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Sulla verità come compagna
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Un lettore scrive,

«Gent.mo Direttore,
 
ho quasi finito di leggere il Suo Libro «Schiavi delle Banche» alle pag. 138/142 
(oltre che in tutti gli altri capitoli) descrive, credo ormai con 6 anni di anticipo, tutto quello che sta avvenendo, con una precisione che, se non fossi certo che Lei non è il Nuovo Messia”, nè ha una palla di cristallo”, ha quasi del prodigioso – mi sembra chiaro che 6 anni fa deve aver molto sofferto, per le derisioni o per la solitudine nella quale si è trovato, la cosa che mi sconvolge di più è che, ieri, oggi, da quando sono Suo abbonato, cerco di spiegare, di far capire come stanno veramente le cose, credendo di trovare una «platea» con un orecchio più sensibile ai problemi attuali - invece... chi ha vinto lisola dei famosi... l’assegno di Veronica Lario... chi vincerà i mondiali...,  etc..., etc.  Come è possibile? Come e quando è successo che ci hanno trasformato in questo modo? Ho paura di terminare il Suo libro perchè non so se mi darà delle risposte, o se le risposte che ci sono non le voglio ascoltare, ho moglie e 4 figli... credo in Dio... mi rasserena saperLa ancora lì, magari a leggere questa mia e-mail, con la quale Le voglio solo dire che Le sono vicino in questa Sua solitudine... Che Dio La benedica e La protegga sempre.
 
Aldo di Michele
»

No, caro lettore, non ho poi sofferto tanto. Nella solitudine, la verità è una buona compagna. Le anticipazioni che lei ha letto in Schiavi delle Banche, dov’è sostanzialmente prevista l’attuale crisi del capitalismo terminale (e forse della nostra società come la conosciamo) non testimoniano una mia qualche superiorità intellettuale. Centinaia di persone, economisti in primo luogo, ma politici e governanti, e potenti in genere hanno sicuramente un’intelligenza migliore: il che significa che sapevano la verità, ma non l’hanno voluta vedere nè provvedere in tempo. Il loro difetto non è la mancanza di testa, ma di coraggio morale ed onestà. Il che mostra che l’intelletto è una virtù del coraggio, della «fortezza» nel senso cristiano. Come pare abbia detto a Paolo Guzzanti Eugenio Scalfari,  fondatore, editore e direttore miliardario di Repubblica, «A noi la verità non interessa».

Sono tanti ad essere così. E non sanno cosa si perdono: la verità è anche una buona amante, piena di sorprese e generosa di scoperte e avventure.

Però devo ammettere che c’è stato un momento in cui il cuore s’è allargato, in cui ci s’è accorti d’essere meno soli. Per me è stato nell’estate del 2007 (forse la data non è esatta), quando amici del movimento LaRouche (alcuni li conosco da trent’anni) mi invitarono a un dibattito pubblico che il loro capo, Lyndon LaRouche, avrebbe tenuto a Roma. «Viene anche Tremonti», mi dissero.

Non ci credetti, naturalmente. LaRouche è per il potere americano, e dunque per i media, una non-persona; in USA l’hanno persino cacciato in galera per le sue idee; farsi vedere accanto a lui è già per sè compromettente, ed inoltre le sue idee economiche, affascinanti, polemiche ed intellettualmente sempre sorprendenti, non sono prive di un ramo di follia molto americana.
 
Invece Tremonti venne. Scese da Montecitorio (allora era un vicepresidente della camera; Fini aveva preteto di scacciarlo dal ministero economico) e in pochi passi raggiunse la saletta dell’Hotel Nazionale affittata dai larouchiani. Si sedette accanto a LaRouche che già stava parlando della crisi imminente (la bolla del subprime sarebbe esplosa un mese dopo), ascoltò e parlò. Il succo di quel che disse, lo prendo dal comunicato del MoviSol (laruchiani italiani):

«Raramente si incontra un leader politico in grado di poter spaziare con riferimenti alla storia come ha fatto LaRouche stasera – ha detto Tremonti – ed è auspicabile che il dibattito politico in genere presenti più occasioni del genere. Tremonti si è detto convinto che, se non un crollo del sistema, sicuramente sotto all’apparente normalità si stanno verificando cambiamenti storici; anche se non si sente in grado di giudicare se il paragone fatto da LaRouche con il crollo del XIV secolo (le banche dei Bardi e dei Peruzzi) sia quello giusto, è certo che i cambiamenti in corso avranno conseguenze profonde per tutto il mondo. Tremonti ha concluso affermando che l’idea larouchiana di un collegamento mondiale di grandi infrastrutture da costruire  può apparire “la visione di un matto”, ma “anche sulle visioni dei matti cammina la Storia”. Sicuramente, si tratta di idee che vanno diffuse, ha concluso».

Ma più che quel  che disse, mi colpì il semplice fatto che Tremonti fosse lì. Ad ascoltare, sul serio. Senza restare appeso al telefonino come fanno di solito i politici, e senza attendere il suo turno telefonando, per poi dire la sua con un discorsetto preparato in anticipo su un foglio.

Non so se cogliete quanto il fatto fosse inaudito. Nessun politico italiano, e forse nemmeno straniero, va mai ad un convegno di gente senza potere e notoriamente senza soldi, da cui non può aspettarsi un compenso , se non mazzette e do-ut-des, almeno in voti elettorali.

Nessuna di queste cose hanno mai potuto dare i larouchiani. Eppure Tremonti era venuto ad ascoltare. Gli piaceva ascoltare  questa storia dei Bardi e dei Peruzzi, e degli altri banchieri veneziani che provocarono la crisi del quattordicesimo secolo perchè (come i Goldman e Soros d’oggi) estraevano «un tasso del 40%» col loro business finanziario di prestatori ai sovrani ed arbitratori dei corsi dell’oro e dell’argento, e finirono così per strangolare un’economia reale che, essendo pre-industriale, produceva il 3-4% annuo (tutto ciò lo trovate nel mio Schiavi delle Banche).

E gli piaceva sentire ancora una volta quell’idea del matto, di contrastare la crisi e la recessione globale imminente lanciando un grande piano internazionale per costruire ferrovie ad altissima velocità, a levitazione magnetica, dall’Europa all’Asia; qualche dozzina di Transiberiane a 500 chilometri l’ora. Idea folle, forse perfino sbagliata: ma seducente, e chi ha come amante la verità è sempre sedotto dalle idee grandi, nuove, arrischiate, politicamente scorrette. Perchè sa che la verità viene fuori non da «uno che la dice» come vangelo celeste, ma dallo stesso scambio intellettuale fra gente che non è sempre d’accordo su tutto, dalla polemica cordiale di chi sa – però – che l’altro sta cercando di dire la verità.

Così ho visto Tremonti quel giorno, e dunque mi perdonino gli anti-berlusconiani se ho un debole per lui.  La fermezza che ha dimostrato in questi mesi, e che gli è riconosciuta anche dall’opposzione, era già in quel suo anticonformismo, coraggio di esporsi a fianco di un ex-galeotto americano troppo intelligente per non essere matto, e nel piacere così disinteressato a sentire vecchie storie economiche – perchè l’economia è essenzialmente storia, e non l’insieme di algoritmi truffatori e di idolatrie teoriche che passano oggi con questo nome per Giavazzi e Alesina.

Non escludo che come governante, possa anche sbagliare, non è Dio; so che sa ascoltare senz’altro  fine che imparare qualcosa, che conosce la verità come piccante amante.  Credetemi, non è poco.  Ci si sente meno soli.

Tremonti, in questi giorni, è stato l’unico a dire pubblicamente che sotto l’attacco finanziario in corso l’economia non solo d’Europa, ma del mondo, è stata sul punto di rischiare «quel che gli inglesi chiamano il meltdown», parola che significa il tragico, inarrestabile fondersi su se stesso del nucleo di una centrale atomica in avaria, e di aggiungere che in quel caso i soldi nei nostri portafogli non sarebbero valsi più nulla, e ciò avrebbe provocato «gravi sofferenze alla gente».

I politici che sapevano cosa stava per succedere non l’hanno detto: fa perdere voti. E nemmeno ho mai sentito negli economisti cattedratici una preoccupazione per le sofferenze della gente. Anzi, ho sentito Alesina e Giavazzi rallegrarsi pubblicamente della «lezione» che «i mercati» stavano dando ai governi e alle società sottostanti. Godevano del tirare di cinghia, dei tagli salariali, delle fatiche senza prospettive di miglioramento che ci attendono – e non attendono mai i banchieri colpevoli.

Secondo me, è ai Giavazzi e agli Alesina che bisogna togliere la parola. Sono loro che devono diventare non-persone. E magari da mettere in galera, mica LaRouche.

E veniamo alla seconda parte della sua lettera, quella triste:

«Da quando sono Suo abbonato
, cerco di spiegare, di far capire come stanno veramente le cose, credendo di trovare una plateacon un orecchio più sensibile ai problemi attuali – invece... chi ha vinto l'isola dei famosi... lassegno di Veronica Lario... chi vincerà i mondiali..., etc..., etc. Come è possibile? come e quando è successo che ci hanno trasformato in questo modo».

Sì, sono queste cose il vero problema. Non a caso (leggo un’agenzia) «I salari italiani sono tra i più bassi dell'area OCSE, del 16,5% sotto la media. In particolare, segnala il rapporto “Taxing wages” dell'organizzazione parigina, lo stipendio annuale netto, a parità di potere d'acquisto, del lavoratore medio in Italia nel 2009, è risultato pari a 22.027 dollari, contro i 26.385 dollari della media OCSE e i 28.454 dollari della UE a 15. Nella classifica generale lItalia si colloca al ventritreesimo posto preceduta non solo da colossi come Stati Uniti (30.977 dollari), Francia (25.977 dollari) e Gran Bretagna (38.054 dollari), ma anche da Paesi come Spagna (25.339 dollari), Grecia (25.583 dollari) e Irlanda (31.897 dollari). Al primo posto brilla la Corea del Sud con 40.190 dollari...».

Il primo impulso, a queste masse cretine che nei giorni del rischio meltdown si occupano dell’Isola dei Famosi e dei mondiali, sarebbe di dire: ve lo meritate. Ben vi sta. Già guadagnate meno dei greci e degli spagnoli, perchè siete più ignoranti; avete mancato di studiare a scuola - in scuole che sono già le peggiori d’Europa - e  vi pare di aver già imparato troppo, sicchè pensate di non aver bisogno di imparare qualcosa di nuovo. Non avete formazione, nè la minima idea della necessità della formazione permanente; la maggior parte di voi (il 70%) non ha più preso un libro in mano dopo il diploma o la laurea (perchè siete perfino laureati).

Già oggi il vostro salario è fra i più miseri del mondo sviluppato. Il coreano del Sud prende 40mila all’anno e voi quasi la metà: ma avete idea di come studiano i coreani del Sud? Io li ho visti, gli studenti, dormire per qualche minuto sulle panche delle  biblioteche universitarie, stroncati dalla fatica mentre preparavano l’esame, o due o tre esami a raffica. Li ho visti come lavorano nelle fabbriche, senza risparmio; ho visto la loro fermezza, la loro disciplina e il senzo della nazione come una famiglia - e la loro curiosità del mondo, la loro voglia di imparare dallo straniero.

Voi avete la testa chiusa, piccina e provinciale, siete attaccati alle quattro idee impartitevi dal conformismo corrente; vi basta l’edonismo straccione e immaginario che leggete su «Chi» e vedete nella TV dei lustrini. Non avete alcuna curiosità ulteriore. Insomma, non siete più parte della civiltà, e dunque è profondamente giusto che siate avviati a ricevere la paga  dei meno civilizzati. Siete avviati ad avere il salario del lavoratore cinese, e a vestirvi di stracci (già lo state facendo) come i miserabili asiatici di ieri, e a coprirvi di tatuaggi come i bantù hanno smesso di fare.

Voi convinti che basti il sesso televisivo a rendere piacevole la vita, e che si possa reggersi nel mondo con «la cucina italiana», con  «i settori del lusso e del gusto».  Ma quale «lusso» ma quale «gusto»: fra poco vi farete infilare un osso al naso, come gli aborigeni australiani.

Negli anni ’50, la TV italiana osava dare tragedie di Eschilo, Shakespeare, «i Promessi Sposi», «Delitto e Castigo» e l’Orlando Furioso sceneggiato. E guardate oggi cosa vi dà. La vostra decadenza salta agli occhi, come la vostra stupidità.

E non è - credete - una mancanza di acutezza intellettuale. Quel che manca è la fibra morale: il senso di responsabilità verso la comunità, il senso di dignità verso voi stessi, la ferma convinzione che vivere richieda qualche sforzo costante, qualche desiderio di miglioramento.

Siete in vacanza dalla storia, italiani. Dunque campate coi 900 euro mensili, e domani con 500. Che cosa pretendete di più?

Ma poi mi pento. Fra questi italiani da 22 mila dollari annui, che prendono meno di greci (25.600) e irlandesi (32 mila) ce ne saranno chissà quanti che si sforzano, che imparano, che tirano la carretta per non far andare a fondo la piccola azienda nella tempesta mondiale; che vogliono mantenersi nella storia del mondo con la dignità di un popolo che ha avuto nel suo passato Roma e il Rinascimento. E altri che si occupano dei mondiali e dell’Isola dei Famosi perchè, in fondo, che cos’altro viene richiesto? Il lavoro non viene compensato, tanto vale puntare a fare le veline, sognare i «famosi» da quattro soldi mentre si affonda nella storica miseria di sottosviluppati.

E’ che, magari, avrebbero il diritto di guadagnare almeno come gli spagnoli (25.400). Viene il sospetto: che siano, che siamo, derubati di qualcosa. Da chi?

Su Libero, Franco Bechis c’informa che ciascun ministro dell’attuale governo è proprietario - in media - di sei immobili. Adolfo Urso, viceministro al Commercio Estero, s’è comprato una casa vicino alla Corte di Cassazione (centralissima) di 9,5 vani. Per la quale sta pagando un mutuo trentennale di 1,6 milioni di euro, al tasso del 5,5%. Ora, un ministro prende circa 150 mila euro l’anno. Come fa Urso a pagare i ratei del mutuo? Ad occhio e croce, sono 7 mila al mese: una bella botta. E come fa Urso ad essere sicuro di poter reggere un mutuo da settemila euro mensili per i prossimi trent’anni? Potrebbe perdere le prossime elezioni. Ha una cintura di salvataggio, una garanzia di perennità di emolumento? Chi gliela fornisce?

Mara Carfagna, anche lei ministra dalle ben note capacità, ha comprato casa: a Piazza Navona, non so se mi spiego. Quinto piano, vista grandiosa, 7,5 vani. Come? Dice lei: con un mutuo da 930 mila euro. Scusate, a piazza Navona, con 900 mila euro, non si prende nemmeno uno sgabuzzino. E’ lecito il sospetto che, come a Scaiola, qualcuno abbia regalato il resto senza che l’interessato lo sapesse?

La lista Anemone (il costruttore ammanicato) la dice lunga in questo senso. In un modo o nell’altro, sono soldi rubati. A chi, domandate?

Mentre aziende sane falliscono perchè lo Stato ritarda i pagamenti delle fatture e dei rimborsi IVA di mesi ed anni, quelli si comprano appartamenti: a loro, niente ritardi di pagamento. Con mutui di banche, che rifiutano i fidi a chi sgobba.

Come si diceva: i morsi della «competizione globale», loro, non li sentono. Fatto sta che, se qualcuno deve cominciare a tirare la cinghia, magari si potrebbe cominciare da quelli. E dalle loro clientele.

Ultima parte della sua lettera:

«Ho paura di terminare il Suo libro perchè non so se mi darà delle risposte ho moglie e 4 figli... credo in Dio... mi rasserena saperLa ancora lì, magari a leggere questa mia e-mail».

Ebbene, una cosa m’ha messo di miglior umore. Come saprà, Papa Ratzinger è andato a Fatima. E di fatto ha confermato quello che i caporioni ecclesiastici hanno ostinatamente negato: che la terza profezia della Vergine esiste, che non è stata ancora divulgata, che la profezia «si è realizzata nel passato» con il colpo di Ali Agca al Papa, ma che riguarda il futuro e, precisamente, le «sofferenze del Papa e della Chiesa che si annunciano», inflitte dal «peccato che esiste nella Chiesa».

Forse dobbiamo aspettarci un altro Papa suppliziato e ucciso nella «città mezza in rovina» e piena di corpi vista dai pastorelli. Ma è una buona notizia, sapere la verità anche se terrificante, perchè (come ha scritto Socci) «non bisogna mai aver paura della verità, perchè non si serve Dio con la menzogna».

Siano pur tempi terribili quelli che ci attendono, è una buona notizia sapere che la Vergine non ce li ha taciuti, che ci ha avvertito. Inoltre, a Fatima, Benedetto XVI ha consacrato al cuore di Maria se stesso, i giovani preti che ha ordinato, e la gente: quella presente e quella nel mondo, tutti noi. Tutti noi che sappiamo che l’aldiquà non è tutto siamo, dunque, ben protetti.

Combattiamo per essere degni della verità che disse la Signora «... e infine il mio cuore immacolato trionferà».



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