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Irlanda batte Draghi (quando si ha un governo)
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È stato un bel tiro del governo irlandese. È avvenuto ai primi di febbraio, ma non mi pare che i nostri media ne abbiano parlato, et pour cause. Provo a spiegarlo per sommi capi.

Antefatto: all’ultimo «salvataggio», era stata creata una bad bank, la IRBC (Irish Bank Resolution Corporation) come struttura di liquidazione di Anglo Irish Bank e Nationwide, due banche nazionalizzate nella precedente crisi 2009-2010. Siccome il Paese aveva perduto la fiducia degli investitori e non poteva più finanziarsi sui mercati, la IRBC aveva ottenuto 30 miliardi di euro dalla BCE, presentando come «garanzia» dei «riconoscimenti di debito» (promissory notes) dello Stato irlandese alla bad bank: in pratica ciò accollava il debito ai contribuenti. Ogni anno, Dublino versava 3 miliardi alla IRBC, che questa girava alla BCE come rimborso del suo debito. Un peso enorme per un Paese, ricordiamolo, di 5 milioni di abitanti; con conseguente austerità senza fine.

Però, il 6 febbraio, alle 17, Bloomberg raccoglie voci di una possibile liquidazione della «bad bank». Momenti drammatici per Michael Noonan, ministro irlandese delle finanze. Se l’informazione si diffonde, i depositanti alla IRBC si affrettano a svuotare i loro conti e i detentori di obbligazioni della banca se ne libererebbero a qualunque prezzo (basso). Il valore della banca si azzererebbe e il progetto di liquidazione in fasi, che doveva cominciare a settembre 2013, fallirebbe.

Noonan decide dunque di fare tutto in una notte, prima della riapertura degli sportelli e dei mercati. La dirigenza della IRBC viene congedata, e la banca affidata alla KPMG, la nota agenzia di consulenza finanziaria. Verso le 20.30, il ministro presenta al consiglio dei ministri un progetto di legge di 52 pagine: esso prevede il trasferimento di tutti gli «attivi» della IRBC alla banca pubblica NAMA e l’emissione, da parte di quest’ultima, di obbligazioni per pagare i creditori. Il progetto è presentato in tarda serata al Senato, che l’approva, e alle 3 del mattino alla camera bassa o assemblea nazionale (Dail): nessun emendamento è tollerato, prendere o lasciare. Il Dail approva. Alle 6 del mattino il presidente Michael Higgins, tornato precipitosamente da Roma, promulga la legge.

La IRBC ha cessato di esistere.

È scomparso il debitore da cui la BCE pretende i 3 miliardi annui di restituzione del «salvataggio». In tal modo, «Dublino ha chiaramente preso in trappola la Banca Centrale Europea, costringendola a trovare un accordo più favorevole al Paese, che la BCE rifiutava da mesi» (così La Tribune, periodico economico francese). Piuttosto che perdere tutto, la BCE accede –con la massima discrezione – ad una rinegoziazione. Dublino non dovrà più pagare annualmente 3 miliardi. Le promissory notes (riconoscimento del debito verso la IRBC) vengono sostituite col versamento diretto alla BCE di un titolo di debito dello Stato irlandese, che maturerà fra 40 anni, al 3% d’interesse. Questa sostituzione farà risparmiare allo Stato irlandese 1 miliardo di euro all’anno di interessi, lo 0,6% del Pil: «Un miliardo in meno di tasse ai cittadini e tagli al bilancio», ha commentato la premier (Taoiseach) irlandese, Enda Kenny. Per una popolazione che è meno di un decimo di quella italiana, è un notevole alleviamento. (Comment l'Irlande a liquidé son fardeau bancaire en une nuit)

Soprattutto: l’obbligazione quarantennale rappresenta il 20% circa del Pil irlandese; quasi un quinto del debito pubblico, che la BCE accetta silenziosamente di monetizzare. Sulla scala dell’Italia, sarebbe come se Draghi ci permettesse di ristrutturare 300 miliardi del nostro debito.

Peggio: la BCE ha violato le sue stesse regole (l’articolo 123 del Trattato di Lisbona) oltrepassando scandalosamente il suo mandato, perché non le è permesso comprare direttamente i debiti emessi dagli Stati dell’eurozona, e invece questo accordo è una forma appena mascherata di prestito diretto della Banca a Dublino. Di fatto, il debito pubblico irlandese si trova ridotto degli ammontari che lo Stato doveva alla IRBC. È per questo che a Francoforte ci si è affrettati a dire, a mezza bocca e sperando che nessuno si sia accorto di quel che è avvenuto, che «l’Irlanda è un caso particolare». Particolare come la Grecia, la Spagna e l’Italia. O come la Dexia franco-belga. Particolare come Cipro, con cui Draghi ha fatto la faccia feroce, fino a spedirle un ultimatum: se Nicosia non adottava il prelievo forzoso sui depositi, la BCE le avrebbe interrotto il programma ELA, che consente alle banche in crisi che non possono più accedere al mercato interbancario di avere le banconote per far fronte alle normali richieste dei clienti – un vero e proprio embargo che avrebbe fatto sparire la liquidità da Cipro, e reso impossibile ogni transazione.

Insomma: la torchia e il terrore verso il Club Med, e la mano leggerissima verso l’Irlanda. Violando le norme da loro proclamate più sacre e inviolabili (come sempre fanno gli eurocrati a loro comodo). E tutti zitti, dimenticando che quando la BCE ha prestato 30 miliardi a Dublino, a garantire il prestito sono gli Stati (i contribuenti) dell’eurozona. Per l’Italia, sono 5 miliardi che Monti si è incaricato di consegnare, primo della classe quanto a «rispetto degli impegni europei». Soldi che tanto ci prende con altre tasse e tagli.

Resta la (magra) soddisfazione di vedere che, per la prima volta dall’inizio della crisi, un governo ha costretto la BCE e i creditori a cedere con una rapida decisione a sorpresa: fra le 20 e le 3 del mattino della notte del 6-7 febbraio. Ecco cosa vuol dire avere un governo vero, e dei parlamentari patrioti.

Pensate solo ad immaginare se la stessa cosa fosse stata proposta alle nostre due Camere da un governo italiota. Pensate la caciare e la cagnara: il numero legale non raggiunto (capirai, alle 3 del mattino), le urla, le accuse reciproche fra «maggioranza» e «opposizione», le raffiche di veti incrociati, le richieste di contropartite, i dibattiti accesissimi e demenziali, i tentativi di inserire emendamenti ad personam anche lì, i deputati che spifferano la manovra «rapida e segreta» ai giornalisti amici sicché la sa tutto il mondo già all’apertura dei mercati, e infine le votazioni nulle, il progetto respinto... e una procura che apre un dossier per reati ipotetici da accertare e manette preventive da far scattare, in forza delle intercettazioni raccolte nella convulsa nottata, e prontamente passate al Fatto Quotidiano....

In Irlanda, quella notte, non c’è stata «opposizione» contro «maggioranza»; nelle Camere non si è discusso né fiatato. Si è preso un provvedimento di guerra con decisione e serietà da tempo di guerra – perché guerra è questa dell’euro – per il bene della nazione. Forse, chissà, ha giocato l’abito della lotta clandestina irlandese.

Ah, avessimo dei politici come loro!


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