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«Blindati i documenti di Banca d'Italia. Anche se dovevano servire per proporre una class action contro le banche. Il Tar del Lazio, con sentenza n. 32135 dell'8 settembre 2010, ha respinto il ricorso presentato dal Codacons che chiedeva di avere accesso ai risultati di un'indagine di Banca d'Italia con oggetto le commissioni di massimo scoperto.

A sostegno della richiesta l'associazione aveva fatto presente che la conoscenza della documentazione era necessaria per corroborare le 2 azioni collettive avanzate da Codacons contro le banche per contestare la pratica diffusa dell'applicazione delle commissioni sugli affidamenti e gli sconfinamenti di conto. Una domanda bocciata però da Bankitalia nel marzo scorso, con una nota che metteva in evidenza come l'eventuale accesso a documentazione amministrativa in possesso della banca è regolato dalla legge n. 241 del 1990 e che, comunque, le informazioni e i dati in possesso dell'Istituto a causa della sua attività di vigilanza sono coperti da segreto d'ufficio.

Il Tar, nel respingere il ricorso, boccia l'interpretazione data dal Codacons alla portata della vigilanza esercitata da Banca d'Italia. Un'interpretazione troppo restrittiva, che confina la vigilanza ai soli 3 ambiti delineati dagli articoli 51, 53 e 54 del Testo unico bancario (vigilanza informativa, regolamentare e ispettiva). Ritenendo che l'indagine in questione non rientrasse in nessuno di questi 3 settori, il diniego ricevuto doveva, per i consumatori, essere considerato infondato.

Per i giudici, però, si tratta di una lettura che affida alla vigilanza un ambito «angusto» che non trova riscontro in altre disposizioni dello stesso Testo unico. Per esempio, l'articolo 4, 1° comma, per il quale «la Banca d'Italia, nell'esercizio delle funzioni di vigilanza, formula le proposte per le deliberazioni di competenza del Cicr previste nei titoli II e III e nell'articolo 107»; l'articolo 128, 1° comma, dedicato alla trasparenza delle condizioni contrattuali e al relativo potere di ispezione assegnato a Banca d'Italia.

Non ha convinto i giudici neppure l'osservazione del Codacons per cui le informazioni richieste, essendo relative alla condizioni negoziali applicate dalle banche ai clienti, avrebbero natura fondamentalmente pubblica e pertanto dovrebbero essere rese accessibili. Per il Tar, invece, l'indagine in questione si è basata non sull'esame analitico della documentazione bancaria sulle commissioni applicate da ogni banca, liberamente accessibili presso qualsiasi istituto, ma sulle risposte fornite a un questionario che prendeva in esame ipotesi teoriche divise per fasce d'importo. Così, «le risposte fornite al questionario sono evidentemente inquadrabili tra informazioni fornite alla Banca d'Italia in adempimento degli obblighi informativi gravanti sui soggetti vigilati e sono, pertanto, coperte dal segreto d'ufficio».

Come pure a essere respinta è stata la tesi fondata sulla distinzione tra attività di vigilanza con esigenze di riservatezza e vigilanza che non presenta tali esigenze e della legittimità del Regolamento dell’Istituto del 1994 che di tale distinzione non si fa carico (1).

Difficile spuntarla con le banche. Già. Il sistema del debito è quello che ingabbia le nostre economie ed impedisce alle nazioni di uscire dal tremendo perenne deficit. Quello che genera le crisi e le porta alle loro estreme conseguenze. Si tratta di un marketing elitario, che genera ricchezza per pochi, pochissimi e povertà per molti, indigenza per moltissimi. E’ stato un percorso lungo e tortuoso, ma ben studiato. Si tratta di un vero e proprio furto, sottrazione indebita di cosa altrui.

L’economia si regge sull’acquisto, sullo scambio, baratto in origine. Valore variabile a seconda dei luoghi, a seconda della disponibilità dei prodotti da acquistare. Dopo il baratto si passò alla moneta, utilizzata come strumento di scambio, appunto. Essa possiede quindi un valore convenzionale (determinato sia dal valore intrinseco, valore reale, del materiale di cui è composta, l’oro ad esempio, sia dalle convenzioni del luogo).

Poi, il salto! Il valore reale fu completamente soppiantato da quello nominale: la moneta viene battuta in metalli (o carta) di poco valore, ma lo Stato (la collettività) continua a garantire il valore della moneta. Iniziano ad emettersi da parte di banche private lettere di cambio a copertura dell’oro, che viene preservato dalla circolazione e custodito in deposito a garanzia del contante emesso.

Dal 1600, sorgono le Banche Centrali, frutto di accordo tra Stati e banche private. La cosiddetta Banca Centrale stampa moneta e presta denaro stampato allo Stato; in cambio le prime ottengono il monopolio sulla moneta stessa.

Attenzione: le Banche Centrali sono società private.

Dal 1900, progressivamente, l’inganno totale. Le riserve auree delle banche costituite a garanzia della resa dell’emesso (moneta battuta) si situano in un rapporto di 1 a 10 tra moneta emessa ed oro realmente posseduto. Il rapporto di 1 a 10, dopo la Prima Guerra Mondiale, in Europa, non è più vincolante.

Dal 1971 neppure in USA. Nel 2005, la FED non comunica più il rapporto soggiacente tra moneta emessa/oro realmente posseduto. Resta un segreto dell’occulto, come quello che piace tanto ai proprietari delle Banche Centrali. Se non esiste una corrispondente copertura reale del valore nominale, allora la moneta reale non esiste più ed è quindi moneta falsa. Questo genera il signoraggio, ossia un potere di redditualità che deriva dalla detenzione della Sovranità Monetaria (potere di emettere in esclusiva i soldi) a costo irrisorio.

Le lire, in banconote, un tempo emesse pagabili al portatore e con la firma del governatore della Banca d’Italia (cosa che aveva luogo in qualsiasi Paese con le relative Banche Centrali), ne indicavano il proprietario, paradossalmente: la banca stessa!, sottraendo alla collettività, che lo ha convenzionalmente determinato, la titolarità dello strumento del baratto.

In pratica, la moneta non è, come dovrebbe, di chi la detiene; la sua detenzione ha già generato in origine un debito di restituzione nei confronti del produttore che, invece, non ha dovuto sopportare costi di sorta (non essendo obbligato a detenere il relativo deposito aureo e vedendosi restituito il valore di facciata, nominale, della moneta, aumentato degli interessi, a fronte del costo esiguo di pochi centesimi per le spese di emissione).

Moneta creata dal nulla; economica virtuale che, però, prima o poi precipita nel vortice della realtà, ed alla fine… qualcuno deve pagare!, con la matematica certezza di un’insolvenza nei confronti delle banche stesse.

Sistema demoniaco! Soluzioni possibili?

Forse, in primo luogo: restituzione della proprietà della moneta al detentore. In secondo luogo: parità reale nello scambio. Ma più di tutto, e certamente, cristianizzare il mondo.

Stefano Maria Chiari



1) Da www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2010-09-09/documenti-banca-italia-vietati

 

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