del bene comune, e la capacità di far convergere interessi legittimi delle varie categorie.

Questo è vistosamente scandaloso soprattutto in Italia, dove ogni casta e cosca, pubblica o delinquenziale (spesso entrambe) si aggrappa con le unghie ai propri privilegi, in una specie di federalismo anarchico distruttore, patologico.

(Vedi alla voce «Alitalia», dove lo Stato senza dottrina dello Stato ha salvato gli stipendi di notorii fancazzisti a spese dei futuri disoccupati e dei pensionati minimi).

Ciò pone il problema dei titoli di debito pubblico nella zona euro: uno Stato non solo divorato da caste e parassiti, ma incompetente e privo di dottrina, e  indebitato come il nostro, deve ora competere nell’offerta dei suoi BOT con i Bund tedeschi o i buoni francesi.

Il differenziale di competitività e d’inflazione nei vari Stati euro si sono accumulati, come molle pronte a scattare, e nella crisi possono diventare ingovernabili. Le «forbici» (spread) fra i rendimenti dei vari BOT lo dimostrano: Italia, Grecia, Spagna sono più esposte al pericolo.

Quale?

L’inflazione, che quando si manifesterà dopo la pausa deflattiva, avrà forza diversa secondo gli Stati. In Germania sarà probabilmente debole, fortissima in Grecia e Spagna, forte in Italia e produrrà uno schock asimmetrico che aggraverà la euro-divergenza.

Quando eravamo sovrani, la svalutazione era l’arma da guerra per riacquistare competitività. Oggi ci è divenuta impossibile nella zona euro: e mentre è impossibile pensare di abbandonare l’euro oggi, sarà anche impensabile che l’intera Europa  meridionale, detta Club Med, sia lasciata a strangolarsi nel nodo scorsorio della BCE e della sua moneta «forte».

Situazione: non si può abbandonare l’euro, nè vivere senza di esso. Caso insolubile, «Catch 22», come si dice in America.

Nessuno sa come risolvere la questione, la BCE non ha alcun consiglio da dare, nè alcuna misura da prendere; più probabilmente, se ne infischia, perchè applica il suo manuale – e benchè superato e inutile – ciò la «copre», come il regolamento militare copre i marescialli di fureria. E intanto, gli introti fiscali calano (4).

Ecco la prudenza, o se vogliamo la paralisi di Tremonti, spiegata al volgo.




1) «Phase IV de la crise systémique: Début de la séquence  d’insolvabilitè globale», Europe 2020, 15 gennaio 2009.
2) Eppure, a segnalare per prima che la crisi non era di liquidità bensì di insolvenza, è stata un’autorità economica indiscussa: Anna Schwarz, coautrice del libro «A monetary history of the United States», firmato da Milton Friedman, il super-monetarista che ha formato generazioni di economisti, fra cui Bernanke. A 92 anni, lucidissima, la Schwarz aveva già segnalato un anno fa la forbice tra il costo del denaro per lo Stato (bassissimo) e quello per i debitori privati (comunque alto): «Ciò non è dovuto a scarsità di liquido disponibile al prestito, ma alla poca fiducia dei debitori di poter pagare il loro debito... Il problema è se i bilanci delle imprese finanziarie sono o no credibili. E la FED tratta questo come un problema di liquidità».
3) Michael Hiltzik, «Goldman Sachs urged bets against California bonds it helped to sell», Los angeles Times, 11 novembre 2008.
4) «L:’Espresso ti spiega che il rallentamento negli ultimi mesi degli introiti fiscali non è dovuto al totale collasso dell'economia mondiale ed italiana con produzione industriale a -15% e ad esempio gli introiti dei notai ora a -30% dall'anno scorso, ad una recessione o depressione che sembra la maggiore dagli anni '30. Queste cose non impressionano i nostri economisti ex-sessantottini, ex-collettivo femminista, ex-Lotta Continua come l'ottima Cecilia Guerra, braccio destro di Visco, che ragionano in termini del loro stipendio che entra nel c/c ogni 27 del mese e vogliono essere solo totalmente certi che commercianti, artigiani, professionisti e lavoratori privati vari continuino a pagarglielo».


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