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Fuori onda premonitori
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Una festosa riunione mattutina con la comunità ebraica di Sidney per celebrare la vittoria di Gaza; è presente l’ambasciatore israeliano Yuval Rotem, ci sono telecamere. Ad un certo punto, Rotem ordina di spegnere la telecamera: «La miglior cosa è avere un dialogo aperto, senza operatori o giornalisti», dice (1).

Ma Sarah Cummings, una reporter del notiziario australiano «Seven News» che era stata invitata per caso o per errore, resta lì inosservata fra i numerosi presenti, e benchè non possa prendere appunti, è in grado di ripotraree il succo della comunicazione confidenziale dell’ambasciatore. «Ha detto che le recenti offensive militari del suo Paese erano una pre-introduzione (preintroduction) alla sfida che Israele si aspetta da un Iran nucleare entro un anno».

Entro 14 mesi, ha spiegato l’ambasciatore, ci si aspetta che l’Iran abbia accumulato abbastanza uranio arricchito da essere «al punto di non ritorno». Ed ha insistito che «gli sforzi di Israele a Gaza hanno avuto lo scopo di ottenere la conoscenza che siamo pronti a impegnarci in modo decisivo».

Frase sibillina: «to bring about understanding» può significare  anche «conseguire l’accordo»; può riferirsi a un accordo politico, oppure a una sorta di prova generale sulla «tenuta» psicologica della popolazione israeliana in vista di una prova più seria. In ogni caso, la Cummings ha tratto l’impressione che l’ambasciatore portasse agli ebrei di Sion la buona novella del prossimo attacco alle installazioni nucleari iraniane.

Già durante il massacro di Gaza il regime israeliano ha ripetutamente tentato, senza fornire prove,  di incolpare l’Iran della resistenza di Hamas. «Quel che vedete a Gaza è opera dell’Iran, è finanziato dall’Iran, i terroristi sono addestrati dall’Iran e riforniti dall’Iran, la tecnica per fabbricare i razzi è iraniana», aveva martellato il 29 dicembre scorso l’ambasciatore israeliano in USA, Sallay Meridor; «L’Iran è la testa del polipo deciso a minare la democrazia». Può darsi che l’ambasciatore israeliano continui a cantare il nastro pre-registrato della propaganda, o anche che tutto l’episodio, con la fuga accidentale di notizie forse accuratamente preparata, sia un ballon d’essai o un incoraggiamento alla diaspora.

Certo è che non solo Israele, ma la diaspora, è in uno stato di torvo auto-compiacimento per il massacro, di dura sordità alle critiche crescenti che vengono dai goym, come rileva con sgomento Seth Freedman, giornalista ebreo del Guardian (2). D’altra parte, Sion non ha alcuna intenzione di alleviare le condizioni dei bombardati, continua gli attacchi e non lascia passare nemmeno l’acqua potabile. E’ il momento buono per il balzo in avanti, verso il nuovo fatto compiuto.

Manca solo un pretesto. E in questo quadro è degno della massima attenzione quel che ha detto in questi giorni «Bibi» Netanyahu, il capo del Likud che probabilmente vincerà le prossime elezioni e dunque sarà capo del governo. Netanyahu ha «previsto» un imminente attentato islamico che colpirà, secondo lui, la chiesa del Santo Sepolcro in Gerusalemme, il luogo più santo per milioni di pellegrini cristiani che lo visitano ogni anno, quella chiesa costruita sul luogo dove Gesù fu sepolto e risorse.

«L’Islam estremista ha la volontà di attaccare il cuore simbolico della religione cristiana e lo farà», ha detto il futuro primo ministro: «Questo provocherà una reazione a catena che non possiamo nemmeno immaginare. Vedremo una escalation del conflitto religioso al disopra ed oltre il conflitto regionale che abbiamo ora» (3).

Il fatto è che non è la prima volta che Netanyahu «prevede» attentati islamici gravissimi. Lui stesso s’è vantato di aver previsto, in un libro che scrisse nel 1995, che «terroristi islamici» avrebbero distrutto il World Trade Center (anche se aveva previsto l’uso di un ordigno nucleare). Netanyahu era a Londra proprio nel giorno del sanguinoso attentato alle quattro stazioni della metropolitana londinese (le esplosioni, fu notato, formavano su Londra una croce) e fu avvertito di non uscire dall’albergo dal Mossad, che aveva «previsto» l’evento appena in tempo.

Nell’11 settembre 2001, la prima reazione di Netanyahu - riportata dal giornale Ma’ariv - alla notizia dell’attentato a new York fu: «Bene...Voglio dire, Questo fatto è bene per Israele, perchè volgono l’opinione pubblica americana a nostro favore».

Proprio oggi l’opinione pubblica variamente cristiana (protestanti inclusi) è alquanto alienata da Israele per i massacri di Gaza, e c’è gran bisogno di «volgerla» di nuovo a favore di Israele. Trascinare il mondo genericamente cristiano in una nuova crociata, in uno scontro di civiltà in cui affogare il «conflitto regionale» di Israele, è del resto un progetto più volte dichiarato da capi sionisti, e portato avanti da cristianisti in servizio e di complemento. Il momento sarebbe opportuno, per il bene di Sion, per coalizzare i cristiani contro il «terrorismo islamico», capace di violare persino il Santo Sepolcro. E sarà inutile, allora, ricordare che l’Islam vieta positivamente ogni insulto a luoghi santi, libri o profeti del Dio Unico, il che comprende anche i luoghi santi ebraici e cristiani, e ovviamente il profeta Gesù. Lo sdegno spontaneo e quello mediatico sarà tale da assordare ogni tentativo di obiezione alla versione ufficiale, com’è già successo per l’11 settembre.

Qui si vede che l’adesione massiccia dei cattolici anche pontificali alla versione ufficiale segna qualcosa di più che una diversa opinione, ma l’equivoco sui segni apocalittici. Non vale nemmeno la pena di sottolineare che un attentato esplosivo che devastasse il Santo Sepolcro, mentre libererebbe il regime sionista da un ingombrante residuo di una religione odiata sulla terra «sua», configurerebbe per i cristiani «l’abominio della desolazione sul luogo santo» predetto da Cristo.

Appena ora il ministro israeliano degli Affari Religiosi, Yztak Cohen, ha chiesto al suo governo di «rompere le relazioni col Vaticano», da lui chiamato «la corporazione» colpevole di aver riaccolto i lefebvriani fra cui «il vescovo negazionista Williamson». Non c’è dubbio che la distruzione a firma islamica della Chiesa della Resurrezione sarebbe accolta dall’intera comunità come Netanyahu accolse l’11 settembre: «Bene, bene per noi».

Certe «profezie» di questi tempi sono precedute da segnali di  preparazione, onde i profeti sono stati già pronti all’azione quando la profezia si è avverata. Ci sono segnali in questo senso?

Sì. Un segnale è scritto nero su bianco sul sito del Pentagono, in data 27 gennaio (4). Vi si legge che il ministero USA della Difesa «sta creando una forza di spedizione civile» che sarà «addestrata ed equipaggiata per essere impiegata all’estero a supporto delle missioni militari ovunque nel mondo».

Il comunicato precisa che in questa forza civile, le persone adatte a coprire certe posizioni saranno «designate» dal Pentagono, evidentemente in base a loro competenze specifiche, e sarà loro richiesto di «firmare un accordo di adesione al loro dispiegamento a chiamata». S’intende, continua il comunicato, che per «le necessità del corpo di spezione», si cercheranno «prima dei volontari»; ma se non se ne trovano, «si richiederà» ai prescelti di «servire non-volontariamente o su breve preavviso» (involuntarily or on short notice).

Lungi dall’accennare a un disimpegno dalle avventure militari di Bush secondo le vaghe promesse di Obama, questa direttiva (numero 1404.10 del 23 gennaio2009) entrata in vigore senza il voto del congresso, configura la militarizzazione di lavoratori civili a supporto delle forze belliche, anche col ricorso alla precettazione. Una specie di leva obbligatoria; i civili saranno pagati e trattati come soldati, e spediti nei teatri di guerre presenti e future. Worlwide, ovunque nel mondo.

Non pare che una simile leva civile sia mai avvenuta prima, se non forse durante la seconda guerra mondiale. La mobilitazione militare di massa della popolazione americana, ossia la leva obbligatoria abolita da decenni, non può essere che il secondo passo logico. Anche se è probabile che, data la crisi economica epocale che sta facendo collassare l’economia USA, non mancheranno «volontari» per questo dispiegamento all’estero.

Un altro segnale di, diciamo, «preparazione profetica» può essere avvenuto il 10 gennaio scorso, nel pieno dell’attacco a Gaza. Gli Stati Uniti hanno cercato allora di far arrivare in Israele 3 mila tonnellate di materiali qualificati come «munizioni»; e il fatto significativo è che l’hanno fatto noleggiando un mercantile greco, anzichè i mezzi militari della US Navy. Il tentativo è andato momentaneamente a vuoto per l’opposizione dei portuali greci del porto di Astakos, che si sono rifiutati di operare il trasbordo temendo che le «munizioni» servissero contro i palestinesi (5).

Ma 3 mila tonnellate di munizioni sono sproporzionate anche rispetto allo sproporzionato attacco israeliano su Gaza: si tratta di 325 container di musura standard (20 piedi, ossia 6 metri). Tanto più se si considera che a dicembre, una nave commerciale tedesca era già stata noleggiata per portare 2.600 tonnellate di armamenti dal North Carolina al porto israeliano di Ashdod. Una consegna enorme e insolita, secondo tutti gli armatori specializzati.

Ancora più significativa la giustificazione che le autorità militari USA hanno dato, una volta scoperta la faccenda: «Questo trasporto è di routine e non a supporto dell’attuale situazione a Gaza... Le forze armate USA pre-posizionano delle riserve immagazzinate in certi Paesi in caso che servano su breve preavviso» (Reuters, 10 gennaio 2009).

Il professor Michael Chossudovsky ne trae la conclusione che quelle due enormi spedizioni siano consegne di bombe bunker-buster o di sistemi missilistici di difesa antimissile, in profetica preparazione dell’attacco israeliano.

Se «i terroristi islamici» faranno esplodere il Santo Sepolcro, l’Occidente cristiano è già pronto alla «escalation del conflitto religioso ben al disopra del conflitto regionale» di Israele, predetto dall’infallibile profeta Netanyahu.




1) Angus Hohenboken, «Iran will soon pose N-threat, says Israel», The Australian, 31 gennaio 2009.
2) Seth Freedman, «A suffocating consensus of self-congratulation - The role played by the World Jewish Congress as cheerleader for Israel does no favours for Jews around the world», Guardian, 29 gennaio 2009.
3) Damien McElroy, «Al-Qaeda would blow up Christ’s burial site, says Benjamin Netanyahu»,
Telegraph, 28 gennaio 2009.
4) «Defense Department Establishes Civilian Expeditionary Workforce»,  al sito
http://www.defenselink.mil/news/newsarticle.aspx?id=52840.
5) Michael Chossudovsky, «Unusually Large U.S. Weapons Shipment to Israel: Are the US and Israel Planning a Broader Middle East War?», GlobalResearch, 11 gennaio 2009.


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