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Breatharianism
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Il commento di un lettore ad un mio precedente articolo, mi spinge a voler approfondire un argomento, per certi versi affascinante: quello del Breatharianism.
Conoscete il detto: campi d’aria?
Coloro che si dedicano a questa credenza religiosa (altro non è) potrebbero rispondere affermativamente… Ma…

Forse il fenomeno non è a tutti manifesto, si tratta della pratica filosofica ed esistenziale insieme che suppone la innecessarietà di alimentarsi; si vive senza assumere acqua o cibo, ci si nutre semplicemente di aria e di luce.
Il richiamo alla tradizione indù (al respiro universale del Prana), dove l’energia divina latente dell’universo rivive nella persona che ne acquisisca consapevolezza, che giunga alla illuminazione, è evidente.
Del resto la pratica non è sconosciuta a yogin e guru dell’India e neppure all’ascesi cinese del Tai Chi e neanche ad alcune ritualità sciamaniche, come, del resto, sappiamo non è sconosciuto
nel cattolicesimo, che annovera santi che si nutrirono soltanto del Santissimo Corpo del Signore, per moltissimi anni.

In realtà tali filosofie orientali (o moniste in genere), partendo dal presupposto panteista, mirano a divinizzare l’uomo attraverso la percezione e l’armonizzazione del divino in sé, scoperta che avviene mediante la progressiva eliminazione di tutti i processi vitale dell’individuo.
Le pratiche ascetiche e la meditazione, specialmente quella legata all’invocazione di mantra, tendono proprio alla spersonalizzazione dell’«io»; l’individuo deve sparire, confuso nell’originario e sotteso universo spirituale ed energetico onnipervasivo, dove l’«io» si risveglia «dio», per una completa felicità e liberazione.

In questo ambito, il personaggio più noto sulla scena mondiale è senz’altro Ellen Greve, meglio nota con lo pseudonimo (in realtà nome iniziatico, ricevuto per illuminazione, lei dice) di Jasmuheen.
Questa donna non mangerebbe né berrebbe da anni (dal 1993).
Cosa c’è di vero?
Esaminiamo le due ipotesi.

jasmuheen.jpg Ipotesi della frode.
Questa avrebbe avuto conferma da un fallito esperimento della signora, che, confinata
in una stanza di hotel, per una settimana, nel corso di un programma televisivo australiano, dovette interrompere il suo digiuno integrale e ricorrere a cure mediche (1); non c’è che dire, una settimana è un po’ pochino per addurre come motivazione del fallimento lo stress organizzativo di tutto il «contorno mediatico»; del resto, ci sia consentito, chi arriva a nutrirsi del Prana, dovrebbe essere del tutto impassibile a simili pressioni psicologiche, avendo un totale dominio di sé, o no? Medesima sorte per altri personaggi nel settore ai più conosciuti: Wiley Brooks, Hira Ratan Manek e Prahlad Jani.

Seconda ipotesi: si tratta di verità, come potrebbe succedere nel caso del santone indiano che rallenti il battito del proprio muscolo cardiaco o eviti di respirare per moltissimo tempo.
Sono ipotesi possibili… tuttavia, cosa c’è di spirituale in questo?
La domanda non è capziosa né inutile, perché proprio i protagonisti di queste «esibizioni di astinenza alimentare» pretendono di ricondurre la fonte della loro energia vitale ai principi della filosofia orientale, come già detto.
Ma, anche a voler accettare come vere e credibile le storie narrate, forti riserve restano in ordine all’aspetto spirituale delle pratiche proposte.

Questo scetticismo nasce da una considerazione vera ed evidente: se tale energia vitale penetra e satura ogni midollo della persona fino a provocare in lei ringiovanimento costante e benessere reale, perché, ci si chiede, gli antichi maestri di queste ascesi estreme sono tutti morti e tutti continuano a morire?
Chi scrive è convinto che l’essere umano, a causa del peccato d’origine, non sia più in grado di utilizzare la maggior parte delle proprie risorse naturali: è possibile pertanto progredire in certo modo in questa evoluzione e crescita, in questo riappropriarsi del bene perduto; ma la cosa non può avvenire che nel rispetto della Volontà Divina rivelata.
Pretesi collegamenti alla luce cosmica non assicurano pertanto quello che promettono: l’immortalità.
Perché quindi dovrebbero assicurare la beatitudine?
Soltanto un Uomo vinse inequivocabilmente la morte, superandola e dominandola con la sua Resurrezione; e non fu un santone indiano.

Che insegnamento si può dunque trarre dalle precedenti considerazioni?
Certamente una seria ascesi cristiana si apre alla dimensione del vero soprannaturale, mediante
la riscoperta della Vera Fonte della vita, che fa scaturire sorgenti d’acqua viva a chi si abbeveri di questa Linfa vitale; di sicuro, quindi, ci può essere del vero nella innecessarietà di molto di quello che per noi si suppone vitale, come anche nella salubrità del reiterarsi di digiuni ed astinenze, ma l’evidenza del replicato fallimento (brutalmente confermato dalla universalità della morte di chi si sente «divino») nel mancato ottenimento di una insperata liberazione dalla fugacità dell’esistenza deve lasciare perplessi ed accendere la spia della prudenza: del resto Cristo affermò: «Non di solo pane», quindi, significa che si vive anche di esso.

Stefano Maria Chiari




1) http://en.wikipedia.org/wiki/Inedia


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