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Netanyahu: Iran è «Amalek»
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Obama ha finalmente cambiato la linea americana di dipendenza da Israele? Ha fatto capire a Netanyahu che l’aria è cambiata dai tempi di Bush? I soliti media lo dicono. L’incontro, dicono è stato «freddo».

Sarà. Ma i risultati sono i più prevedibili: Netanyahu ha detto no ad uno Stato palestinese, promettendo solo dei «colloqui» (come da 40 anni in qua). E l’Iran è ancora sotto minaccia bellica di USA e di Israele.

Obama, nel suo primo colloquio «freddo» con il capo del governo razzista ebraico, ha implorato Netanyahu di «non sorprendere gli Stati Uniti con un attacco all’Iran», out of the blue, ossia di sorpresa. Avvisateci prima, per favore. Netanyahu ha promesso. Non gli costa niente: per attaccare l’Iran, l’aviazione israeliana deve sorvolare perlomeno Turchia, e Iraq, sicchè è difficile che gli americani non se ne accorgano. Devono dare i permessi di sorvolo.

In compenso Obama, esattamente come Bush, ha assicurato che una guerra americana contro Teheran non è esclusa. Non è «off the table». E, come richiesto da Netanyahu, ha accettato di dare un limite temporale ai suoi «colloqui» (mai nemmeno cominciati) con Teheran: un anno, e poi si bombarda.

E la famosa «soluzione a due Stati» per i palestinesi? Netanyahu, tanto per far capire chi comanda, ancor prima dell’incontro con Obama, ha ordinato l’espansione di una colonia ebraica in Cisgiordania, ossia nel territorio del futuro Stato palestinese: quella di Makiot. Già densamente abitata dagli stessi coloni che Sharon spostò da Gaza, mentre quelli piangevano, strillavano, e gridavano in yiddish «Teniteme che’ m’accido», come disoccupati organizzati napoletani.

Il termine «soluzione a due Stati» non è mai stato pronunciato da Netanyahu, nè da Obama. Prima, ha detto Netanyahu, occorre che i palestinesi «insegnino ai loro bambini la cultura della pace»; prima, bisogna impedire che l’Iran si faccia la bomba atomica. Eccetera.

Per fare vedere quanto è duro con Israele, Obama aveva un mezzo semplice: tagliare le forniture militari allo Stato ebraico, o almeno minacciarlo seriamente. Invece, il Congresso ha fatto il contrario (1).

Nel bilancio per il 2010, ha aumentato lo stanziamento per gli aiuti militari a Sion, dai 2,5 miliardi di dollari del 2009 a 2,775 miliardi. Il 10% in più. Il Congresso ha anche aumentato lo stanziamento per lo sviluppo del missile antimissile che gli israeliani chiamano Hetz-3, e che è l’americano «Arrow Intercept», concepito per intercettare missili balistici in arrivo (iraniani, si suppone).

Il Congresso ha anche chiesto ufficialmente al presidente Obama di rispettare le pretese israeliane su Gerusalemme, «capitale indivisa» del Reich. Ciò in contraddizione con le norme internazionali, che non riconoscono la sovranità giudaica su Gerusalemme Est – territorio occupato – e contro gli stessi accordi di Oslo, secondo i quali Gerusalemme è un territorio da mettere in discussione nella fase finale dei negoziati tra palestinesi e giudei. Il che non è strano, visto che il Congresso è terrorizzato dall’AIPAC (The Lobby), che tiene sottto minaccia i parlamentari USA (2).

Insomma, un bel cambiamento rispetto a Bush. La sola «freddezza» visibile è venuta dalla firts lady dalle belle braccia: la tigre nera s’è rifiutata di dare il benvenuto alla moglie di Netanyahu e scarrozzarla per lo shopping. Ciò conferma che lei ha più palle di lui.

La vera questione è perchè tutti – anche il Santo Padre – facciano finta di credere che gli ebrei lasceranno qualche pezzo di terra ai palestinesi, e accederanno alla soluzione a due Stati. Ciò è semplicemente da escludere, per ogni ebreo.

Il perchè, lo si può chiedere a rabbi Shear Yashuv Cohen, il gran rabbino di Haifa. E’ un rabbino che Benedetto XVI conosce benissimo: l’ha invitato a tenere una lezione su Dio ai vescovi riuniti per il Sinodo dell’ottobre 2008. E’ la prima volta nella storia della Chiesa.



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Ebbene: quando Ariel Sharon fece il famoso «ritiro unilaterale da Gaza» (preliminare ai bombardamenti unilaterali), e dovette spostare i fanatici ebraici che ne avevano occupato gran parte, il rabbino amico del Papa dichiarò (3):

«Chiunque sradica gli insediamenti nella terra di Israele e, Dio scampi, causi anche distruzioni di sinagoghe e sposti tombe, non sarà purificato nè in questa vita nè nell’altra... Questa è la forma più alta di crudeltà e di male. Non c’è peggior peccato che questo».

E in una intervista ad Haaretx, il pio rabbino ha spiegato ancor meglio: «Il precetto  religioso di insediarsi nella Terra di Israele è un obbligo che permane in sè, anche in assenza dello Stato di Israele, anche in assenza della sovranità ebraica nella Terra di Israele... Perchè non possiamo continuare a vivere là (a Gaza) anche quando lo Stato di Israele ritira la sua sovranità da quel suolo?».

E continuava il nostro docente e fratello maggiore, dalle cui labbra pendevano 250 vescovi:

«Quando lo Stato di Israele leva la sua mano per sradicare gli insediamenti ebraici dalla Terra di Israele, perde con la sua azione il motivo stesso della sua esistenza. Lo Stato è uno strumento di santità (sic), non la santità in sè; lo strumento per attuare un precetto religioso, non un precetto. Anche rabbi Soloveitchik (?) ha scritto che non darebbe un dito alla soggezione incondizionata allo Stato: questa è idolatria. Quando lo Stato si comporta come uno Stato di tutti i residenti e non come uno Stato ebraico, ... non è più “il principio della nostra redenzione”. Nella pratica, significa che non possiamo più recitare le preghiere per lo Stato e benedire il giorno della indipendenza».

E’ chiaro? Altri pii rabbini hanno poi gettato ritualmente il malocchio su Sharon, e grazie alla potenza del loro padre, Sharon è un vegetale da allora. Non c’è politico israeliano, per quanto cinico, che voglia sfidare questa «teologia».

La dichiarazione di rabbi Cohen, il grande amico del Papa, è tanto più significativa perchè l’uomo ha lottato eccome, per lo Stato d’Israele. Nato nel 1927, nel 1948, ancora studente talmudico, si unì al gruppo armato clandestino «Brit Hahashmonaim» (Patto degli Asmonei), compiendo attentati contro i britannici che esercitavano il mandato sulla Palestina, e massacrando interi villaggi palestinesi, onde indurre i sopravvissuti alla fuga dalla terra santissima. Il gruppo clandestino fu la parte più attiva e feroce dell’Haganah, l’esercito segreto sionista, il futuro Tsahal. Rabbi Cohen parteciò come combattente alla presa di Gerusalemme, sparando contro i giordani. In seguito, ha militato nell’esercito israeliano non più clandestino per sette anni, con il grado di tenente colonnello (sgan aluf).

Messosi a riposo, il rabbino è tornato però a combattere come volontario nella guerra dello Yom Kippur, ed è stato fra i primi ad attraversare il canale di Suez con lo scopo, purtroppo interrotto, di riscattare anche l’Egitto onde insediarvi colonie giudaiche. Per questo teologo, la Terra promessa da Dio, che gli ebrei devono riprendersi, va «dal Nilo all’Eufrate». Egli è infatti un esponente del Gush Emunim, il movimento maggioritario sionista, per il quale «l’integralità dell’ebraismo» sarà raggiunta con «l’integralità del possesso della terra».

Un uomo divorato dalla santità. Per questo il Papa l’ha invitato a fare lezione ai vescovi nel sinodo del 2008. Immagino che abbia spiegato come si devono trattare gli extracomunitari: evidentemente, i vescovi erano disattenti.

Dico «immagino», perchè una mia veloce ricerca non ha trovato traccia dell’alto discorso su Dio che il piissimo rabbi Cohen dovrebbe aver fatto al sinodo. Sembra addirittura che non si sia occupato di Dio. Il suo sito rabbinico dice che rabbi Cohen «ha approfittato dell’occasione per opporsi al piano di beatificazione di Pio XII». Ai vescovi che pendevano dalle sua labbra, rabbi Cohen ha opposto che Pio XII «non ha scomunicato» Hitler, e quindi non sarà purificato nè in questa vita nè nell’altra.

Nel gennaio 2009, rabbi Shear Yashuv Cohen, come presidente della commissione del Rabbinato-Capo di Israele, ha rotto ogni rapporto col Vaticano perchè il Papa aveva deciso di togliere la scomunica dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X, dei lefevriani. Ed ha dichiarato chiaro e tondo che le relazioni non sarebbero state riprese fino a quado il vescovo Williamson, non avesse ritrattato pubbblicamente le sue asserzioni «riduzioniste».

In marzo, però, rabbi Cohen si è rappacificato con Benedetto XVI. Dopotutto, come dice il suo sito, «egli agisce come emissario del Rabbinato-Capo negli incontri inter-religiosi»; un compito gravoso per un fratello maggiore. Per questa sua generosità, è stato insignito da Israele del «Premio Sovlanut», che significa «Tolleranza». Eh, ci vuole tanta tolleranza con questi goym...



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Non è da tutti, tanta tolleranza. Per esempio, Uzi Arad non ne ha tanta.

Uzi Arad è il solo alto funzionario israeliano che è stato presente al faccia a faccia tra Obama e Netanyahu. Dirigente del Mossad da vent’anni e più, in passato gli è stato persino vietato il visto d’entrata in USA per spionaggio. Bernard Avishai, un giornalista ebreo, racconta che Arad è il vero ispiratore «della soluzione oggi proposta da Avigdor Lieberman (il ministro degli Esteri razzista): «Israele si tiene gli insediamenti e offre alla Palestina, in cambio, le cittadine arabo-israeliane del Piccolo Triangolo».

Il piccolo triangolo è la zona dove vivono gli arabi con cittadinanza israeliana. Di fatto, Uzi Arad propone l’espulsione di questo piccolo resto di cittadini di razza non ebraica, di spogliarli della cittadinanza. Lieberman sta adottando questa politica, e già toglie la cittadinanza a deputati arabo-israeliani che non sono «leali» verso Sion (ecco un’idea da applicare alla Nirenstein: scelga a quale patria essere leale).

Uzi Arad spiegò così per iscritto il senso dello scambio di territori da lui proposto: «Lo scopo è di accrescere la omogeneità etnica, così che la maggioranza giudaica resti all’81% fino al 2050» (4).

Ecco una buona idea: perchè la «Migrantes» vaticana non invita anche Uzi Arad ai prossimi sinodi, o alle proteste ecclesiastiche contro i respingimenti dei clandestini? Si possono imparare molte cose, dal Mossad.

Non basta. Sempre Bernard Avishai (ebreo, torno a sottolineare) scrive di Uzi Arad, che conosce personalmente: «... Una volta mi confidò una cosa che io ho ritenuto una fantasia fondativa: che gli piacerebbe organizzare una forza segreta per colpire gli anti-semiti dovunque nel mondo...».

Una «fantasia fondativa» di Israele: decretare che Jimmy Carter, Walt, Mearsheimer, chiunque levi qualche critica come il modesto sottoscritto, sono anti-semiti, e poi ammazzarli con una squadra segreta. Un compito immane, che può anche comprendere l’eliminazione di un paio di miliardi di esseri umani inferiori. Infatti, come ci dicono continuamente, l’antisemitismo è in crescita nel mondo. Chissà perchè, nel mondo non cresce l’anti-scandinavismo, nè l’anti-iberismo, nè l’anti-italianismo; ma cresce l’antisemitismo. Ogni  giorno si scopre qualche nuovo antisemita.

E’ una vera piaga, come riconosce anche il Santo Padre, invitandoci alla continua sorveglianza. Accogliamo l’invito: bisogna stare attenti, la «fantasia fondativa» di Arad è già realtà. Possiamo trovarci un kidon in casa quando meno ce l’aspettiamo.

Ma per la salute, c’è qualcosa di peggio che essere bollati come «antisemiti». E’ quando gli ebrei cominciano a chiamarti «Amalecita».

Ebbene: Jeffrey Goldberg, giornalista ebreo del New York Times (5), ha reso noto che nel governo Netanyahu, le installazioni nucleari dell’Iran sono chiamate comunemente «l’arsenale di Amalek». Brutto segno, dice Goldberg, perchè «se il programma nucleare iraniano è metaforicamente l’arsenale di Amalek, allora un primo ministro israeliano è tenuto dalla storia ebraica a perseguire la sua distruzione, comunque la pensino i suoi alleati».

Come spiega Daniel Luban, un altro giornalista ebreo, «se Bibi (Netanyahu) vede nell’Iran il nuovo Amalek, siamo di fronte ad un fatto che turba profondamente. La Bibbia ordina di trattare gli Amaleciti non con «diplomazia dura», nè con «sanzioni che lascino il segno», e nemmeno con bombardamenti chirurgici, ma con il completo sterminio. In altre parole, si tratta di cancellare l’Iran dalla carta geografica».

Brutto affare davvero.

Gli amaleciti sono un popolo antico, forse leggendario, che YHVH ordina ripetutamente di sterminare fino all’ultimo uomo, donna, bambino e animale. Qualche esempio dagli infiniti passi dell’Antico Testamento:

Esodo 25 (17-19):

«Quando il Signore tuo Dio ti avrà concesso quiete fra tutti i nemici che ti circondano, nella terra che il tuo Dio ti dona in eredità, tu cancellerai il ricordo di Amalek sotto il cielo: non dimenticare!».

1° Samuele, (15, 3-5):

«Va’ e colpisci Amalek; fallo a pezzi, vota all’anatema tutto quello che posside, non aver pietà di lui, uccidi uomini e donne, ragazzi e lattanti, buoi e pecore, asini e cammelli».

Anche il cabbalistico Zohar (1,25) insiste:

«.... Quando il Signore si rivelerà, essi (i popoli goym) saranno spazzati via dalla terra. Ma la redenzione non sarà completa finchè Amalek non sarà sterminato, perchè è stato fatto il giuramento che ‘il Signore  farà guerra ad Amalek di generazione in generazione’» (Esodo 16, 16).

In mancanza di veri Amaleciti (probabilmente già sterminati in tempi biblici, o almeno così crede la «fantasia fondativa» ebraica), ad ogni generazione gli ebrei s’ingegnano di trovare qualche popolo da chiamare «Amalek», e contro cui praticare il genocidio.

Al principio del ‘900 applicarono quel nome agli armeni, e procedettero al sacro genocidio in Turchia, durante il governo militare del Comitato Progresso e Unione (tutto composto da dunmeh, ossia da ebrei seguaci di Sabbatai Zevi, e falsamente passati all’Islam).

Infatti, la Universal Jewish Encyclopedia, pubblicata nel 1939 a New York (pagine 482-483) dichiara:

«Siccome gli armeni sono considerati discendenti degli Amaleciti, essi sono anche chiamati dagli ebrei orientali “Timeh”, ossia “Tu sarai totalmente cancellato”» (Deuteronomio 25: 19).

Chissà perchè il Papa è andato a dire ai musulmani di non essere violenti e di non fare i terroristi. E ai cristiani palestinesi di non lasciare la Terrasanta.

Quelli, prima o poi, sono tutti Amaleciti: chieda al grande amico rabbi Shear Yashuv Cohen, riceverà le informazioni esatte.




1)
Sergio Yahni, «The US to raise military aid to Israel», AIC, 12 maggio 2009.
2) Richard Silverstein, «AIPAC’s hidden persuaders», Guardian, 15 maggio 2009. Silverstein dà conto della intense campagna in corso in USA per preparare al bombardamento dell’Iran.
3) Da Wikipedia, voce «Shear Yishuv Cohen».
4) Philip Weiss, «Riding shotgun for Netanyahu, Uzi Arad had a 'foundational fantasy' about anti-Semitism», Mondoweiss,  19 maggio 2009.
5) Philip Weiss, «Citing 'Amalek,' Goldberg/Netanyahu would seem to prescribe genocide for Iran», Mondoweiss, 18 maggio 2009. Philip Weiss è un saggista e giornalista ebreo americano  che denuncia le derive fondamentaliste del sionismo.


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