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Peccato della Chiesa e peccati nella Chiesa (parte I)
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Credo, se vogliamo capire qualcosa, che la chiave di lettura autentica di ciò che è accaduto possa essere trovata solo nella Scrittura, a partire  dal Vangelo di Matteo:

«In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: ‘Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?’. Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: ‘In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me. Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al Mondo per gli scandali! E’ inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo! Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo, taglialo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno. E se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, che avere due occhi ed essere gettato nella Geenna del fuoco». Nel capitolo 17 del Vangelo di Luca Gesù conclude questo insegnamento con una esortazione: «State attenti a voi stessi!».

Vi domando: avete per caso sentito di recente dal pulpito o in confessionale qualche prete parlarvi così? Io credo che se Gesù Cristo apparisse oggi, la maggior parte di vescovi, parroci e «operatori della pastorale» ne chiederebbero un TSO. E nel vederlo portare via da un’ambulanza scuoterebbero il capo, chiosando: «E’ un po esaurito! Ha bisogno di uno psicologo».

Sono gli stessi che vivono oramai in dialogo permanente con il Mondo, che vestono come il Mondo, che sono immersi nel Mondo. Non è forse questo ciò che i neo-preti ripetono continuamente? Non è forse parte della nuova identità del prete quello di essere «uno tra la gente»?

Peccato che Gesù avesse ammonito: «Se foste del Mondo, il Mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del Mondo, ma io vi ho scelti dal Mondo, per questo il Mondo vi odia». E più avanti ripete: «Io ho dato a loro la tua parola e il Mondo li ha odiati perché essi non sono del Mondo, come io non sono del Mondo. Non chiedo che tu li tolga dal Mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del Mondo, come io non sono del Mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu mi hai mandato nel Mondo, anch’io li ho mandati nel Mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità».

Dovrebbe essere chiaro a tutti che se certi scandali appaiono anche all’interno della Chiesa, non è – contrariamente a ciò che ci fanno credere con la questione del celibato dei preti – perché la Chiesa è troppo Chiesa, ma perché è troppo poco Chiesa.

Questo è infatti da sempre il nostro destino: tutte le volte che le preoccupazioni mondane prendono il sopravvento, l’uomo cade nel peccato. Ciò è accaduto sempre anche in passato: quando l’uomo non è «stato attento a se stesso» (per citare le parole di Gesù), quando si è addormentato, l’Avversario ha seminato la zizzania nel suo cuore. Così quando l’uomo fa affidamento su se stesso, guarda a se stesso e alla propria opera, anziché a quella di Dio, irrimediabilmente cade nel peccato.

Il prete non fa differenza

La differenza rispetto al passato è che da qualche decennio i preti non solo vivono in dialogo con il Mondo, vestono come il Mondo e sono immersi nel Mondo, ma pensano come il Mondo. La differenza rispetto al passato è che il peccato della mondanità, che da sempre ha infestato la Chiesa, non solo ha smesso di dare scandalo, ma viene addirittura esaltato come «progresso e aggiornamento».

L’idea, che spesso contraddistingue il pensiero dei credenti e che si sente ripetere come una litania, è che la Chiesa è arretrata, che perde il contatto con la realtà, che i tempi sono cambiati, che la gente oramai è autonoma, che il Mondo va avanti. Insomma non si tratta più di annunciare la Verità, ma di intercettare l’umore della gente.

Tutta la pastorale è impostata così: parlare il linguaggio della gente e servire i bisogni della gente. Anche nella Carità la Verità viene meno, sicchè alla Carità vera si sostituisce il buonismo. E’ il Mondo che è entrato nella Chiesa. Certo la zizzania da sempre infesta il campo del Signore, ma non ne ha mai avuto legittimazione. Mai si è spacciato il grano per loglio. Oggi questo accade. E il nemico interno della Chiesa, cui il Papa a Fatima ha fatto riferimento, è questo.

Il male morale deriva sempre anzitutto da un abbandono della Verità.

Come è possibile ravvedersi dal peccato, se non riconoscendo che ciò che si è fatto è un errore, che ciò che si è fatto è un agire secondo menzogna? E’ impossibile la conversione senza il riconoscimento della Verità: conversione è termine che in greco è reso con «metanoia», cioè, cambiamento del nous, della mente. Come si possono cambiare i propri pensieri senza conformarsi ad un altro Pensiero? Come è possibile cambiare i propri comportamenti senza riconoscere che non sono secondo verità?

Nella seconda lettera a Timòteo, Paolo aveva profetizzato che gli uomini si sarebbero allontanati dalla verità per seguire le proprie convinzioni ed ha invitato alla buona battaglia, non al dialogo:

«Figlio mio, ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù, che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole. Tu però vigila attentamente, sopporta le sofferenze, compi la tua opera di annunciatore del Vangelo, adempi il tuo ministero. Io infatti sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento in cui io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione».

Invece…

Invece c’è stato un periodo in cui all’interno della Chiesa il fumo di Satana che vi è entrato, ha fatto sì che l’aggiornamento conciliare assumesse – al di là e magari contro le dichiarate intenzioni – le vesti di una rivoluzione, in nome della cosiddetta svolta antropologica: la Chiesa ha come smesso di guardare a Dio, per rivolgersi all’uomo.

Papa Paolo VI nel Discorso di chiusura del Concilio Vaticano II del 7 dicembre 1965 aveva affermato di voler allontanare «il sospetto che un tollerante e soverchio relativismo al Mondo esteriore, alla storia fuggente, alla moda culturale, ai bisogni contingenti, al pensiero altrui, abbia dominato persone ed atti del Sinodo ecumenico, a scapito della fedeltà dovuta alla tradizione (in lettera minuscola nda) e a danno dell’orientamento religioso del Concilio medesimo».

Egli rivendicò a quell’assise «la concezione teocentrica e teologica dell’uomo e dell’universo, che quasi sfidando l’accusa d’anacronismo e di estraneità, si è sollevata con questo Concilio in mezzo all’umanità, con delle pretese, che il giudizio del Mondo qualificherà dapprima come folli, poi, Noi lo speriamo, vorrà riconoscere come veramente umane, come sagge, come salutari; e cioè che Dio E’. Sì, E’ reale, E’ vivo, E’ personale, E’ provvido, E’ infinitamente buono; anzi, non solo buono in sé, ma buono immensamente altresì per noi, nostro creatore, nostra verità, nostra felicità, a tal punto che quello sforzo di fissare in Lui lo sguardo ed il cuore, che diciamo contemplazione, diventa l’atto più alto e più pieno dello spirito, l’atto che ancor oggi può e deve gerarchizzare l’immensa piramide dell’attività umana».

Tuttavia queste affermazioni, apparentemente ineccepibili, lasciano poi il posto in altre – secondo la metodica ambiguità conciliare – alla novità della svolta antropologica:

«E un’altra cosa dovremo rilevare: tutta questa ricchezza dottrinale è rivolta in un’unica direzione: servire l’uomo. L’uomo, diciamo, in ogni sua condizione, in ogni sua infermità, in ogni sua necessità. La Chiesa si è quasi dichiarata l’ancella dell’umanità, proprio nel momento in cui maggiore splendore e maggiore vigore hanno assunto, mediante la solennità conciliare, sia il suo magistero ecclesiastico, sia il suo pastorale governo: l’idea di ministero ha occupato un posto centrale. Tutto questo e tutto quello che potremmo dire sul valore umano del Concilio ha forse deviato la mente della Chiesa in Concilio verso la direzione antropocentrica della cultura moderna? Deviato no, rivolto sì».

Ecco il problema. Pur nelle contrapposte dichiarate intenzioni del Papa, l’ambiguità di molte, troppe proposizioni conciliari e dei documenti e della prassi che ne seguiranno, faranno sì che l’ingenuo ottimismo di Papa Montini si trasformi di lì a pochi anni in cupo, tragico riconoscimento dell’errore.

Dirà: «Dopo il Concilio Vaticano II aspettavamo la primavera ed è venuta la tempesta».

L’ecclesiologia del sorriso, quella «corrente di affetto e di ammirazione che si è riversata dal Concilio sul Mondo umano moderno», quell’approccio per cui magari gli errori andavano riprovati «ma per le persone solo richiamo, rispetto ed amore», tutto ciò ha prodotto in larga parte del clero e nella maggioranza dei fedeli l’idea che, nonostante le parole di Cristo e la Tradizione millenaria, l’atteggiamento verso il Mondo dovesse radicalmente cambiare. Peraltro l’impulso veniva dall’alto.

Diceva ancora Paolo VI «Messaggi di fiducia sono partiti dal Concilio verso il Mondo contemporaneo: i suoi valori sono stati non solo rispettati, ma onorati, i suoi sforzi sostenuti, le sue aspirazioni purificate e benedette».

Data questa svolta radicale, poteva mai essere che in materia di morale sessuale si facesse eccezione?

Magari è vero che molte proposizioni del passato meritavano di essere approfondite, ma la prima conseguenza del candido ottimismo conciliare fu che sulla «Humanae vitae» e sul tema della contraccezione, il Papa venisse lasciato solo, con larghe frange di teologi e vescovi contro di lui.

Peraltro se i valori del Mondo dovevano essere non solo rispettati, ma onorati, se i suoi sforzi andavano sostenuti, se le sue aspirazioni dovevano essere «solo» «purificate e benedette», perché mai non consentire una libera fruizione della sessualità almeno agli sposi, senza che la stessa dovesse necessariamente implicare l’«ordinatio ad prolem»?

Perché non assumere verso la sessualità un atteggiamento di analogo «ottimismo antropologico», perché non intercettare quelle correnti del pensiero moderno che facevano della cosiddetta «riscoperta» della sessualità una esaltazione della pienezza della dimensione dell’uomo?

E infatti così accadde. Come per la liturgia, anche in materia sessuale tutto cambiò quasi repentinamente.

(Continua)

Domenico Savino



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