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La moschea non è «a» Ground Zero
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Una moschea a Ground Zero? Là dove sorgevano le Twin Towers? Viene da dare ragione a Sarah Palin: «Una provocazione non necessaria». Come minimo, una cosa poco opportuna. Uno si immagina la grande cupola, i minareti con la mezzaluna sopra...

Poi si guarda la mappa di Manhattan, e si scopre che la supposta moschea non sorgerà affatto «a» Ground Zero, ma tutt’al più «nelle vicinanze». Più specificamente: a due isolati («blocchi») di distanza.

Burlington Coat Factory
   Burlington Coat Factory su Walla Street
Chi volesse raggiungere da Ground Zero il luogo dove sorgerà la moschea, dovrà percorrere la West Broadway costeggiando la New York Academy of Sciences, attraversare Barclays street, proseguire costeggiando l’edificio della University of Phoenix, attraversare una seconda strada – Park Place – e girare a sinistra: lì, al numero 51, sorge un vecchio edificio della Burlington Coat Factory, che sarà abbattuto per lasciare posto al centro musulmano. Da lì, nemmeno dalla cima del 13simo piano del futuro edificio si potrà gettare lo sguardo su Ground Zero. Ci sono di fronte ben due edifici, l’Ufficio Fallimenti e il Dipartimento Sanità di New York, che ingombrano la vista. A fianco del futuro centro musulmano c’è un «Amish market». La chiesa cattolica di Saint Peter è molto più vicina allo spazio del World Trade Center , su Church Street. (Visualizzazione ingrandita della mappa)

Inoltre, è difficile definire l’edificio progettato «una moschea». E’ un centro polivalente per la comunità islamica: nei suoi 13 o 15 piani ospiterà una piscina, un auditorium con 500 posti, vari uffici e un luogo di preghiera, l’equivalente di una cappella in un centro cattolico. Nessun minareto, nessun grido del muezzin alle preghiere.

Del resto, a Manhattan esistono due moschee che non hanno mai suscitato polemiche: la «Mashid Manhattan» a quattro blocchi da Ground Zero a Warren Street, è lì dal 1970; la «Masjid al-Farah» è su West Broadway, a 12 isolati da Ground Zero, esiste dal 1985. Nemmeno lì minareti e muezzin. Entrambe sono costituite da un solo locale all’interno di edifici, schiacciato fra shopping center, barbieri di lusso, negozi di delikatessen.




L'edificio della Burlington Coat Factory

Ma allora perchè tutta la canea che travolge i media americani contro questo edificio, con furenti interventi di politici, speciali televisivi, dibattiti eccetera? Gordon Duff dice che tutta la polemica della «Moschea a Ground Zero» è orchestrata da «unagenzia di pubbliche relazioni che lavora per il governo israeliano e il partito repubblicano», come manovra pre-elettorale contro Obama (che c’è cascato). (ISRAEL’S PRE-ELECTION ATTEMPT TO DEFLECT A NEW 9/11 INVESTIGATION)







Non riesco a identificare l’agenzia. Ma una fondazione culturale chiamata «American Freedom Defense Initiative» ha ottenuto di far girare sui bus di New York una pubblicità dove si vedono le Twin Tower in fiamme «a fianco» della moschea (con tanto di mezzaluna), e la scritta: «Perchè qui?». La fondazione pare diretta da Pamela Geller, una blogger anti-musulmana.

Pamela Geller
   Pamela Geller
Una blogger? Ma la sua fama è stata creata dai maggiori network TV (CNN, MSNBC, Fox), che la invitano a parlare anche perchè è sexy. Sicchè la Geller ha potuto ripetere in TV che «Obama è un terzomondista e un vigliacco che piace ai signori della guerra islamici», che «gli ebrei non saliranno mai sul treno di Obama», e che Obama è «nazista» e che la sua riforma sanitaria all’acqua di rose è «nazional-socialista», com’è «nazional-socialista» tutto il partito democratico. Nel 2005 la Geller ha vinto un premio che si chiama «Jewish Israeli Blog Award». Insomma una propagandista dell’odio anti-islamico finanziata. (Evil is made possible by the sanction you give it. Withdraw your sanction)

L’autorità dei trasporti di New York s’è dapprima rifiutata di mettere sui suoi bus il manifesto (anti-semita) della Geller. Lei ha fatto causa ed ha vinto con l’aiuto di un avvocato di nome David Yerushalmi, famoso come fondatore di un’altra fondazione, SANE (Society of Americans for National Existence), che propone leggi per togliere il diritto di voto ai negri e alle donne, e per rendere un reato, punibile con 20 anni di prigione, la professione dell’Islam sul territorio americano. Fortunato uomo d’affari, scrive per il Wall Street Journal Europe, Haaretz, il Jeruslem Post. Ed è uno dei fondatori di un’azienda chiamata Israel Export Development Co., Ltd, evidentemente una compagnia per promuovere l’export israeliano – insieme a facoltosi uomini d’affari ebrei «ardenti sostenitori dello Stato dIsraele» (come dice lui). (RESURRECTION)

Larry Silverstein
   Larry Silverstein
Fra i fondatori della ditta figura Larry Silverstein: l’immobiliarista che affittò dal comune di New York il complesso del World Trade Center poche settimane prima del super-attentato, non senza – eccezionale preveggenza – aver assicurato i due grattacieli separatamente contro gli attentati aerei. Il che gli ha fruttato, come sanno i lettori più avvertiti, un doppio risarcimento dopo l’attentato «islamico».

Resta da chiedersi perchè il (ancora per poco) presidente Obama sia caduto nella provocazione, difendendo pubblicamente la «moschea al World Trade Center» in nome della libertà religiosa e della proprietà privata, il che ha dato a Drudgereport il destro di pubblicare, sotto la foto di Obama, la didascalia strillata: «As-Salamu Aleykum».
Forse la risposta l’ha data il giornalista Mike Whitney, che di recente ha definito Obama «un ologramma» dei poteri forti.

«
Non si riesce a credere – ha scritto Whitney – che uno la cui carriera politica si riduce a due anni come senatore di Chicago e un passato come organizzatore di comunità riesca a padroneggiare questo sistema di dominio imperiale così complicato ed opaco. Naturalmente non è lui a farlo. I veri capi restano nascosti dietro il mantello del governo democratico e delle false istituzioni di Washington. Obama è semplicemente un ologramma per pubbliche relazioni, una faccia simpatica per nascondere le macchinazioni di una mafia globale. Altri, chiunque siano, controllano le leve del potere allo scopo di assicurarsi i migliori vantaggi per sè e i loro referenti». (Kill Hugo?)

Maurizio Blondet


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