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L’Anarco / Capitalismo
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“Il vero anarchismo è quello liberal/capitalista e non quello social/comunista” (P. Lemieux, Du libéralisme à l’anarcho-capitalisme, Parigi, PUF, 1984, p. 19).

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Il professore Pierre Lemieux (dell’Università del Québec in Canada) nel suo libro Du libéralisme à l’anarcho-capitalisme (Parigi, PUF, 1984)[1] scrive: «contrariamente a ciò che si pensa comunemente, esiste un’altra tradizione anarchica, che non è socialista, ma che è individualista e liberale. Essa è stata  lanciata nel secolo XVIII e XIX da alcuni teorici quali William Godwin[2], Benjamin Tucker[3]; Auberon Herbert, Lysander Spooner ed altri ancora. Questo anarchismo liberal/capitalista o di “destra” sostiene che  gli interessi “egoistici” o “individuali” degli uomini sono armonici solo quando vengono esercitati nella piena libertà e non tramite la coercizione statale o socialista. Quindi occorre rimpiazzare lo Stato con l’estrema libertà di scambio e di contratto. Dunque il vero anarchismo è quello liberal/capitalista e non quello social/comunista» (P. Lemieux, cit., p. 19).

Questo tipo di anarchismo finanziario di destra, elitario, tecnocratico o capitalista viene chiamato “liberale, liberista, libertario e libertino” (P. Lemieux, ivi); mentre l’anarchismo di sinistra, ossia collettivista ed egualitarista ha trascurato volutamente l’elemento economico/finanziario e si è basato solo o prevalentemente su quello socio/politico. Esso avrebbe voluto arrivare alla società libera e senza potere statale mediante la rivoluzione violenta sociale e politica senza riuscirvi, mentre l’anarco/capitalismo vi è arrivato tramite la sovversione finanziaria ed incruenta, che mediante la Gran Bretagna (XIX secolo), gli Usa  (XX secolo) e l’Israele neo-sionista di Netanyahu[4] (XXI secolo), comanda attualmente metà del mondo e cerca di impossessarsi di quell’altra metà (Russia di Putin e Medio Oriente), che ancora le resiste. Da ciò si vede quale sia l’importanza dell’alta finanza, che oggigiorno sorpassa - e di molto - la politica, nell’opera della sovversione mondiale. Infatti è  la finanza apolide che dirige i governi e ne decide le sorti; essa si serve dei governanti come di maggiordomi per realizzare i propri disegni di dominio mondiale e non trascura anzi sovvenziona la rivoluzione intellettuale (v. “Scuola di Francoforte” e “Strutturalismo francese” sessantottino) per sovvertire, se necessario anche con la violenza, l’ordine civile naturale individuale, familiare e sociale.

Pierre Lemieux, schematizzando, scrive: «all’estremadestra” libertaria, si incontra, a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, innanzitutto la famosa Scuola di Chicago e il suo leader Milton Friedman[5], premio Nobel per l’economia nel 1976. […]. Circa allo stesso indirizzo di “destra”, ma un po’ meno radicale, si trova, a partire dagli anni Quaranta, la Scuola Austriaca[6] (nata nei primi anni del Novecento) del liberalismo classico inglese, sintetizzato e riformulato da F. von Hayek, premio Nobel in economia nel 1974, che si è formato alla scuola più filosofico/liberale che economico/liberista di Adam Smith, David Hume, Alexis de Tocqueville. […]. Un po’ più asinistra”, sempre appartenente alla Scuola Austriaca, si situa Ludwig von Mises, nato nella Vienna dell’inizio del Novecento e più tardi anche von Hayek si sposterà un poco più a “sinistra” sulle posizioni di Mises. Secondo la Scuola Austriaca ogni intervento economico dello Stato è inefficace, mentre la Scuola di Chicago sostiene in maniera più radicale che il libero mercato offre e molto più efficacemente tutto ciò che lo Stato fornisce di utilmente buono» (P. Lemieux, cit., p. 20)[7].

Se per Aristotele e San Tommaso l’uomo è un “animale sociale/zoon politikòn”, per i liberisti è un “animale libero/mercante o libero/scambista”.

Anche l’Italia, purtroppo, ha avuto un certo ruolo nel problema attuale del neo-liberismo/anarchista. Infatti  vi fu nel primo dopoguerra una seria disputa in campo liberale tra Benedetto Croce e Luigi Einaudi. Benedetto Croce, da un punto di vista filosofico idealista classico, criticava il termine liberismo, come “gretto utilitarismo, ed egoismo a-morale” (E. Colombo - A. Mingardi, Il coraggio della libertà. Saggi in onore di Sergio Ricossa, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002, p. 164) ed hegelianamente esaltava il primato della politica (E. Colombo - A. Mingardi, cit., p. 168), rivalutando anche un certo ruolo dello Stato in materia economica (vedi Scuola Keynesiana di Cambridge).

Luigi Einaudi (Carrù, 1874 – Roma, 1961)[8], al contrario di Benedetto Croce (Pescasseroli, 1866 – Napoli, 1952), da un punto di vista economico più che filosofico, preferiva parlare di primato della tecnica e tecnologia, dell’economia, della rivoluzione industriale, del mercato e del consumo sulla filosofia e sulla politica.

I neo-liberisti più che a Hegel, si rifanno ad Antonio Rosmini, “il più lucido assertore di una società senza Stato” (Colombo – Mingardi, cit., p. 33). Robert Nozick († 2002), l’ideologo dello “Stato minimo” (Colombo – Mingardi, cit., p. 36) è uno dei massimi rappresentanti del neo-liberismo o anarco/capitalismo.

Costoro si definiscono non solo liberisti, ma addirittura libertari (Colombo – Mingardi, cit., p. 38), ove il libertarismo sarebbe la conseguenza ultima e logica del liberismo economico, figlio del liberalismo politico, e nipote del libertinismo settecentesco (Colombo – Mingardi, cit., p. 40). Ora il libertarismo, è “sinonimo di anarchismo” e i libertariani sono soprattutto e principalmente “sia gli esponenti radicali del liberalismo (…), sia gli anarchici d’ispirazione individual/capitalistica”. Essi negano anche lo Stato minimo (o mini-archismo) e la “legittimità di ogni forma e tipo di Stato”.

Per gli anarco-libertariani, il libero mercato rimpiazza lo Stato, anche lo Stato ‘minimo’ di Nozick e quello ‘leggermente più presente’ dei liberali classici alla Croce e Keynes, il quale ultimo era un economista liberista, che di fronte alla crisi economica del 1929 (molto simile a quella che scuote oggi il mondo a partire dagli Usa nel 2005) dovette ricorrere alla dottrina di un certo intervento, ma non eccessivo, dello Stato in campo finanziario per superare l’impasse di quegli anni[9].

Occorre chiarire che l’anarchismo significa, soprattutto, autonomia e libertà assoluta dell’individuo[10], la società libera senza Stato, esso si basa specialmente sulla libera associazione tra individui. Il libertarismo o primato della libertà è la causa dell’assenza dello Stato.

Quindi è pacifico che vi sono due rami dell’anarchismo: a) gli “anarco/comunisti” (maggioritari in Europa), che fondano l’assenza di Stato sul collettivismo egualitarista; b) gli “anarco/individualisti” (maggioritari in Usa e nel mondo anglo-sassone), secondo i quali l’assenza dello Stato è conseguenza dell’individualismo liberale e libertario e del libero mercato. Ed è proprio questa seconda corrente (“anarco/capitalismo”) quella più coerentemente anarchica. Infatti, il totalitarismo comunista mal si concilia coll’assenza dello Stato, mentre l’individualismo liberale è perfettamente coniugabile con la sua totale eliminazione.

Il libertinismo è sinonimo di noncuranza della fede, d’irreligiosità o di indifferentismo più che di ateismo militante (che è una specie di anti-fede tipica del bolscevismo e dell’anarchismo di sinistra): i libertini non sono contro Dio, ma senza Dio e non se ne vogliono curare neppure per combatterlo, lo ignorano. Il libertinismo è figlio del naturalismo antico e poi rinascimentale, dello stoicismo e dell’epicureismo, dello scetticismo relativistico e tende alla trasgressione morale.

Il libertinismo deriva ultimamente dalla ‘setta del libero spirito’ (XII secolo), di derivazione gioachimita[11], che si basava sul panteismo, il totale edonismo degli istinti (specialmente sessuali), la pratica amoralistica.

Per i liberisti puri, il liberismo è buono in quanto concede la libertà di fare quel che si vuole” (Colombo – Mingardi, cit., p. 44). Il “profitto” è, secondo loro, “l’essenza della libertà”, che è “garantita dall’economia di mercato”, la quale guarda solo al “profitto e ai quattrini” (Colombo – Mingardi, cit., pp. 44-45). Non vogliono alcun limite all’attività individuale e nessun intervento dello Stato in materia economica (Colombo – Mingardi, cit., p. 166).

L’esito di tale libertarismo è volutamente “anarchico”, o meglio è “anarco/individualista” (Colombo – Mingardi, cit, p. 47), corretto dal libero mercato e dal primato dell’economia. Infatti, amano definirsi “liberisti anarco-capitalisti” (con simpatie per la rivoluzione conservatrice inglese, contrariamente a quella progressista francese[12]); essi “prediligono l’individualismo irrazionalistico di tipo anglosassone, all’individualismo razionalistico di stampo francese” (Colombo – Mingardi, cit., p. 42). Si trovano in buona compagnia con Edmund Burke[13] (Colombo – Mingardi, ivi) e Russel Kirk[14]. Si rifanno a “Prometeo, semidio che cercò di rubare il fuoco agli dèi per portarlo agli uomini “ (Colombo – Mingardi, cit., p. 43).

Augusto Del Noce, aveva ben intuito che dopo il crollo del comunismo sovietico, il grande pericolo per l’umanità sarebbe stato quello della società liberal/tecnocratica, consumistica, libertina e libertaria. Egli parlava di “un totalitarismo di nuova natura, assai più aggiornato e più capace di dominio assoluto di quel che i modelli passati, Stalin e Hitler inclusi, non fossero. (…) È il super-partito tecnocratico” (A. Del Noce, Cristianità e laicità, Milano, Giuffrè, 1998, pp. 161-169). La causa dell’irreligiosità del mondo attuale è da ricercarsi, per Del Noce, proprio nel pan-tecnicismo, “nell’agnosticismo di matrice empirista britannica” (A. Del Noce, Appunti sull’irreligione occidentale, in Il problema dell’ateismo, Bologna, Il Mulino, 1964, pp. 293-333).

Del Noce ha messo a fuoco l’enorme pericolosità del liberalismo, figlio del libertinismo settecentesco, ancora più radicalmente a-religioso dell’ateismo marxista, poiché eminentemente agnostico e divenuto nel XX secolo un fenomeno di massa (il “sadismo” della nostra società, che s’interroga sgomenta di fronte a certi fatti di cronaca, apparentemente inspiegabili, ma in realtà conseguenza logica dei principi libertini[15]), mentre nel XVIII era solo elitario. L’ideologia del mondo liberale trascura la Trascendenza e sfocia nella secolarizzazione e nel nichilismo della società opulenta, ove l’unica etica valida è quella della produzione e del consumo, che conduce al relativismo-integrale.

Il liberismo è la conseguenza economica della filosofia chiamata soggettivismo cartesiano e soprattutto sensismo o empirismo, la quale ultima asserisce che l’uomo - come l’animale - ha soltanto una conoscenza sensibile e non intellettuale, che oltrepassando i fenomeni contingenti, arriva alla sostanza delle cose. Tale filosofia è nata in Inghilterra, con Hume, Hill, Spencer, verso la fine del XVIII secolo e lo svolgimento del XIX; essa vorrebbe segnare la fine della metafisica e ci ha condotti, attraverso il pragmatismo americano di James, al “pensiero debole” di Popper[16]. Anch’essa, come il materialismo marxista, nega la spiritualità dell’anima umana, il suo potere di conoscere la realtà sopra-sensibile e rende l’uomo simile all’animale, per cui la conseguenza logica, in economia, è che bisogna lavorare, produrre e arricchirsi. L’unica grande differenza che si scorge tra liberal/liberismo e materialismo storico-dialettico social/comunista è che vi sono due tipi di materialismo, uno più grossier per i proletari e l’altro più radical-chic per i capitalisti; ma entrambe le filosofie su cui si fondano sono false e conseguentemente lo sono anche le loro conclusioni economiche: il più non viene dal meno.

Inoltre mentre il liberismo è animato da una forte propensione all’ingiustizia sociale, fondandosi sull’egoismo individualista; il social/comunismo dice di voler la giustizia sociale ma in realtà produce la miseria più nera, basandosi sull’odio, l’invidia e la gelosia tra le classi sociali. Tra i due sistemi vi è una diversità accidentale e un’opposizione relativa tra individualismo e collettivismo, con una sostanziale somiglianza quanto al primato dell’economia e del benessere materiale.

Pierre Lemieux chiama i liberisti “lasciar-faristi” (Du libéralisme à l’anarcho-capitalisme, cit., p. 21) e si potrebbe aggiungere anche “lasciar-affaristi”, poi si pone la domanda retorica se si possa passare dal liberalismo all’anarchia e risponde citando Raymond Ruyer, il quale asserisce che “il vero anarchismo è il liberismo realizzato, mentre il socialismo si ferma al sentimentalismo e a metà strada” (Eloge de la société de la consommation, Parigi, Calmann-Lévy, 1969, p. 267).

Robert Nozick (Anarchy, State and Utopia, New York, Basic Books, 1974, pp. 290-292) radicalizza la teoria dello Stato “guardia-notturna” dei liberali classici del XIX secolo teorizzando lo “Stato minimo” o la “mini-archia” e critica la democrazia come un falso liberalismo, che rende l’individuo schiavo della maggioranza, ossia della massa. Infatti mentre il liberalismo significa la libertà di tutti e di ciascuno, la democrazia non è la libertà del popolo ma è il potere della massa sull’individuo, di tutti su ciascuno; invece la vera libertà è quella dell’Individuo assoluto (“absolutus/sciolto”) da ogni ente e da ogni legge (Dio e la morale naturale oggettiva) e anche dalla maggioranza.

Il liberale, seguendo Alexis de Tocqueville, oppone la libertà dell’Individuo assoluto al potere del popolo o della massa e in ciò è profondamente elitario e anti-democratico. Dall’elite della nobiltà egli passa all’elite del capitale[17] da quando il capitalista americano ha rimpiazzato il sacerdote/filosofo/cavaliere medievale.

Il liberismo, perciò, critica il democratismo di Rousseau come illiberale[18]. Infatti secondo la democrazia moderna rousseauiana la maggioranza ha il potere di far tutto ciò che vuole ed è essa stessa fonte di “diritto”.

Emile Faguet, un critico letterario  liberale dell’inizio del XX secolo, ha scritto: “il liberale crede alla Libertà dell’Individuo assoluto, il democratico al potere della maggioranza, che può opprimere la Libertà dell’Individuo assoluto, così il beneplacito della massa ha preso il posto del beneplacito del re” (Le Libéralisme, Parigi, Société Française d’Imprimerie et de Librairie, 1902, p. 249).

Robert Nozick riprende questo tema e aggiunge che “la natura della democrazia consiste nel potere o addirittura nel diritto di proprietà del popolo o della massa sull’individuo. La democrazia diventa, così, una vera dittatura della maggioranza, che è analoga a quella del proletariato”  (Anarchy, State and Utopia, cit., p. 282).

Un altro liberale critico della democrazia è Benjamin Constant (De la liberté chez les Modernes, Parigi, Livre de poche, 1980, p. 491), il quale crede ai diritti dell’individuo e pone dei  limiti assai vasti allo Stato, che risulta uno “Stato limitato al solo castigo dei delitti e alla resistenza alle aggressioni, solo così l’esistenza dello Stato non ostacolerebbe la libertà dell’individuo”.

Pierre Lemieux spiega bene che il neo-liberalismo concepisce lo Stato come un’entità, la quale deve impedire che le libertà di un individuo non siano violate da un altro. Dunque la libertà viene considerata dal liberalismo soltanto negativamente: come assenza di coercizione e non positivamente: come facoltà di scegliere i mezzi migliori per cogliere il fine, che è il bene e non può essere il male, poiché l’oggetto della libera volontà umana è solo il bene e, se per sbaglio essa fa il male, lo fa pensando di ottenere un bene apparente, mentre sceglie un male reale; per esempio, colui che si impicca ritiene di ottenere finalmente la sua “felicità” (San Tommaso d’Aquino, S. Th., I, q. 83; De malo, q. 6, a. 1; De veritate, q. 22).

Contro la statolatria assolutistica, la sana filosofia insegna che la Società non è Fine assoluto, in cui i cittadini sono ordinati alla Società come loro Fine ultimo. È la società ad essere ordinata al bene comune dei cittadini considerati in quanto uomini dotati di anima spirituale e fatti ad “immagine e somiglianza di Dio” e quindi ontologicamente superiori alla società (“civitas propter homines et non homines propter civitatem”).

Contro l’individualismo liberale la retta ragione insegna che l’autorità politica ha il dovere di difendere i diritti dei cittadini e che l’uomo considerato come cittadino è una parte della Società e quindi moralmente o politicamente inferiore ad essa (“civis propter civitatem”). L’autorità politica non deve assorbire, ma proteggere i diritti della persona e della famiglia; essa interviene solo ove la famiglia ed il privato non riescono ad andare avanti da soli (principio di sussidiarietà).

L’individuo come parte della Società o come cittadino è moralmente o socialmente subordinato al tutto (specie umana e società civile), ma la Società è metafisicamente subordinata alla persona umana razionale, libera ed immortale, che tende ed è ordinata a Dio. Perciò la Società deve aiutare e non impedire alla persona umana di tendere a Dio tramite la conoscenza e l’amore e non intralciarla con ordini ingiusti e falsi. Civis est propter civitatem, sed civitas est propter hominem.

Il bene del tutto (Società) è moralmente, socialmente o politicamente superiore al bene della parte della Società (cittadino), ma se la parte è considerata come uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio e ordinato a Lui, allora la persona umana ontologicamente è più nobile della Società di cui fa parte[19].

La sana filosofia rigetta sia il liberalismo, che dando valore assoluto alla persona umana la rende superiore allo Stato, sia la statolatria totalitaristica, che afferma la superiorità del bene politico su quello ultimo soprannaturale, per cui la politica e lo Stato sarebbero il Fine ultimo dell’uomo che, in questo modo, verrebbe privato dell’ordine soprannaturale in cambio dello Stato assoluto.

Inoltre, il liberismo rigetta, come perniciosamente falso, l’apologo di Menenio Agrippa secondo cui: “Una volta le membra dell’uomo, constatando che lo stomaco se ne stava ozioso, ruppero gli accordi con lui e cospirarono dicendo che le mani non avrebbero portato cibo alla bocca, né che la bocca lo accettasse, né che i denti lo masticassero a dovere. Ma, mentre cercavano di domare lo stomaco, s’indebolirono anche loro stesse, e il corpo intero deperì. Di qui si vede come il compito dello stomaco non è quello di un pigro, ma che esso distribuisce il cibo a tutti gli altri organi. Fu così che le varie membra del corpo tornarono in amicizia tra loro e con lo stomaco. Così Senato e Popolo, come se fossero un unico corpo, deperiscono con la discordia, mentre con la concordia restano in buona salute” (Tito Livio, Ab Urbe condita, II, 32).

San Paolo, divinamente ispirato, ha ripreso la dottrina sociale di  Menenio Agrippa narrata da Tito Livio e l’ha applicata alla società religiosa, ossia alla Chiesa: «Molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Né l’occhio può dire alla mano: “Non ho bisogno di te”; né la testa ai piedi […]. Anzi quelle membra che sembrano più umili sono le più necessarie. […]. Dio ha composto il corpo affinché non vi fosse disunione in esso, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tute le membra soffrono insieme; e se un membro sta bene, tutte le altre gioiscono con lui» (1 Cor., XII, 4-20).

Benjamin Constant, invece, (De la  liberté chez les Modernes, Parigi, Livre de poche, 1980, citato da P. Lemieux, Du libéralisme…, cit., p. 43) nega che la società civile possa essere paragonata al corpo umano e parla sdegnosamente di “antropomorfismo sociale”. Lo stesso Pierre Lemieux scrive che “la società civile non ha nulla a che spartire con un organismo animato. La società è solo un insieme di inter-relazioni tra individui, i cui fondamenti sono puramente soggettivi” (Du libéralisme…, cit., p. 52).

In più, la coercizione di cui parlano i filosofi neo-liberali è la solo violenza fisica, non quella psicologica, la quale è vera e propria “manipolazione mentale”[20] e che viene esercitata in maniera massiccia nelle società liberali ed edonistiche moderne e contemporanee, tramite la propaganda e la pubblicità “pacifica” dei media, della musica rock, dei rotocalchi rosa, della televisione e ultimamente di certa internetica, ben studiate da Adorno e Marcuse della “Scuola di Francoforte”, la quale - assieme allo “Strutturalismo francese”, secondo cui l’uomo è “un animale selvaggio” (Claude Lévi-Strauss) - ha cambiato realmente e intrinsecamente la mentalità dell’uomo contemporaneo in maniera parossistica a partire dal 1968. Ora la libertà mentale o psicologica è  molto più importante di quella fisica. Infatti si può venire rinchiusi in un gulag e mantenere la propria identità culturale, spirituale e morale, mentre la si può perdere anche totalmente stando a casa propria, bombardato dalla propaganda psicologica. Il totalitarismo comunista ha prodotto i martiri e i filosofi (v. Solgenitsin) mentre l’edonismo liberista produce normalmente abbrutiti mentali e morali “in interiore homine”, che si trovano fisicamente a piede libero.

Robert Nozick (Philosophy, Science and Method, New York, St. Martin Press, 1969, “Coercion”, p. 440-472) spiega che non si può pretendere ragionevolmente di essere vittima di coercizione o violenza se si viene influenzati pacificamente nel modo di agire, di non agire, di far questo o quello. La libertà per i neo-liberisti è, quindi, solo assenza di violenza fisica. La violenza liberale (per esempio, convincere che l’aborto è un diritto della  donna a non accettare una gravidanza indesiderata; che la droga, il suicidio, l’eutanasia sono un diritto di ciascuno per evadere dalla realtà), pluralista, pacifica, psicologica è buona e lecita; mentre quella autoritaria che impedisce fisicamente di farsi o fare del male al prossimo (per esempio, il padre che blocca il figlio, il quale sta tagliandosi le vene o sta drogandosi o spaccia la droga) è condannabile. La legge italiana proibisce ai dottori e agli infermieri di ricoverare in ospedale un uomo che ha tentato il suicidio, se costui anche semi-coscientemente chiede di non essere ricoverato.

Questa è la conclusione assurda cui giunge lucidamente il neo-liberismo anarchico e queste son le leggi che vigono nella nostra società, le quali sembrano campate in aria, mentre sono la conseguenza “formalmente logica” di principi contraddittori come è contraddittorio il liberalismo, che scambia il mezzo (libertà) per il fine (Bene), mentre la sana logica (formale e materiale o minor et major) ci insegna, per il principio evidente di “identità e non-contraddizione”, che “il mezzo = mezzo, il fine = fine e il mezzo ≠ il fine”[21].

Invece per i neo-liberisti la libertà è ciò che l’individuo vuol fare e che la società non ha il diritto di impedire. Secondo Benjamin Constant “la libertà è il trionfo dell’individualità sia sull’autorità sia sulle masse” (citato in P. Lemieux, Du libéralisme…, p. 76). In breve il liberalismo individualista è contro l’autorità e la società civile come è concepita dalla retta ragione elevata a sana filosofia da Aristotele e da S. Tommaso e pure contro la democrazia in quanto dispotismo della maggioranza sull’individuo. È per questo secondo motivo che il neo-conservatorismo statunitense attira a sé le menti degli estetisti elitari e “tradizionalisti” o meglio teo-conservatori alla Joseph de Maistre, che non a caso ammirava Edmund Burke. Attenzione, perciò, a non confondere liberalismo con democratismo, si può essere anti-democratici e liberali senza nessun problema. Henri Arvon (Les libertariens américains. De l’anarchisme individu l’anarcho-capitalisme, Parigi, PUF, 1983, p. 23) scrive : «anche Max Stirner (1806-1856), riguardo alla Rivoluzione francese, sembra paradossalmente vicino al conservatorismo controrivoluzionario di E. Burke (Riflessioni sulla Rivoluzione francese), di de Bonald (Théorie du Pouvoir) e di J. de Maistre (Etude sur la souveranité)».

Lemieux, inoltre, mette bene a fuoco l’elemento soggettivista e cartesiano del liberalismo: “La spiegazione della società richiede un approccio soggettivista, Hayek pensava che le azioni umane son quel che gli uomini pensano che siano e non ciò che sono oggettivamente in realtà, come ritenevano i metafisici. Così deve essere dell’economia, la sua fecondità dipende da un approccio soggettivista a questa materia: il libero mercato è regolato dalle idee soggettive che gli uomini si fanno delle cose e del loro prezzo, che varia col variare delle opinioni umane” (Du libéralisme…, cit., p. 51).

Quindi non è l’ordine e l’ordinatore o l’intelligenza ordinatrice a generare la libertà, ma è la libertà a generare l’ordine. Hayek - alla scuola di David Hume, John Locke, Adam Smith ed Edmund Burke - è forse il maggior rappresentante di questa corrente che Pierre Lemieux definisce “società auto-regolatrice” (Du libéralisme…, cit., p. 55), ossia di un “ordine sociale spontaneo o auto-regolatore e non regolato o ordinato” (ibid., p. 57).

Come si vede la dottrina kantiana della morale individuale autonoma e soggettivista è applicata da Hayek alla società (“lasciar fare, lasciar correre e tutto andrà per il meglio”), cioè come per Kant non è Dio che dà la morale individuale oggettiva all’uomo, ma l’individuo è legge a se stesso; così per Hayek non è Dio che regola la città o la società civile con una morale sociale naturale in quanto l’uomo per natura è animale razionale e socievole, ma l’individuo assoluto o sciolto da ogni legge e entità trascendente si autoregola spontaneamente e liberamente e da questa spontaneità nasce la società ideale e ordinata. In breve dal meno perfetto viene il più perfetto per evoluzione darwiniana “spontanea” e “creatrice”. Ma la società ideata da Hayek somiglia fortemente ai quadri di Picasso, ove l’individuo che si fa chiamare pittore, gettando spontaneamente e liberamente vernice qua e là, genera un disegno molto ben dis-ordinato.

Lo stesso Hayek riconosce che “i teorici liberali come Adam Smith († 1790) furono darwiniani prima ancora di Darwin († 1882)” (Studies in Philosophy, Politics and Economics, Londra, Routledge & Kegan, 1967, p. 104).

San Tommaso d’Aquino spiega magistralmente che l’ordine implica sempre il riferimento ad un principio o causa ordinatrice; ossia la subordinazione di priorità e di posteriorità (cronologica e ontologica) richiede immancabilmente il rapporto ad un primo che funge da principio (S. Th., II-II, q. 26, a. 1; In X Metaph., lez. 4). L’ordine non è un’invenzione della fantasia, un capriccio artificioso aggiunto alla natura della creazione, la quale dipende dall’Intelligenza ordinatrice (In VIII Phys., lez. 6; In III De Coelo, lez. 6). La natura creata di per sé contiene l’ordine alla Causa prima incausata che l’ha prodotta o creata ex nihilo, la quale - essendo l’Ordine stesso per essenza senza alcun disordine - agisce come è (“agere sequitur esse”)  e pone l’ordine nella sua creatura (S. Th.,I, q., 2, a. 3, ad 5; C. Gent., lib. II, cap. 44). “Ciò che Dio ha a cuore principalmente nelle cose create è l’ordine universale” (C. Gent., lib. III, cap. 64). Perciò “tutte le parti sono in funzione della totalità” (S. Th., I, q. 65, a. 2). Il dis-ordine è essenzialmente male o privazione di ordine e di bene (In I Sent., dist. 44, q. 1, a. 2, ad 5). L’ordine è una finalità che Dio ha posto nelle creature e non è il frutto della libera spontaneità umana.

Se la democrazia moderna si rifà ai “Diritti del cittadino” (Rivoluzione francese, 1789), il liberismo britannico si rifà ai “Diritti dell’Individuo assoluto” (Rivoluzioni inglesi, 1649 e 1688). La Rivoluzione francese, per i neo-liberisti, rappresenta una degenerazione totalitaria della massa o della maggioranza sulla minoranza e sull’Individuo, mentre le Rivoluzioni britanniche e quella statunitense (1776) sarebbero la vera Rivoluzione libertaria dell’Individuo rispetto al governo o all’autorità e alla maggioranza o alla massa (cfr. R. Nozick, Anarchy, State and Utopia, cit., p. 9).

Nozick, seguendo Locke, ritiene che ogni individuo non solo è distinto da tutti gli altri, come insegnano Aristotele e S. Tommaso (“individuum est indivisum in se et divisum a quolibet alio”), ma che, addirittura, è separato dagli altri, è  a-sociale e deve vivere solo la sua vita individuale senza mescolarsi in società con gli altri.

Inoltre, secondo Nozick e i mini-archisti, la ragion d’essere, il fine della vita dell’individuo è l’Individuo stesso e non l’Essere trascendente. Quindi l’individuo umano ha una dignità assoluta e inviolabile, ossia infinita, ma ciò significa scambiare la creatura con il Creatore. In breve l’individualismo liberale è una sorta di panteismo libertario.

Stando così  le cose lo Stato, Dio e la Chiesa sono enti che non esistono o non si sa se esistano e dei quali non bisogna preoccuparsi, bisogna vivere come se non esistessero. Si scorge qui la origine nominalista e occamista dell’individualismo liberale.

In altri articoli a venire tratterò le tematiche qui intraviste dell’anarchismo liberista, che sta all’origine del problema dell’ora presente: il neo-conservatorismo sionista e statunitense.

d. Curzio Nitoglia
www.doncurzionitoglia.net




[1] Di cui cito la versione telematica sul sito web http://www.uqac.ca/jmt-sociologue/; cfr anche i siti web http://classiques.uqac.ca/; http://bibliotheque.uqac.ca/. Sul medesimo tema cfr. Pierre Lemieux, L’anarcho-capitalisme, Parigi, PUF, 1988; H. Arvon, Les libertariens américains. De l’anarchisme individualiste à l’anarcho-capitalisme; Parigi, PUF, 1983, A. Nobile Ventura, Il pensiero economico dalla seconda metà dell’800 ad oggi, in “Grande Antologia Filosofica, diretta da M. F. Sciacca, Milano, Marzorati, 1978, vol. XXXI, pp. 473-757; C. Vasale, Il liberalismo, in “Grande Antologia Filosofica, pp. 977-1034; T. Serra, Il pensiero economico dalla seconda metà dell’800 ad oggi, in “Grande Antologia Filosofica”, vol. XXXIV, 1985, pp. 1127-1150; Sergio Ricossa, Dizionario di Economia, Torino, Utet, II ed., 1988, voci “Anarchismo”, pp. 158 ss.; “Austriaca scuola”, pp. 24 ss.; “Laissez-faire”, pp. 258 ss.; “Liberalismo”, pp. 270 ss.; Id., Da liberale a libertario, Milano, 1999; G. Fornero – S. Tassinari, Le filosofie del Novecento, Milano, Paravia - Bruno Mondadori, 2002, pp. 1477-1481; 1496-1499; 1517-1518. 

[2] Goodwin William (1756-1836), economista inglese di tendenza anarco/liberista, ha scritto Inchiesta sulla giustizia politica nel 1793, in cui sostiene che la società civile ostacola il libero sviluppo dell’uomo.

[3] Tucker Benjamin Ricketson (1854-1939), economista e filosofo statunitense, nato nel Massachusetts e morto nel Principato di Monaco, seguace dell’anarchico/socialista Proudhon. È uno dei principali esponenti dell’anarchismo statunitense di “sinistra”. Ha scritto Perché sono anarchico nel 1890 e La Libertà dell’Individuo nel 1926. Ha avuto anche svariati discepoli in Usa, per esempio Jérome Tuccille (Radical Libertarianism, 1971); Murray Rothbard (America’s Great Depression, 1963; Id., The Spooner-Tucker Doctrine: An Economist View, in “A Way Out”, maggio-giugno, 1965; Id., The Student Revolution, in The Libertarian, 1969; Id., Power and Market, 1970; Id., For a New Liberty, 1971).

[4] Benjamin Netanyahu invitò a Gerusalemme, nel 1979, George Bush senior, allora direttore della Cia, a tenere una conferenza per lo “Studio del Terrorismo Internazionale” all’Istituto Jonathan fondato da Netanyahu stesso nel 1976. La  linea ideologico/politica, finanziaria e militare di Netanyahu e dei Bush si fonda sul binomio “Liberismo, Imperialismo”.  Nel 1984 si tenne la seconda conferenza del “Jonathan Institute”, vi parteciparono l’oramai vicepresidente Usa George Bush senior. In quel congresso si stabilì che alcuni Paesi erano i finanziatori del Terrorismo mondiale; essi erano individuati (20 anni or sono) nella Libia, Siria, Algeria, Iraq e Russia. I temi delle due conferenze sono stati ripresi nel libro di Benjamin Netanyahu pubblicato nel 1986  Terrorism: How The West Can Win. “Il libro suscita molta impressione a Washington e viene letto e lodato dal Presidente Reagan, anche grazie ai buoni uffici di George Shultz, mèntore e sostenitore della seconda conferenza e  allora Segretario di Stato Usa” (F. Nicolucci, Sinistra e Israele, Roma, Salerno ed., 2013, p. 105).  Nel medesimo 1984 Netanyahu diventò ambasciatore d’Israele presso l’Onu. Nel 1995 Benjamin Netanyahu pubblicò il suo secondo libro Fighting Terrorism. How Democracies Can Defeat the International Terrorist Network (New York, Farrar-Strauss). In questo libro egli prospettava una seconda Guerra fredda, ove l’Urss è rimpiazzata dai regimi dittatoriali arabi, che dovrà diventare calda e cruenta per non soccombere come fece l’Europa nel 1938. Netanyahu preannunciava la minaccia globale del terrorismo arabo, che  verrà confermata dall’11 settembre 2001, al quale gli Usa son chiamati a rispondere assieme al neo-Israele non più laburista. Inutile dire che questa linea di pensiero e di azione è stata vincente e lo è sino ad ora (v. Gaza, luglio 2014). Netanyahu ha le doti dell’ideologo ed anche dell’organizzatore. Egli non solo ha pianificato un dottrina del neo-sionismo, ma ha fatto crescere attorno a sé una schiera di giovani “cervelli pensanti” (Yoram Hazony, Dore Gold) e un think tank (serbatoio di teste pensanti) chiamato Shalem Center, che si è fatto ascoltare dall’Amministrazione americana. I neo-con statunitensi si sono avvalsi dell’aiuto ideologico e organizzativo di Netanyahu e senza di lui non sarebbero diventati ciò che sono. Netanyahu (cfr. J. Cook,  Israel and the Clash of Civilizations, Londra, Pluto Press, 2007), contrappone alla “terra per la pace” degli Accordi laburisti di Oslo del 1993 (Rabin, Clinton, Arafat) la “guerra per la pace” o la “pace attraverso la forza” del neo-sionismo, che parte dalla categoria del terrorismo mondiale arabo per indicare la necessità di un “antiterrorismo morale” israelo-americano e dare, così, un “taglio netto” alle politiche precedenti democratico/americane e laburiste/israeliane. Il programma ideologico di Netanyahu si compone di due parti, la prima economica e la seconda geopolitica. È interessante notare come dal punto di vista  economico il programma è impregnato di super-liberismo, che in Israele ha soppiantato l’economia dirigista laburista, negli anni (1998-1999, 2003-2005) in cui Netanyahu è stato  ministro delle Finanze israeliane. Infine la questione centrale della politica internazionale è lo Stato d’Israele, non solo in quanto frontiera di uno scontro di civiltà, ma soprattutto perché linea di demarcazione e test psicologico tra chi è per la crescita e lo sviluppo e quindi è  liberista, ossia il neo-Israele e gli Usa, e chi invece è un barbaro antiquato che non è per la crescita e quindi non è liberista, cioè il mondo arabo (G. Gilder, The Israel Test, New York, Richard Vigilante Books, 2009, p. 3 e 15).  

[5] Cfr. David Friedman (figlio di Milton Friedman), The Machinery of Freedom, New York, Harper & Row, 1973; Murray Rothbard, Power and Market, Menlo Park, Institute for Humane Studies, 1970, pp.1-6; Id., For a New Liberty, New York, Macmillan, 1973, pp. 2012-208, 219-252.

[6] J. Huerta de Soto, la Scuola Austriaca. Mercato e creatività imprenditoriale, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003; D. Antiseri – L. Infantino, La Scuola Austriaca di economia, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2001.

[7] In italiano si possono leggere le seguenti opere dei massimi esponenti del neo-liberismo: F. A. von Hayek, Legge, legislazione, libertà. Una nuova enunciazione dei principi liberali della giustizia e dell’economia politica (1973), tr. it., Milano, Il Saggiatore, 1986; Id., La società libera, (1960), tr. it., Formello, Seam, 1998; L. von Mises, Problemi epistemologici dell’economia, tr. it., Roma, Armando, 1988; Id., La mentalità anticapitalistica, Roma, Armando, 1988; Id., Socialismo. Analisi economica e sociologica (1922), tr. it., Milano, Rusconi, 1990; R. Nozick, Anarchia, Stato, utopia (1974), tr. it., Milano, Il Saggiatore, 2005. Vi sono autori ultra liberali che oltrepassano anche la teoria dello “Stato minimo” di Notzick e asseriscono la totale anarchia liberale, libertaria, liberista e libertina, cfr. Murray N. Rothbard, L’etica della libertà (1982), tr. it., Macerata, Liberilibri, 1996; Id., Per una nuova libertà. Il manifesto libertario (1974), tr. it., Macerata, Liberilibri, 2004; M. Friedman, Problemi di economia monetaria, a cura di Mario Monti, Milano, 1969;  Id., Capitalismo e libertà del 1962, tradotta in italiano nel 2010; Id., Liberi di scegliere del 1980, tradotta in italiano nel 1981. Nel 2005 Milton Friedman ha firmato per primo l’appello per la liberalizzazione della marijuana, sottoscritto da oltre 500 economisti statunitensi, suo figlio David segue le orme paterne.

[8] Seguìto in Italia da Carlo Antoni (Trieste, 1896 - Roma, 1959), primo membro italiano della Mont Pèlerin Society), da Bruno Leoni (Ancona, 1913 – Torino, 1967), da Sergio Ricossa e da Antonio Martino (A. Colombo – E. Mingardi, cit., p. 163): tuttavia già molto prima Hayek aveva preso contatti con l’economista Enrico Barone (Napoli, 1859 – Roma, 1926), autore del saggio Princìpi di economia politica, 1911. Attualmente Dario Antiseri (Foligno, 1940) è lo studioso italiano di spicco del pensiero di Popper e di von Hayek incontrati alla luce dello studio del pensiero del cugino di quest’ultimo: Ludwig Wittgenstein (Vienna, 1899 – Cambridge, 1951), sul quale ha discusso la tesi di laurea a Perugia nel 1963 e poi ha pubblicato il libro Dopo Wittgenstein: dove va la filosofia analitica, 1968. Wittgenstein era un filosofo del linguaggio, studiato (Trattato logico-filosofico, 1922; Osservazioni filosofiche, postumo 1953) in chiave anti-metafisica e tendenzialmente nominalistica, apofatica, nichilistica e strutturalistica. Seguono, attualmente, Lorenzo Infantino, Bruno Lai, Enzo Di Nuoscio, Alberto Mingardi e Marcello Pera, il cavallo di razza del teo-conservatorismo “piamente ateo” italiano, alla Giuliano Ferrara ed Oriana Fallaci.

[9] Anche i liberisti son costretti a ricorrere alle casse dello Stato quando il libero scambio o il mercato va in fallimento (1929 e 2005).

[10] Individuo/alismo è, dunque, sinonimo di Ego/ismo, ossia è il culto dell’Individuo assoluto o sciolto da ogni dipendenza da Dio e dalla sua legge. Già San Paolo (Rom., VI, 19-23) scriveva: “chi è schiavo del peccato è libero dalla legge, ma il risultato di questa libertà è la morte dell’anima. Invece chi è libero dal peccato è sottomesso e dipende da Dio ed il risultato è la vita eterna”. In breve chi vuole essere indipendente da Dio e dalla sua Legge (Individualismo) è schiavo del peccato e dell’egoismo, che è radice di ogni peccato, poiché ci fa preferire la creatura o l’Io al Creatore. Mentre chi si sottomette a Dio e alla sua Legge (uomo animale razionale, libero e socievole) è libero dall’egoismo, dal peccato ed è pronto per la beatitudine eterna del Paradiso.

 

[11] Cfr. H. De Lubac, La posterità  spirituale di Gioacchino da Fiore, Milano, Jaca Book, 2 voll., 1983.

[12] Si può, dunque, fare una analogia tra anarco/capitalismo, rivoluzione/ massoneria anglosassone ed empirismo britannico da una parte, ed anarco/socialismo, rivoluzione/massoneria latina ed illuminismo francese dall’altra parte. Le differenze tra i due schieramenti sono soltanto accidentali (l’uno più progressivo e radicale, l’altro conservativo e moderato quanto al modo, ma la sostanza di entrambi è l’agnosticismo sensista, l’individualismo liberale e il liberismo economico).

[13] Colui che grazie al suo saggio Considerazioni sulla Rivoluzione francese del 1790 influenzò Joseph de Maistre ad iniziare a scrivere nel 1791 le Serate di Pietroburgo.

[14] Russel Kirk è nato il 19 ottobre 1918 in America. Nel 1964, superando lo stoicismo al quale aveva aderito, si è convertito al cattolicesimo. È considerato il caposcuola del “Movimento Conservatore Burkiano Americano” del dopoguerra. Nel 1953 ha lanciato la crociata della “Rivoluzione Conservatrice Burkiana”, che ha contribuito a dar nascita al neo-conservatorismo statunitense, è morto il 29 aprile del 1994. Cfr. Marco Respinti, Russel Kirk. Stati Uniti e Francia: due Rivoluzioni a confronto, Bergamo, Edizioni Centro Grafico Stampa, 1995. Kirk è un discepolo di Edmund Burke nato a Dublino il 12 gennaio 1729, anglicano come il padre, mentre la madre era cattolica. Come uomo politico apparteneva alla corrente whig del liberalismo inglese, “nutrito di tradizione lockiana”, sostenne nel 1790 la differenza abissale tra Rivoluzione francese e inglese: “quella del 1688 [era] così giustificata e così legittima (…), tutta sulla linea delle libertà inglesi e del protestantesimo [conservatore anglicano] e quella del 1789, effettivamente sovversiva, scopertamente iconoclasta e atea” (J. J. Chevalier, Storia del pensiero politico, vol. 3, Bologna, Il Mulino, 1986, p. 61). Lo Chevalier spiega che la critica burkiana alla Rivoluzione francese “ non voleva sconfessare il suo liberalismo whig” (ibidem, p. 63). Whig & Tory sono i nomi dei due più antichi partiti britannici, che furono coniati quando Giacomo II stava per salire al trono. Coloro che volevano impedirglielo, perché era cattolico, furono chiamati whigs. Vocabolo con cui si indicavano i calvinisti scozzesi. I fautori di Giacomo II, invece furono chiamato tories (plurale di tory), termine che in un primo tempo indicava i cattolici fuorilegge. Burke “era sì un liberale, ma all’inglese”, ossia moderato e conservatore (ivi). Tuttavia la sua dottrina politica, pur criticando giustamente l’astrattezza del razionalismo illuminista francese, che riponeva eccessiva fiducia nella ragiona umana, era debitrice della filosofia empirista e sensista inglese, la quale svalutava eccessivamente le capacità dell’intelletto umano, riducendolo a pura conoscenza sensibile e non razionale o metafisica. Tale concezione è figlia del pensiero protestante classico luterano, il quale asserisce che l’anima umana (soprattutto l’intelletto e la volontà) è corrotta totalmente dal peccato originale e quindi incapace di conoscere razionalmente la sostanza delle cose e di volere liberamente. Lo Chevalier spiega che Burke aveva “l’orrore per … la  metafisica; il risvolto… era la passione per il concreto” (ibid., p. 63). Anzi “sentimenti, affetti, passioni, signoreggiano sull’animo umano e ne orientano anche gli interessi; di fatto l’uomo a questi obbedisce più che alla sua volontà cosciente e orientata dalla ragione” (ibid., p. 64). Quindi Burke, speculativamente, rappresenta la modernità contro la metafisica, anche se politicamente ha criticato – in modo moderato liberal/conservatore – gli aspetti razionalisti, atei e progressisti del 1789. Domenico Fisichella scrive: “Burke tende a contrapporre  la riforma alla rivoluzione, proponendo la prima come pratica per evitare la seconda […]. Burke è dunque alle origini di una visione “liberale” e “riformista” della destra» (Il pensiero politico. Idee, teorie, dottrine, Torino, Utet, 1999, vol. III/1, p. 121).

[15] Per fare un esempio, quale differenza sostanziale passa tra la madre che pratica l’aborto e le madri o i padri che uccidono i loro figlioletti i quali sono di ostacolo alla loro “voglia di libertà”? nessuna! assistiamo solo ad un accelerazione di un moto diabolico uniformemente accelerato, il quale partendo dalla legalizzazione dell’aborto ha portato alla pratica oramai comune - anche se non legalizzata - di eliminare figli, mogli/mariti, anziani che impediscono di godersi la vita senza troppe seccature.

[16] Per una confutazione di questi errori filosofici cfr. R. Garrigou-Lagrange, Dieu. Son Existence et sa Nature, Parigi, Beauchesne, 1914, 1° vol., sez. II ; par. 12, 13 e 14 « Objections des empiristes et de Kant contre la nécessité et la valeur ontologique du principe de causalité; L’agnosticisme empirique ; Le principe général de l’agnosticisme moderne»,  pp. 83-106.

[17] B. Leoni, Freedom and the Law, New York, Nostrand, 1961; 2a ed., Los Angeles, Nash Publishing, 1972, (qui citata) pp. 119-120; tr. it., Macerata, Liberilibri, 1995; cfr. A. Masala, Il liberalismo di Bruno Leoni, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003.

[18] Cfr. August Friedrich von Hayek, The Constitution of Liberty, Chicago, University of Chicago Press, 1960.

[19] R. Garrigou-Lagrange, Essenza e attualità del tomismo, Brescia, La Scuola, 1947, p. 39.

[20] Cfr. Vladìmir Volkoff,  nato a Parigi il 7 novembre 1932 da genitori russi, emigrati nel 1917, nel 1966 si è trasferito in America, è morto il 14 settembre 2005. Secondo Volkoff la disinformazione cerca di sostituire delle idee false come se fossero buone ad altre - che in realtà sono vere - fatte ritenere come cattive. Si tratta di un condizionamento della mentalità degl’individui, delle famiglie, dei gruppi e dei popoli. Per esempio, al tempo di Gesù il sinedrio fece accettare alla folla la falsa idea che Gesù fosse un criminale sovversivo e irreligioso, così da chiederne la crocifissione. I cosiddetti mass media e la carta stampata sono un potente strumento di dis-informazione. Essi oramai sono in gran parte privati e non più nazionali e dipendono (oltre che dallo Stato, che ne mantiene ancora una certa proprietà) soprattutto da alcune organizzazioni non governative (Ong), che costituiscono un potere autonomo, fondato sulla ricchezza finanziaria, la quale influenza la vita sociale, politica e anche religiosa. La disinformazione, quindi, prima intossica con una falsità (per es., Cristo è un malfattore e un eretico) una persona o un gruppo, poi influenza il loro agire. Si condizionano, in tal modo, gli spiriti e le mentalità, tramite i ‘mezzi di comunicazione’ (il ‘passa parola’, oppure l’informazione pubblica stampata o audio-visiva), secondo il desiderio del ‘padrone’ di essi e così si fabbrica l’opinione pubblica. In lingua francese e  italiana si può leggere: V. Volkoff, La désinformation arme de guerre, Parigi, Julliard, 1986 ; Id., Petite histoire de la désinformation. Du cheval de Troie à l’Internet, Parigi, éd. du Rocher, 1999 ; Id., Il Montaggio, Napoli, Guida, 1993 ; Id., Il Re, Napoli, Guida, 1989; Id., L’interrogatorio, Napoli, Guida, 1990.

[21] Anche F. A. von Hayek (The Constitution of Liberty, Chicago, University of Chicago Press, 1960, pp. 106-107) sostiene che la libertà e la felicità son garantite solo da precetti negativi e fisici (per esempio, non uccidere o non rubare), i quali aiutano a stabilire nella società civile rapporti fisicamente non-conflittuali tra individui.



 
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