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Elezioni russe: il commento possibile
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Qualche lettore mi chiede un commento sulla vittoria di Putin, aspramente contestata dall’Ovest, nelle elezioni russe.
Ma mi è impossibile: non ho altre informazioni che quelle che tutti avete già letto e ascoltato dai media occidentali, ed è questo – proprio questo – il problema.

E’ un problema che dovrebbe preoccupare anzitutto Putin e il suo gruppo dirigente, di cui peraltro sappiamo pochissimo: dalla Russia non giungono informazioni.
Non giungono contro-informazioni che consentano di farsi un’idea di ciò che avviene veramente; ciò equivale ad abbandonare il campo ai media occidentali e ai loro ispiratori,  fin troppo abili nella presentazione della propaganda come «informazione», perfettamente abituati a  distorcere e a sovvertire con l’arma mediatica.
Questo è un errore, e un errore politico di prima grandezza.

Ovviamente questo silenzio ha una radice antica pre-comunista; già De Custine, viaggiatore francese al tempo degli zar, notava come la burocrazia russa difendesse i segreti necessari ma ancor più quelli «inutili», la cui diffusione non era pericolosa.
Ma nell’epoca attuale, anche uno zar deve imparare che il miglior modo per nascondere i segreti è di affogarli nell’eccesso di informazione, e consiste nel creare l’enorme clamore di fondo delle «notizie» irrilevanti.
E’ così che il regime golpista americano ha protetto la versione ufficiale sull’11 settembre contro le sempre più concrete e numerose prove che la smentiscono: affogando le voci marginali nel clamore di fondo mediatico.

Questo errore, che nasce da una mentalità, fu evidente nell’agosto 2000, quando scomparve il sommergibile Kursk con i suoi forse 130 marinai.
Per giorni, da Mosca, un silenzio che parve reticenza o indifferenza alle vite umane.
Un silenzio riempito dai giornali occidentali, cui non parve vero di diffondere le interviste alle madri angosciate dei giovani sepolti negli abissi, e voci di ogni genere diffamatorio.
Putin fu travolto da «un uragano di critiche», come scrisse Repubblica, e infine parlò alla nazione. Disse: «mi sono caricato la croce e la devo portare», disse «se ci sarà un colpevole sarà punito, ma prima bisogna avere un quadro completo di quanto è successo».

Furono parole oneste: un quadro di quanto era successo, evidentemente, le autorità militari non l’avevano, e dunque – militarmente, e da russe – tacevano.
Ma cosa avrebbe fatto invece un qualunque governo occidentale?
Avrebbe immediatamente aperto una sala-stampa, a cui avrebbe invitato tutti i giornalisti occidentali – magari  avvertendoli con telefonate dirette ai loro alberghi -  e tenuto lì una conferenza-stampa permanente, per «informare i media ora per ora»; sul podio si sarebbero succeduti ammiragli (in pensione), tecnologi, «esperti», ministri, militari e civili di ogni genere.  Avrebbero mostrato mappe, diagrammi; fatto ascoltare registrazioni di sonar.
Magari le voci dei naufraghi all’interfono; e ovviamente, «risposto a tutte le domande, anche scomode».

Tutto ciò in Occidente si chiama «feed the press», ossia «pasturare la stampa» (nel senso in cui si pasturano le oche e gli altri pennuti da cortile).
Si tratta di tenere inchiodati i giornalisti, elettrizzati dall’evento, in quello stanzone dove si susseguono le «notizie» e gli «esperti», dove si attende da un’ora all’altra «la dichiarazione del ministro».
Tutte le telecamere sarebbero rimaste lì a riprendere «esperti» e «ministri» e mappe sottomarine, anziché doversi cercare le notizie da sole, e nel modo più facile: come?
Ci sono le mamme angosciate.
Andiamo a riprenderle, facciamole parlare: ovviamente, mamme coi figli sott’acqua non si sa se vivi o morti recriminano contro «il potere», qualunque sia.

Questo passò sui tg mondiali: le facce delle povere mamme, i mazzi di fiori che tenevano in mano, le loro recriminazioni contro il potere insensibile.
E tutto per non aprire una sala stampa da «gestione dell’emergenza».
Per quel che conosco i russi (poco), intuisco il perché: nessuno parla se non è autorizzato, e anche l’ammiraglio in capo, se non sa cosa è successo, non si presenta, perché si vergogna di dire «non so».
Invece è questo che la stampa aspetta: l’ammiraglio sconsolato che dice «non sappiamo» è così »umano»!
In tali conferenze-stampa, dove si tratta di tenere i giornalisti in una stanza (con the e pasticcini, offerti dal Ministero) anziché lasciarli correre in giro alla ricerca di notizie per conto loro, «non sappiamo» è una risposta.
Contribuisce al rumore di fondo.
Meglio se si dice: «Contiamo di sapere di più fra mezz’ora, sta arrivando qui in aereo da Murmansk l’ammiraglio Putilov», perché così i giornalisti restano ancora, in attesa eccitata.
Fino a quando per loro arriva il momento della «chiusura» (il giornale va in macchina e il tg va in onda entro pochi minuti), e allora abbandonano la stanza per scrivere o montare il loro pezzo.  Ormai non hanno più il tempo di cercare le mamme angosciate.

Magari i russi temono che, se indicono una conferenza-stampa, poi saranno costretti a rivelare chissà quali segreti, a dire chissà quali verità.
Ingenui.
E’ proprio nelle conferenze-stampa che si diffondono le menzogne, le versioni ufficiali, che si nascondono i segreti veri sotto segreti falsi e storie inventate: a questo servono le conferenze-stampa.
A che altro se no?

Nella tragedia del Kursk, Mosca lasciò privi i giornalisti di storie inventate.
Al punto che le inventarono gli inglesi, che erano già sul posto con un batiscafo (guarda caso, i resti di un sommergibile inglese si trovavano in quelle ore a 300 metri dal relitto del Kursk). Raccontarono che i marinai russi avrebbero avuto la possibilità di salvarsi se avessero tenuto acceso il motore nucleare, ma che invece lo spensero »per scongiurare la contaminazione radioattiva del mare».
Lo dichiarò nientemeno che Richard Sharp, il direttore della «autorevolissima» rivista militare Jane’s.
Come lo sapeva?
Dallo spionaggio inglese che era sul posto già prima?

Tendo a credere che la notizia fosse totalmente inventata, proprio come quella degli «eroici passeggeri» che su quel famoso aereo, l’11 settembre, si scagliarono contro «i terroristi dirottatori», finendo per cadere in Pennsylvania.
Ma bisogna pasturare la stampa con degli eroi, inventare uno sceneggiato stile Hollywood.
La storia degli eroici marinai del Kursk, che avevano scelto la morte per correttezza ecologica,  servì a far spiccare ancor più «il cinismo di Putin», l’insensibilità dei capi militari, la reticenza «di stile sovietico» di Mosca. 

Si deve constatare che Mosca non ha imparato ancora a pasturare i media.
Così, sulle elezioni, abbiamo solo la versione di Radio Free Europe (Cia) e dell’OSCE coi suoi «osservatori».
Abbiamo la versione di Kaparov, il campione di scacchi e promosso «grande oppositore», di cui non ci vien ricordato che si tratta di un russo che vive ed abita a New York.
Ci tocca elencare le accuse di Radio Free Europe (1).

«Come già fece nel 2003, Russia Unita (il partito di Putin) ha rifiutato di partecipare a dibattiti televisivi» con l’opposizione.
E nonostante ciò, «nei sondaggi, 8 russi su cento dicono di ricordare dei dibattiti con Russia Unita, e il 69% di questi dicono che in quei dibattiti il partito aveva fatto bella figura».
Ciò che, ammettiamolo, rivela qualcosa di tipico della tv come «fonte» per la gente.
Anche in Occidente la gente «ricorda» ciò che ha visto in tv in questo modo preciso.
«Benchè Russia unita abbia tramutato le elezioni parlamentari in un referendum su Putin e il suo programma, i più sanno che il »programma Putin» è qualunque cosa la cerchia interna attorno a lui giudica opportuno sul momento».
Domandiamoci se, noi italiani, sappiamo qualcosa di meglio sul «programma di Berlusconi» o su quello di Prodi o Veltroni.
O se l’Occidente è informato meglio sul programma di Hu Jintao, il capataz della Cina, paese a cui non si tengono quotidiane lezioni di democrazia.

»Le dichiarazioni programmatiche dei partiti minori sono o ridicolizzate, o ignorate dai media russi. Peggio: a causa delle violazioni della correttezza elettorale da parte di Russia Unita, e dal gruppo ’spontaneo’ chiamato Nashi (Noi, i giovani che sostengono Putin, chiaramente organizzati dal partito), i partiti d’opposizione passano il tempo a denunciare e a deplorare tali violazioni. Non hanno letteralmente il tempo di discutere fatti come la ri-nazionalizzazione surrettizia dell’economia e lo smantellamento  sistematico della società civile».

E’ vero.
Ora che ci penso, nemmeno noi italiani abbiamo il tempo di discutere la «surrettizia rinazionalizzazione» dell’Alitalia operata da Prodi, e «il sistematico smantellamento della società civile» perseguito accanitamente, per via fiscale, da Visco e Padoa Schioppa.
Bisogna ricordarsi di parlarne, invece di perdere tempo con la Brambilla e dividerci sulle nozze gay.
«Siccome in Russia la legge non considera propaganda elettorale la pubbliciutà che non contenga un diretto appello al voto, la Commissione Elettorale Centrale ha respinto le lagnanze contro Russia Unita, che ha inondato il paese con T-shirts, taccuini, zainetti e bottiglie di vodka» col proprio simbolo.
Gravissimo.

Nel libero Occidente, queste cose non si fanno.
In USA specialmente, niente T-shirts di partito, niente adesivi da applicare all’auto, niente cappellini e palloncini coi colori del partito. (E niente vodka, questo è vero).
«Il FSB, successore del KGB che ha l’incarico di combattere il terrorismo, ha indagato su un volantino del Partito Comunista  contenente barzellette contro Russia Unita. La polizia ha confiscato materiale della Unione delle Forze di Destra  con vari pretesti, che vanno dal controllo anti-droga alla necessità di esaminare il contenuto alla scoperta di segni di estremismo e di pubblicità occulta».

In USA, l’FBI ha un elenco aggiornato di almeno 150 mila sospetti di «simpatie col terrorismo islamico»: si tratta quasi esclusivamente di cittadini americani, apertamente e fieramente critici di Bush, delle sue guerre e della versione ufficiale dell’11 settembre.
A costoro, in quanto filo-terroristi, viene vietato di salire su un aereo di linea.
«Garry Kaparov, il cui partito non ha potuto nemmeno presentarsi alle elezioni perché il Cremlino ha rifiutato di registrarlo, è stato detenuto per cinque giorni per manifestazione non autorizzata. Ivan Bolshakov, un giovane attivista e candidato alla Duma per Nizhny Novgorod, è stato arrestato il 20 novembre, poche ore dopo aver presentato denuncia contro Putin alla Commissione Centrale elettorale. Farid Babayev, attivista di »Yabloko», è stato ucciso a revolverate in Daghestan dopo aver criticato la manipolazione elettorale del governo della repubblica» locale. (In Daghestan la democrazia tarda ad arrivare. Pare che anche in Sicilia ogni tanto sparino a un candidato. Anche in Calabria).

«Russia Unita ha querelato 11 giornali solo a Saratov, dopo aver vinto una causa per diffamazione che ha rovinato economicamente un giornale locale. Né Putin né la maggior parte degli altri 70 dirigenti di stato, ministri e capi regionali si è dimesso dalla carica per la campagna elettorale. Il governatore di Novosibirsk ha detto che non poteva lasiare la sua carica perché pendevano avvenimenti come la celebrazione del raccolto, l’anniversairo dell’oblast, e l’arrivo dell’inverno».

Nemmeno Veltroni ha lasciato il posto di sindaco di Roma, né Emilio Colombo la carica di senatore a vita dopo essere stato colto a farsi comprare la coca dai suoi agenti di scorta.
Ma naturalmente tutto questo non costituisce obiezione.
E’ ovvio che la «democrazia» si è da tempo trasformata, in Europa e in USA, il un qualche tipo di oligarchia non-eletta.
E’ noto che Bush ha vinto le sue prime elezioni con 550 voti di differenza conquistati in Florida, dov’è governatore suo fratello Jeb, e quei 550 voti sono stati legittimati dalla Corte Suprema.
E’ evidente anche che il «programma Bush» come candidato non era più conosciuto del «programma Putin»:  gli americani non sapevano che c’erano in programma due invasioni della durata di decenni.
E tuttavia, questo non giustifica quella certa atmosfera che spira in Russia.

Voglio dire: perché arrestare Kasparov, continuamente seguito dalle tv occidentali, durante la manifestazione del suo partito forte di una ventina di militanti?
Perché querelare 11 giornali a Saratov?
Sequestrare volantini con barzellette anti-Putin?
Non dare spazio alcuno ai partiti minori?
Questi atteggiamenti forniscono solo una sorta di conferma a Radio Free Europe, quando dice che «la popolarità di Putin è un mito».

Putin è popolare nei sondaggi perché mancano concorrenti, perché i sondaggi avvengono in «un ambiente antidemocratico dove i messaggi politici conformisti sono tambureggiati sulla popolazione di continuo» (come da noi a proposito dell’11 settembre e di Israele vittima eterna, per dare un’idea), e dove «le conseguenze del dissenso sono visibilmente confermate, e vanno dalla perdita di proprietà all’esilio all’assassinio» (si allude evidentemente a Kodorkovsky spossessato dalla Yukos, a Berezovsky il mandante del massacro di Beslan, in esilio a Londra, alla Politkovskaya…).
Ma aggiunge anche, la radio della Cia: «Nessun’altra figura politica in Russia è anche minimamente conosciuta per nome. E persino le persone che appaiono regolarmente alla tv di stato per lodare servilmente il leader sono conoscite dal pubblico per nome» (2).

Si può rispondere che noi, invece, conosciamo i nomi dei sicofanti che elogiano servilmente l’amministrazione Bush nonostante i suoi disastri: sarebbe un lungo elenco di giornalisti e politici, americani e italiani e britannici. Citiamo Giuliano Ferrara, Magdi Allam e fiamma Nirenstein solo come esempi.
Come vedete, i nomi noi li sappiamo: è la democrazia.
Ma non sarebbe una risposta.

Putin e la sua cerchia (che è effettivamente quasi ignota) hanno avuto paura di perdere le elezioni? Al punto da dover azzittire voci marginali e senza possibilità?
Se c’è una eventualità che questo sia vero, allora il problema non è occidentale: chiunque sia capo al Cremlino, l’Occidente commercerà con lui, come commercia coi cinesi (3).
Il problema è per Putin.

Se non ha convinto la sua popolazione, se non è sicuro di questo, vuol dire che nella sua azione c’è un vuoto.
Che non ha affrontato i problemi sociali profondi della nazione, o che non ha dato questa sensazione.
O forse, è il problema dell’autocrazia russa da sempre: controlli e segreti inutili, il vivere in isolamento culturale per cui l’intero Occidente è «nemico», il non saper distinguere gli amici dagli avversari, né i pericolosi dai disturbatori.
Il funzionamento dell’autocrazia dipende (troppo) dall’autocrate.

Eltsin fu un autocrate rovinoso, con buona stampa; gli successe Putin, autocrate che giudichiamo capace e lucido, che ha cattiva stampa.
Ma si tenga conto che Putin fu scelto dall’entourage di Eltsin come successore, perché «fidato», e ne ha rovesciato il programma.
Il prossimo successore che Putin sceglierà, sarà altrettanto «fidato»?
O rovescerà anche lui il lavoro di Putin?

Loro hanno i taciturni siloviki (i vecchi compagni del Kgb), con il loro stile poco consono alle maniere occidentali (4), noi abbiamo la Casta logorroica; e sopra la Casta, i poteri non-eletti dell’eurocrazia, che ascoltano solo le loro lobbies di riferimento, dietro le quinte.
Ma c’è un elemento di superiorità in Occidente: le oligarchie colluse si garantiscono la continuità, ed hanno una solida parte di privilegiati che difendono lo status quo difendendo i propri stipendi non dovuti.
L’atuocrazia pare mancante di continuità, di parassiti sufficienti a costituire un «corpo sociale», e del know-how di manipolazione dei media.

Questo è il commento che possiamo fare, in mancanza di altre informazioni.



1) Robert Coalson, «Five myths about Russia’s elections», ISN, 3 dicembre 2007. Coalson è un giornalista di Radio Free Europe.
2) Coalson:  «Polls consistently show Putin with a popularity rating of 60 to 70 percent. But these polls are part of an antidemocratic system, one where conformist political messages are drummed into the populace constantly while high-profile examples of the consequences of dissent - from dispossession to exile to murder - are frequently reinforced. No other political figures in Russia have even minimal name recognition, and even people who regularly appear on state television to sycophantically praise the leader are not known to the public by name».
3) «La Gran Bretagna resta il primo investitore in Russia, con 20 miliardi di dollari investiti nel primo trimestre del 2007, ha dichiarato l’ambasciatore russoa  Londra Ivan Fedorov nel corso del Forum interbancario alla City» (Ria Novosti, 4 dicembre 2007).
4) Un esempio da Vladimir Churov, il capo della Commissione elettorale Centrale (CEC). Alle accuse degli osservatori occidentali «Si sono svolte in un’atmosfera che ha gravemente ostacolato la competizione», Churov ha risposto: «Io che sono un fisico dell’atmosfera posso dire che in certe regioni le elezioni si sono svolte in un’atmosfera umida, e a Mosca in un’atmosfera inquinata dai tubi di scappamento». Una battuta abrasiva, che ha probabilmente corso in Russia negli ambienti del potere (anche Putin ne dice), ma non in Occidente. Meglio far notare che «i membri della missione europea, intervistati dalle radio dai notiziari della sera, hanno lodato l’organizzazione del voto in Russia. Il mattino dopo, hanno diramato una dichiarazione in cui, mentre notavano il »significativo miglioramento tecnico», si sono detti preoccupati per «la fusione dello stato con un partito politico» e «l’atmosfera di assenza di competizione politica, nonché l’uso frequente di risorse governative» da parte del partito putiniano. (RIA Novosti)
Da noi, le risorse amministrative la Casta se le aggiudica «legalmente», finanziando i suoi media, i suoi parassiti e i suoi politici con denaro pubblico. Quando imparerà, l’autocrate, il savoir vivre democratico?

 
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