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Teologia di Israele (1)
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Premessa

Il Vangelo di Gesù è stato rivelato per la salvezza di tutti gli uomini, ma - cronologicamente e non ontologicamente - prima dei Giudei e poi dei Gentili (Rom., I, 16). Tuttavia la maggior parte del popolo ebraico ha rifiutato Gesù e ha rotto il Vecchio Patto stretto con Dio, che era tutto orientato alla Nuova ed Eterna Alleanza; mentre molti Pagani si sono convertiti al Vangelo e sono entrati nella Chiesa di Cristo e nel Nuovo Patto, che ha perfezionato e sostituito il Vecchio.

Siccome Dio aveva stretto un Patto o un’Alleanza con il popolo ebraico in Abramo, sembrerebbe quindi che Egli non sia stato fedele alle Sue promesse, avendo permesso che la maggior parte dei Giudei Lo lasciasse.

San Paolo nell’Epistola ai Romani affronta questa questione e dimostra che 1°) Dio è rimasto fedele alle Sue promesse fatte ad Abramo di essere padre di un popolo partecipe della salvezza spirituale messianica (Rom., IX, 1-29); 2°) nello stesso tempo è stato giusto nel riprovare il Giudaismo che non ha voluto credere in Gesù e Lo ha respinto come Messia (Rom., IX, 30-33 – X, 1- 21); 3°) infine è stato misericordioso riguardo ai pochi Giudei convertitisi nel periodo dell’Avvento di Cristo e, poco prima della Parusia, diffonderà la sua grande misericordia sulla maggior parte del popolo ebraico, il quale tornerà a Cristo (Rom., XI, 1-36).

Nel presente articolo studiamo la prima delle tre proposizioni, in altri articoli successivi vedremo le altre due proposizioni.

Dio È Rimasto Fedele Alle Sue Promesse Fatte Ad Abramo (Rom., IX, 1-29)

L’Apostolo dei Gentili, vedendo che la maggior parte del popolo ebraico si è escluso dalla salvezza, avendo respinto il Messia Gesù di Nazareth, esprime tutto il suo dolore per lo stato di dannazione spirituale in cui Israele versa per sua colpa.

San Paolo desidera la salvezza di tutti gli uomini e anche dei Giudei, egli non è loro nemico in quanto Israeliti per nascita, anzi li ama poiché egli stesso è Israelita quanto alla stirpe; tuttavia li combatte teologicamente non per malanimo, ma per il grande desiderio della loro conversione, dimostrando i loro errori spirituali in quanto nemici di Cristo (Rom., IX, 2).

Anzi addirittura come Cristo, pur essendo immacolato, ha preso su di Sé i nostri peccati e li ha espiati al posto nostro morendo sulla croce come se li avesse commessi Lui; così anche Paolo, per l’amore che nutre verso i Giudei, vorrebbe prendere su di sé la pena della loro incredulità ed essere castigato al posto loro da Dio - ma solo esternamente, restando unito a Lui internamente - pur di vederli convertiti a Cristo ed entrati nella Nuova ed Eterna Alleanza (Rom., IX, 3).

Gli Ebrei erano stati scelti da Dio, quando Egli chiamò Abramo e strinse un Patto con Lui, ad essere il Suo popolo primogenito (Esod., IV, 22; Deut., XIV, 1) affinché mantenesse pura la fede monoteistica, in mezzo ad un mondo sprofondato nell'idolatria politeistica.

Tuttavia quest’adozione d’Israele nella Vecchia Alleanza era imperfetta ed era un’ombra e una figura dell’adozione che nella Nuova Alleanza Dio avrebbe comunicata, tramite la grazia  santificante, a tutte le anime degli uomini di tutti i popoli (Ebrei e Gentili) che avessero creduto nel Messia Gesù ed avessero osservato i suoi Comandamenti.

Quindi i Giudei hanno una certa nobiltà di origine, ossia di discendenza dai Patriarchi (Abramo, Isacco e Giacobbe), amati sommamente da Dio perché hanno corrisposto alla Sua chiamata. Tuttavia i Giudei del tempo di Gesù non solo non hanno corrisposto al dono di Dio e hanno rinnegato i loro stessi Patriarchi i quali attendevano il Messia venturo, ma addirittura Lo hanno crocifisso.

Inoltre Gesù medesimo quanto alla sua natura umana discende dalla stirpe giudaica, essendo Maria discendente del re David; tuttavia, in quanto vero Dio, Gesù è sovrano dei Giudei come dei Gentili (Rom., IX, 5).

Ora l’incredulità della maggior parte del popolo ebraico non può impedire a Dio di mantenere le Sue promesse fatte ai Patriarchi (di essere i padri di un popolo, che sarebbe stato partecipe della salvezza eterna portata in futuro dal Messia) adempiutesi in coloro che sarebbero restati fedeli al Messia inviato da Lui e a Lui consustanziale.

Il piano di Dio onnipotente non può fallire. Ora, spiega l’Apostolo dei Gentili, la promessa di Dio non fu fatta a coloro che discendono carnalmente o quanto al sangue da Israele, ma a coloro che sono spiritualmente Israeliti, ossia hanno la fede nel Messia venturo, presente o già venuto. Infatti non tutti coloro che discendono carnalmente da Abramo e da Giacobbe o Israele sono veri Israeliti spiritualmente (Rom., IV, 11). Quindi non tutti i discendenti carnali della razza di Israele sono veri Israeliti spirituali e, perciò, non sono il vero Israele.

Il dono di essere il popolo della promessa o il vero Israele dopo la crocifissione di Gesù è stato dato a tutti gli uomini (Giudei o Gentili) che avessero accettato, con fede vivificata dalla carità soprannaturale, il Messia sofferente e spirituale: Gesù di Nazareth.

Quindi per ereditare le promesse fatte ad Abramo non basta avere nelle vene il suo sangue (non è una questione di razza), ma occorre avere nell’anima la sua fede (è una questione spirituale e soprannaturale).

L’Apostolo porta l’esempio di Ismaele e di Isacco entrambi figli carnali di Abramo; eppure Abramo cacciò Ismaele e tenne con sé Isacco. Così Dio ha riprovato i Giudei increduli e contrari a Gesù per tenere con Sé tutti gli uomini (Giudei e Pagani) fedeli a Cristo. Quindi la promessa o il Patto stretto con Abramo non fu rivolto a tutta la sua posterità carnale o razziale, ma solo ai figli spirituali di Abramo, che credeva nel Messia sofferente e venturo (preannunziato dai Profeti). Dunque se Dio ha rigettato i Giudei increduli, non ha rotto il Patto stipulato con Abramo e ha mantenuto fede alla sua Promessa fatta ai figli spirituali di Abramo: i Cristiani, sia di origine ebraica che pagana (Rom., IX, 10).

San Paolo ha quindi provato ai Giudei i quali hanno respinto il Messia che Dio non è stato infedele alle Sue promesse, se essi sono stati riprovati, perché esse furono rivolte alla posterità spirituale e non carnale di Abramo.

L’Apostolo poi cita la S. Scrittura (Esod., XXIII, 19) in cui il Signore dice: “Userò misericordia a chi voglio usar misericordia, farò grazia a chi voglio far grazia”. Con queste parole Dio stesso rivendica la sua piena e totale libertà nella distribuzione dei Suoi doni e massimamente della grazia santificante, che è un dono gratuito e non è dovuta a nessuno.

La ragione della misericordia di Dio non si trova nei meriti degli uomini che precederebbero  la grazia soprannaturale, ma solo nella libera volontà divina, per la quale il Signore ci salva con la Sua misericordia. Ora dove non vi è dovere non vi è obbligo di dare, né ingiustizia nel non dare. Per esempio se incontro due poveri e ad uno do tutto quel che posso e niente all’altro, faccio misericordia al primo e non faccio ingiustizia al secondo. Perciò l’elezione dell’uomo alla fede non proviene dal volere dell’uomo, ma è un puro dono della misericordia di Dio.

A tal proposito San Paolo scrive: “La salvezza non è opera né di colui che vuole o che corre, ma di Colui che usa misericordia” (Rom., IX, 16), ossia l’esercizio delle buone opere non è causato principalmente dalla volontà dell’uomo, ma da Dio col quale l’uomo deve poi cooperare essendo libero. Infatti Dio, per primo, muove l’uomo con la sua grazia di modo che egli voglia ed operi liberamente acconsentendo alla chiamata divina. Quindi la sola volontà dell’uomo non basta, se non interviene la misericordia divina, anche se Dio vuole che la sua misericordia non debba far tutto, ma Egli desidera che debba essere ricevuta e corrisposta dalla volontà dell’uomo.

Tuttavia bisogna tener fermo che mai Dio spinge l’uomo al peccato e alla perdizione, causando il male morale in lui, ma certe volte permette che l’uomo, col suo libero arbitrio, abusi delle cose che lo dovrebbero aiutare a fare il bene (per esempio, ha permesso che Giuda abusasse del dono di essere Apostolo). Perciò Dio non è la causa della malizia dei Giudei che hanno rifiutato Cristo, ma da questo male, che è stato solo permesso e non causato da Lui, la Sua onnipotenza ha saputo trarre un bene che è stato la manifestazione della Sua giustizia.

Riassumendo, Dio non è ingiusto se elegge l’uno piuttosto che l’altro, il Gentile piuttosto che il Giudeo o viceversa. Egli permette che qualcuno si indurisca e si ostini nel male, ma dà a tutti la grazia sufficiente per fare il bene ed evitare il male, molti però ne abusano e si rendono degni di essere abbandonati da Dio, senza nessuna ingiustizia da parte Sua.

L’Apostolo fa un secondo esempio, se un artista utilizza dell’argilla ordinaria e vile per fare un vaso meraviglioso per uno scopo sublime, tutto ciò è da attribuirsi alla bontà e misericordia dell’artista; mentre se con la medesima argilla fa un vaso poco bello e lo utilizza per fini del tutto ordinari, l’argilla non potrebbe lamentarsi e chiedere al vasaio perché non ha fatto con lei un vaso nobile. Ora l’uomo creato dal fango e destinato a tornare al fango, se ha qualcosa di buono lo deve alla misericordia divina e non alla sua capacità; invece se non riceve un sovrappiù non subisce nessuna ingiustizia e non può lamentarsene purché abbia ricevuto il sufficiente. Certamente ad alcuni Dio dà sovrabbondantemente, ma a tutti dà il necessario e il sufficiente per salvarsi l’anima.

La conclusione è logica: il vasaio è totalmente libero di usare la  creta per fare il vaso che preferisce, sia esso nobile o ordinario; così Dio  a partire dalla massa vile del  genere umano, corrotta per di più dal peccato originale, può scegliere liberamente alcuni per scopi  sublimi, mentre altri li  lascia per scopi ordinari senza essere ingiusto con nessuno, avendo dato il sufficiente a tutti anche se a qualcuno ha dato il sovrabbondante (Rom., IX, 21).

Quindi, se Dio dopo il deicidio ha riprovato i Giudei increduli ed ha chiamato i Gentili, ha usato misericordia verso i secondi e giustizia verso i primi; cosa si può dunque obiettare al modo di agire di Dio? Forse Lo possiamo accusare di ingiustizia? Non sia mai! Infatti Dio manifesta la Sua giustizia in coloro che, per loro colpa, abbandona e riprova, mentre manifesta la Sua misericordia in coloro che, per sua grazia, son chiamati a conversione e a corrispondere al donum Dei.

Perciò, se Dio ha abbandonato i Giudei increduli, i quali per la loro cattiva volontà e non per impulso divino si sono spinti da se stessi all’infedeltà e al rinnegamento del Messia - per far conoscere la Sua giustizia - dopo averli sopportati a lungo pur essendo meritevoli di punizione, dando loro tutto il tempo necessario per ravvedersi, pur avendo avuto il diritto di castigarli; nessuno potrebbe chiamare il Signore ingiusto per aver abbandonato i Giudei increduli, accolto quelli fedeli e chiamato i Pagani ad entrare nella Chiesa di Cristo (Rom., IX, 22).

Parimenti se Dio -  per far conoscere la Sua misericordia - ha accolto i Giudei fedeli a Cristo e i Pagani pronti alla conversione, non potrebbe minimamente essere chiamato ingiusto. Infatti Dio non dispone nessuno al male morale, ma può solo permettere che agisca liberamente e conformemente alla sua cattiva volontà. Invece per quanto riguarda il bene, l’uomo non avendo per sua natura la capacità di agire soprannaturalmente, deve essere aiutato e spinto dalla grazia divina ad agire soprannaturalmente bene e a cooperare con la chiamata del Signore. Quindi coloro che si smarriscono si perdono per loro colpa e coloro che si salvano si salvano per grazia o dono gratuito di Dio.

I Cristiani, ossia coloro che hanno corrisposto al dono di Dio, sono stati chiamati gratuitamente ed efficacemente dalla misericordia divina, sia a partire dal popolo dei Giudei sia da quello dei Gentili, i quali ultimi, tuttavia, hanno risposto in maggior numero dei Giudei nell’abbracciare il Cristianesimo (Rom., IX, 24 ).

Già nel Vecchio Testamento il profeta Osea[1] (Os., II, 23-24) ha predetta la vocazione e la conversione in massa dei Gentili alla vera fede monoteista. Il profeta si riferisce, in senso letterale, alle dieci tribù scismatiche d’Israele, cadute nell’idolatria pagana, alle quali tribù Dio promette misericordia, se si convertiranno. Tuttavia, in senso spirituale, Osea parla dei Pagani, dei quali le dieci tribù d’Israele erano figura (cfr. I Petr., II, 10) che si sarebbero convertiti. Infatti Dio avrebbe castigato le tribù scismatiche, ma poi le avrebbe richiamate a far parte del suo popolo in Alleanza con Lui (Osea, I, 10); così in senso spirituale, i Pagani lontani dall’unico vero Dio e immersi nel politeismo e nei vizi che lo accompagnano, un giorno si convertiranno e diverranno figli adottivi di Dio.

Inoltre il profeta Isaia[2] (Is., X, 22-23) ha predetto la riprovazione dei Giudei, annunziando il terribile eccidio dei Giudei che Dio avrebbe fatto, mediante Sennacherib[3], al tempo di Ezechia: il re di Giuda, strage dalla quale solo pochi Giudei si sarebbero salvati. Ora questo “resto”, “reliquia”, “piccolo numero” di scampati rappresenta, spiritualmente e figuratamente, il piccolo numero di Giudei che avrebbe creduto al Messia Gesù di Nazareth.

Dio non volle distruggere totalmente il popolo con cui aveva stretto la Vecchia Alleanza, ma ne scampò un “piccolo resto”, come avvenne anche al tempo di Gesù.  Perciò come i superstiti di cui parla Isaia (Is., I, 9) sono paragonabili a “pochi semi”, così questo atto di averne risparmiata una parte era una figura di ciò che sarebbe successo al tempo del Messia, quando la grande maggioranza del popolo d’Israele Lo rinnegò e solo un “piccolo numero” si convertì al Cristianesimo. Tuttavia questo “piccolo resto” è chiamato “semenza” poiché prima della fine del mondo da esso nascerà una messe futura quando (moralmente e non matematicamente) tutta Israele si convertirà a Cristo (Rom., XI, 1).

d. Curzio Nitoglia

Fine della Prima Parte

Continua



1] Osea in ebraico significa “colui che salva”. Egli profetò per circa 90 anni a partire da Ozia (789-738) sino ad Ezechia (721-693) re di Giuda.

2] Nacque attorno a 770 e non si sa con esattezza quando sia morto.

3] Re di Assiria dal 705 al 681.


 
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