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Speriamo nella Cina
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Vi ricordate quando tutte le grandi menti ci ripetevano che il capitalismo finanziario totalmente liberato, il «più mercato meno Stato», e la concorrenza globale, ci avrebbero portato più benessere, prezzi più bassi, più sviluppo? Perchè questo è il sistema più razionale, quello che toglie di mezzo gli ostacoli irrazionali al trionfale dispiegamento del capitalismo: dazi, controllo dei movimenti di capitali, cambi fissi artificiosi.

Ebbene, eccoci qua. Il nuovo premier britannico David Cameron annuncia «gravi decisioni», che avranno «enormi conseguenze» per ciascun inglese. Precisamente, «anni di sofferenze». In pratica, enormi tagli alla spesa pubblica, lo smantellamento dello Stato sociale, e tasse schiaccianti.

E’ l’economia di guerra, la stessa annunciata da Churchill, «lacrime e sangue». Solo che non c’è stata la guerra. A ridurci così sono stati anni di capitalismo senza intralci, nè freni, nè controllo pubblico, quindi massimamente «efficiente».

In pochi mesi, gli Stati – per salvare le banche – hanno accumulato un debito pubblico di guerra, e non c’è stata guerra. Il debito USA tocca ormai il 130% del prodotto interno lordo – complimenti, ha raggiunto l’Italietta – quello giapponese il 200%, quello inglese, francese, sono a ruota.

E almeno l’inglese parla chiaro alla sua società. Noi, in Italia, abbiamo «politici» che propongono tagli alle paghe dei calciatori, l’abolizione di qualche provincia anzi no, contrordine, e si gingillano con tagli annunciati e poi smentiti, qua e là. Londra sarà capace di tagliare su una spesa pubblica già snella e magra; noi non abbiamo la forza di toccare la nostra, aggravata da un enorme settore parassitario costosissimo. Noi avremmo sì del grasso che cola; ma non si pone mano al bisturi.

E si nasconde la realtà, che è questa: stante la grande depressione, stanno tentando di portarci – come salariati, e come titolari di diritti sociali – al livello del lavoratore cinese.

La cosa era prevedibile, da quando hanno aperto le nostre industrie, imprese e produzioni in genere alla concorrenza di lavoratori che vengono pagati 70 euro al mese. Andiamo verso quel livello salariale,  ma – per giunta – unito a un aumento del carico fiscale che i cinesi beati loro non conoscono, perchè  non hanno dovuto «salvare le banche» (almeno per ora) con il denaro dei contribuenti.

L’altra realtà occultata è che il piano europeo è fallito. Il «salvataggio della Grecia» s’è immediatamente trasformato in catastrofico «salvataggio dell’euro», per cui sono state impegnate o promesse cifre prossime al trilione. Il rischio di insolvenza delle banche, pagato coi miliardi degli Stati (che li faranno pagare ai contribuenti), s’è tramutato in rischio di insolvenza degli Stati stessi.

A chi ci parlava di «razionalità» insuperabile del sistema, converrà far notare a cosa si riduce: le banche prendono a prestito dalla BCE allo 0,60%, e comprano i Buoni del Tesoro dei vari Paesi al  3,70% o più.

La sensatezza e la sostenibilità di questo accorgimento è ben illustrata da questa vignetta:

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Stato alle banche: «Noi vendiamo a voi Buoni del Tesoro così da potervi salvare con prestiti». Banche allo Stato: «Noi prendiamo a prestito denaro da voi in modo da poter comprare i vostri Buoni del Tesoro».

L’uno aggotta l’acqua dalla barca delle banche e la getta nella barca del governo, l’altro aggotta l’acqua dalla barca del governo e la getta nella barca delle banche. Nel frattempo però i banchieri privati lucrano sul differenziale d’interesse.

Non sarebbe razionale, come minimo, nazionalizzare le banche, confiscarle senza indennizzo degli azionisti? E non arricchire i banchieri e i finanzieri speculativi? Sì, ma il dogma lo vieta.

Riparare a un debito facendo un altro debito non è stata una buona idea, dopotutto. Non molto razionale. Adesso il salvataggio del sistema nella sua totalità richiederebbe cifre stellari, irraggiungibili.

Qualcuno si domanda: «Il capitalismo ha i mezzi per ciò che ha scatenato?», e la risposta è no.

Ma non lo dicono. Si sono riuniti in Corea del Sud i ministri delle Finanze dei venti più grossi Paesi – il G20 – e hanno deciso quanto segue: che ogni Paese avrebbe provveduto da sè a risolvere l’equazione di come rendere compatibili i tagli fiscali dolorosissimi (necessari altrimenti i «mercati» non comprano i titoli di debito pubblico) con il necessario ed urgente rilancio delle economie reali (senza il quale i contribuenti non avranno i soldi per pagare le tasse, garantendo i «mercati» che i BOT emessi dagli Stati sono coperti dall’esazione).

Beh, potevano risparmiarsi il viaggio. Al G-20 non è nemmeno entrato il discorso di vietare gli strumenti speculativi più rovinosi, i CDS nudi vietati temporaneamente dalla Germania. Le Banche Centrali continuano a versare facilitazioni di cassa alle banche private, ed ormai anche agli Stati, insomma a versare acqua in secchi bucati.

L’immane creazione di pseudo-moneta non porta nemmeno i dubbi vantaggi dell’inflazione, che almeno diluirebbe il debito: le banche non prestano, le imprese non chiedono prestiti, i privati men che meno, sicchè è piuttosto la deflazione che domina, e dominerà nel gelo economico incombente.

E non c’è alcun trucco monetario capace di vincere la deflazione. L’immane pericolosa liquidità s’è congelata. L’inflazione, se mai, minaccia i Paesi emergenti e grandi esportatori (Cina compresa), perchè le masse di pseudo-capitali di cui le Banche Centrali USA ed Europa inondano i mercati finanziari si trasferiscono là, in quelle economie che «crescono», economie al calor bianco,
insomma bolle finanziarie pronte ad esplodere.

Frattanto, da noi in Occidente, sono in pericolo sempre più Stati – dopo la Grecia, il Portogallo e Spagna, ecco l’Ungheria – e ciascuno minaccia di far crollare tutto il sistema, poderosamente interconnesso («libera circolazione dei capitali, più efficiente del controllo», ci dicevano).

Il sistema bancario, benchè continuamente gonfiato coi soldi nostri, diventa sempre più fragile, per la spiccata preferenza del debito a breve su quello a lungo termine. Un mercato delle obbligazioni delle grandi imprese, praticamente, non esiste più. La cosa non può durare a lungo, senza un ulteriore avvitamento nella grande depressione.

Il capitalismo si mostra incapace di riformare se stesso; ormai ha rinunciato al liberismo facendosi salvare dagli Stati, e gli Stati non riescono a digerire l’immane debito contratto, perchè i mercati  minacciano di non comprare questi oceani di debito pubblico di Stati, le cui economie precipitano. Eppure, gli ideologi e gli interessi del «mercato» ancora riescono ad imporre la loro ricetta ideologica, in totale disfacimento.

Siamo così entrati in una dinamica di implosione da cui non si uscirà, senza «pensare da zero». Per esempio, mettendo in linea la moneta deperibile di Gesell, se si è ancora in tempo; ma come è possibile, in un mercato-mondo? Persino il governo mondiale tanto tenacemente voluto e preparato dai signori del Bilderberg, oggi, sarebbe un male minore: ma la riunione del G-20 ci ha dato un’idea di cos’è la «governance mondiale», il nulla condito di foto ufficiali.

Sicchè andiamo, come lavoratori, pensionati, ammalati bisognosi di cure, verso le bassure dei lavoratori, pensionati, ammalati cinesi (con in più tasse da Stato sociale aggravato da debito immane, e il numero crescente, inarrestabile, di disoccupati per riduzione dei consumi e del credito). Ci resta una sola speranza: la Cina.

Gli Stati Uniti sono già da tempo ostaggio della Cina, in quanto acquirente del loro debito pubblico e privato: la Cina salva gli USA per salvare le sue riserve, i due mostri sono legati come Achab e la Balena Bianca. Per noi, la speranza è che i salari cinesi salgano presto, giungano a pareggiarsi ai nostri che scendono. Ci vorranno più suicidi alla FoxConn e nelle altre aziende cinesi.

Il suicidio: l’ultimo mezzo di rivendicazione salariale che il capitalismo ha lasciato ai cinesi. E’ il bello della globalizzazione e del libero mercato.



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