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Il solo motivo per le larghe intese (e quello vero)
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Sentire Berlusconi, in un comizio, promettere la separazione delle carriere dei magistrati, fa una strana impressione: non si sa se indignarsi della sua faccia tosta o deridere il suo velleitarismo. D’accordo, indignarsi non ci riesce più: dopo questa campagna pseudo-elettorale, siamo tutti esausti. Colti da «indignation fatigue», non riusciamo più a spremere una goccia di adrenalina, né uno schizzo di veleno.

Ma riusciamo ad esalare una stanca incredulità: «Separazione delle carriere?» ma se il Salame non l’ha saputo, o voluto fare quando gli italiani gli hanno dato una maggioranza schiacciante proprio per quello, come pensa di farlo ora?

Con questa legge elettorale - la legge Ciampi, falsamente chiamata legge Calderoli - non avrà la maggioranza al Senato. Nel caso migliore vivacchierà come Prodi, anzi peggio, perché non ha dalla sua i cinque cocainomani-alcoolizzati-decrepiti-miliardari a vita che hanno votato la sinistra come robot. Il Salame li avrà contro, i senatori.

Per di più, Silvio non ha la grinta ideologica di Prodi e di Visco, capaci di andare in fondo ai loro programmi di fiscalismo terrorista. Semplicemente, non ha «le palle» (essenziali in politica, persino in Italia) e l’ha dimostrato. Dovrebbe gestire la depressione economica, la crescita sottozero, il sindacalismo improvvisamente anti-governativo, il leghismo paleo-paralitico di Bossi.

Immagino che Silvio in realtà punti alle larghe intese. Ci punta dai tempi della Costituente con D’Alema. E’ nel suo interesse. Meno certo sia nell’interesse di Veltroni, tallonato da una sinistra cosiddetta estrema molto grossa (se non forte), che diventa più grossa quanto più lui si sposta al centro. Inoltre, sento che l’elettorato in genere è assai irritato da questa prospettiva, «l’inciucio». Eppure c’è un motivo legittimo che giustificherebbe le larghe intese.

Uno solo: la decimazione della Casta e con ciò, la più severa riforma delle burocrazie pubbliche e dello Stato, per metterli al servizio della cittadinanza produttiva. La separazione delle carriere della cosca giudiziaria e la responsabilità civile dei magistrati sono un dovere di civiltà. All’estero, è una realtà pacifica e incontrastata.

In Spagna, un giudice che ha tenuto in carcere un indiziato innocente per qualche giorno in più, è stato condannato a pagare 130 mila euro alla vittima, e sospeso dallo stipendio per sei mesi. In Italia già questo è difficilissimo.

C’è poi da ridurre i pseudo-consigli d’amministrazione delle aziende ex pubbliche ora «privatizzate» per finta, immense mangiatoie di incompetenti.

C’è da riordinare le Regioni (abolirle sarebbe l’ideale) ma almeno renderle responsabili delle loro spese folli e nel Sud del fatto di essersi consegnate alle camorre.

Ci sono da spezzare i nidi di mascalzoni clientelari nelle università, i verminai di assenteisti impuniti dei Comuni, stroncare le «autonomie» microscopiche - troppo piccole per «fare», ma capaci solo a «impedire» e ostacolare.

C’è da riordinare un fisco che di anno in anno aumenta gli introiti del 20% a spese di un Paese che cresce dello 0,5%, e dunque sta dissanguando l’attività economica e il potere d’acquisto; e lo stesso si dica per le banche che estraggono profitti enormi da un Paese che arretra e arranca, in cui le sofferenze su fidi e mutui stanno salendo alle stelle.

Il complesso di disonesta inefficienza e ossessiva, incompetente mania del controllo che chiamiamo «Casta» ci costa, secondo i confindustriali, un punto di PIL ogni anno. Secondo Ricolfi, l’insieme degli sprechi, super-emolumenti, inadempienze, assenteismi e incompetenze pubbliche stratificate sottrae alla società 80 miliardi di euro l’anno: non sarebbe uno sforzo enorme, in teoria, recuperare con snellimenti e semplificazioni e abolizioni di privilegi un 20 miliardi annui, una buona finanziaria in meno ogni anno. Il grasso che cola è lì, e soltanto lì in quell’abbondanza. In teoria.

Perché in pratica si tratta di sottrarre privilegi e prerogative a cosche potenti, politicamente appoggiatissime, che hanno in mano leve reali di potere, capaci di sabotare e paralizzare il Paese. Abbiamo un sentore dalla vicenda Alitalia, che continua ad esistere a dispetto dei santi; qui ci sono da affrontare cento, mille Alitalia.

Solo una grande coalizione dei due (presunti) partiti maggiori potrebbe fare qualcosa: addossandosi alla pari i costi e i danni dello smantellamento delle clientele reciproche, delle guerre sindacali che i sindacati scatenerebbero per i loro fancazzisti e privilegiati di riferimento, delle «autonomie» mafiose intaccate nelle loro malversazioni, delle cosche e lobby colpite nei loro interessi indebiti ma molto concreti.

Solo un accordo coraggioso dei due partiti su un programma del genere potrebbe disciplinare un Paese devastato da secessioni pullulanti, dove ciascun gruppo o comunello o «cittadinanza organizzata» può, mentre affonda nella propria rumenta, bloccare un termovalorizzatore, infartuare una linea veloce, impedire la creazione di una centrale o di una strada; un Paese abituato, da troppi anni di assenza di comando e di presenza di stupide oppressioni fiscali-burocratiche, ad arraffare, ad evadere, alla disonestà necessaria per sopravvivere in una società senza guida decisionale.

Ma c’è questo programma? Se ne indovina l’esistenza? O almeno la volontà, sia pure occulta e inconfessabile in fase elettorale? No, proprio no.

Si indovina invece un’altra motivazione, mezzo confessata, per cui alla fine la grande coalizione si farà. Perché quelli devono fare una cosa impopolare, e la faranno insieme: tagliare le pensioni, e i diritti acquisiti dei lavoratori. E’ questo che intendono per «riforma della spesa pubblica». Non togliere a Ciampi una delle tre pensioni o stipendi, non privare della cocaina il senatore Colombo, né dei voli di Stato ciascuno di loro.

No: taglieranno il grasso dove non c’è. Non che lo vogliano: ma c’è una imposizione europea in questo senso.

L’età pensionabile va innalzata a 67 anni, e la quota di pensione in rapporto al salario diminuita. Il lavoro va reso più «flessibile» (ancora di più). E come raccomanda anzi ordina Trichet dalla Banca Centrale, le paghe non devono essere commisurate al costo della vita (il Belgio, che tenta di farlo, è incorso nei fulmini del banchiere supremo).

Si tratterà di intaccare i diritti acquisiti da chi ha lavorato, pagato contributi e tasse per una vita. I diritti acquisiti di senatori e deputati e magistrati sono intoccabili; quelli della gente, sono toccabilissimi. Questo faranno. Questo, troveranno il coraggio e le palle per farlo.


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