>> Login Sostenitori :              | 
header-1

RSS 2.0
menu-1
Il Vescovo di Roma e il Patriarca: insieme a Gerusalemme?
Stampa
  Text size
Bartolomeo I, patriarca di Costantinopoli, primate spirituale delle Chiese d’Oriente, ha voluto essere presente (non accadeva dal 1054, pare) alla Messa di intronizzazione di Papa Francesco. Ed ha spiegato in un’intervista ad Avvenire la sua decisione quasi improvvisa : quando l’ho sentito, fin dalla sua prima apparizione, definirsi ripetutamente vescovo di Roma.

Proprio quella frase che fin dall’inizio ha irritato certi cattolici tradizionalisti, anche brave persone, anche in questo sito. Proprio loro dovrebbero rallegrarsi, perché si aprono grandi speranze per la Tradizione.

È infatti la Chiesa d’Oriente quella che custodisce, e può riaprirci, la Tradizione vivente nel suo senso più concreto e vivo e preciso: ossia la trasmissione orale della testimonianza dei primi apostoli, testimoni oculari di Cristo, e dei loro discepoli diretti dei primi secoli. I quali ricordavano gli insegnamenti di Gesù che non sono nei Vangeli scritti. Questi primi discepoli diretti erano greci di lingua, e la Chiesa greca ne è la vera depositaria. Essa possiede i Padri, che i novatori «pastorali» cattolici hanno troppo facilmente dimenticato.

Vado per ordine, chiarendo che qui mi rifaccio a Dag Tessore, prete ortodosso e laureato in lingue orientali alla Sapienza di Roma (1). Riportiamoci al primo secolo; Gesù è risorto, apparso a molti discepoli, e poi è salito al Cielo. Molti altri credono sulla base delle parole degli apostoli-predicatori, testimoni oculari. È ovvio che questi primi credenti siano assetati di apprendere da loro «tutto» di Gesù, altre cose che non sono nei Vangeli, sia per amore, sia per sapere come regolarsi nelle questioni di vita quotidiana che nei Vangeli non sono contemplate. Il vescovo Papia di Hierapolis (l’attuale Pamukkale in Turchia) che visse tra i 70 e il 130 dopo Cristo, dichiara chiaramente questa sete: «Se incontravo qualcuno che diceva di essere stato seguace degli Apostoli, io subito lo interrogavo su che cosa fossero soliti insegnare Andrea, Pietro, Filippo (...) e gli altri discepoli del Signore». Questo Papia, morto martire, aveva appreso la fede da San Policarpo di Smirne, nato nel 69, che a sua volta era stato discepolo diretto di Giovanni, l’apostolo che aveva posto la testa sul petto di Gesù nell’ultima cena.

Questa fu precisamente, per costoro, la Tradizione. La tradizione orale raccolta dai discepoli, o da allievi successivi la cui discendenza spirituale diretta dai primi uditori di Cristo potesse essere accertata. Questa era «la immutabile e santissima tradizione», il depositum fidei che si tenevano obbligati a trasmettere pena la dannazione eterna; e del cui contenuto erano certi, perché sapevano da dove veniva.

«Nessun eretico potrà indurre in errore chi osserva la tradizione degli Apostoli», scriveva sant’Ireneo (terzo secolo): «Le eresie si sono moltiplicate perché i capi non vogliono istruirsi all’insegnamento apostolico, ma fanno ciò che vogliono seguendo i loro capricci». Tertulliano parimenti denuncia che tra gli eretici «ciascuno modella a suo piacimento il patrimonio dottrinale ricevuto». Non si può essere più chiari.

Decennio dopo decennio, e nei primi Concilii, questo insieme di testimonianze sono state messe per iscritto; e da sempre la Chiesa (ancora unita) pose questa Tradizione a fianco del Vangelo, con pari autorità (ricordate, prego, che Lutero rigettò appunto la Tradizione come autorità: «Sola Scriptura», sancì). Quando nascevano dubbi e disaccordi sull’interpretazione, si riunivano concilii per riprendere le testimonianze ormai scritte dei primi ascoltatori o dei loro discepoli, come quello di Calcedonia, o quello di Nicea che nel 787 dichiarava essersi convocato «all’unico scopo di confermare con voto comune la divina tradizione della Chiesa cattolica».

Seguirono gli scismi; quello degli armeni, dei copti, e infine della gran Chiesa d’Oriente. Ma come ricorda Tessore, anche la Chiesa cattolica attuale ritiene suo dovere essenziale la custodia e trasmissione della tradizione ricevuta. Il Concilio Vaticano II dichiara che «il magistero non è sopra la parola di Dio ma al suo servizio, insegnando soltanto ciò che è stato tramandato» (Dei Verbum n.10). Il guaio è che , come nota il sacerdote greco, «negli ultimi tempi prevale nel mondo cattolico una concezione ecclesiologica secondo cui la Verità non è consegnata una volta per tutte, ma continua ancor oggi, ad essere “rivelata” alla chiesa direttamente da Dio; compito della Chiesa diventa dunque non custodire un depositum, bensì di “cogliere i suggerimenti” dello Spirito Santo che non cessa di assistere la sua Chiesa, modificandola ed arricchendola».

È in base a questa mentalità che neocat, giudaizzanti vari, Enzo Bianchi o il cardinal Martini possono essere, anziché detti eretici, applauditi (dai miscredenti) come «profetici»: è lo Spirito Santo che secondo loro li ispira a forzare il quadro della tradizione, per «arricchire» la Chiesa.

Ora, a questo la Chiesa d’Oriente è un contrafforte formidabile, appunto perché custode della greca patrologia: raccolta in 161 volumi dal padre Migne (Patrologia Graeca). Nel cattolicesimo, invece, la consapevolezza che i primi Padri sono il criterio della verità cristiana è andata via via scemando, fino «ad una quasi totale ignoranza dei Padri e del loro carattere normativo». È il meno che si possa dire: ignoranza.

Si noti: al di là di secoli di veleni, incomprensioni e rivalità, lo stesso Massimo il Confessore nel settimo secolo riconosceva che la Chiesa di Roma ha «la sovranità su tutte le sante chiese di Dio che sono sulla faccia della terra». Nelle loro tradizioni, gli ortodossi, se sono sinceri trovano l’affermazione del primato di Pietro. La decisione improvvisa di Bartolomeo, primo ad andare a visitare il «vescovo di Roma» è un implicito riconoscimento di questo primato nella carità, e sotto la dottrina immutabile. Il fatto che papa Bergoglio si sia rivolto al patriarca chiamandolo «mio fratello Andrea» ha una commovente, delicata valenza teologica: l’apostolo Andrea fu il fondatore della Chiesa d’Oriente, come Pietro d’Occidente. Una delicata allusione che a quanto sembra non è caduta nel vuoto.

Bartolomeo primo ha invitato Francesco a fargli visita ad Istanbul nel giorno di Santo Andrea, il 30 novembre. Di più: l’ha invitato ad inaugurare una mostra che si terrà nel 2015, sul Monte Athos, centro più geloso ed ostile dell’anti-romanità, e ne vedremo delle belle. Ma non basta. Bartolomeo ha proposto al Papa «un pellegrinaggio insieme in Terra Santa in occasione del cinquantesimo anniversario dell’abbraccio a Gerusalemme tra il patriarca Atenagora e Paolo VI»: sarà nel 2014.

Pensate ai due vescovi-fondatori della Chiesa di Cristo che tornano sulle orma di Cristo sotto gli occhi di Israele, finalmente uniti dopo un millennio di frattura. Pensate alla Chiesa che torna a respirare coi due polmoni. Osate pensare se arrivasse pellegrino anche il Patriarca di Mosca, come probabilmente ci sarà quello di Serbia...

Certo, non mi nascondo ostacoli e difficoltà. Ma prego lo Spirito Santo perché ciò si avveri, e ringrazio papa Francesco per la sua sapienza nascosta in tanta semplicità da parroco. Le due Chiese hanno molto da imparare l’una dall’altra: l’una troppo fissa alla Traditio fino a diventare una mummia e uno scheletro, l’altra «troppo» svaporata in un pastoralismo e in una «creatività» circiterista (traduco: pressapochista) che rischia di farne una ONG umanitaria tinta di giudaismo e un po’ New Age. Pericolo di cui papa Bergoglio è ben cosciente. Una ritrovata unione può far tornare la Chiesa Romana a quel rigore liturgico, della bellezza-verità, di cui ancora abbiamo nostalgia; può farlo persino al di là delle intenzioni del nostro caro pontefice argentino, che sembra indifferente al tema. Ma lo Spirito spiri dove vuole.

E buona Pasqua. E inoltre. Nel momento in cui l’altra religione è spaccata dalla sua antica e dolorosa fitna, i sunniti wahabiti alleandosi con il Dajjal per massacrare gli sciiti, chissà che l’esempio della ferita risanata non ispiri anche loro. La Vergine, che anche loro venerano, propizi la cura di questa piaga.




1) Mi riferisco a Dag Tessore, «La donna cristiana», Il Leone Verde, Torino, 2008,introduzione.


Copyright Associazione culturale editoriale EFFEDIEFFE


 
Nessun commento per questo articolo

Aggiungi commento


La Dittatura Terapeutica
L’unica ed estrema forma di difesa da questo imminente, sottovalutato, tragico pericolo particolarmente grave per l’Italia, è la presa di coscienza
Contra factum non datur argomentum
George Orwell con geniale e profetico intuito, previde l’oscuramento delle coscienze, il tramonto della civiltà, l’impostura e apostasia dalla verità che viviamo, quando scrisse “nel tempo...
Libreria Ritorno al Reale

EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.

Servizi online EFFEDIEFFE.com

Archivio EFFEDIEFFE : Cerca nell'archivio
EFFEDIEFFE tutti i nostri articoli dal
2004 in poi.

Lettere alla redazione : Scrivi a
EFFEDIEFFE.com

Iscriviti alla Newsletter : Resta
aggiornato con gli eventi e le novita'
editorali EFFEDIEFFE

Chi Siamo : Per conoscere la nostra missione, la fede e gli ideali che animano il nostro lavoro.



Redazione : Conoscete tutti i collaboratori EFFEDIEFFE.com

Contatta EFFEDIEFFE : Come
raggiungerci e come contattarci
per telefono e email.

RSS : Rimani aggiornato con i nostri Web feeds

effedieffe Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità