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Tante «talpe» a Mumbai
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Un flash. Lo scrive Haarezt: alcuni degli attentatori di Mumbai «avevano preso alloggio nella Nariman House facendosi passare per studenti della Malaysia, ha riferito una fonte. A quanto riporta il Times of India, la polizia sta cercando di capire perchè delle camere nella Nariman House erano state affittate a non-ebrei» (1).

 Molto, molto strano infatti. I Lubavitcher, gestori della Nariman House, non sono famosi per la loro cordialità verso i non-ebrei. Anzi al contrario. Il loro fondatore, rabbi Schneerson, ha sempre raccomandato una rigorosa separatezza fra la razza superiore ebraica e il resto dell’umanità.

Ha scritto: «La differenza tra un ebreo e un non-ebreo si comprende alla luce del noto insegnamento: ‘differenziamoci’. Non abbiamo qui il caso di una persona che sia solo di livello superiore all’altra; abbiamo il caso del ‘differenziamoci’ tra specie totalmente diverse. Il corpo di un ebreo è di qualità totalmente diversa dal corpo di ogni altro individuo delle nazioni del mondo. L’intera realtà ebraica è solo vanità. Sta scritto:.. ‘e gli stranieri cureranno le vostre greggi’ (Isaia 61:5). L’intera creazione esiste solo per il bene degli ebrei».

Da questi principii, il rabbi-messia degli Habad Lubavitcher traeva la conseguenza, ad esempio, che «se un ebreo ha bisogno di un fegato, si può prendere il fegato di un non-ebreo innocente per salvare il primo» (con un trapianto).

Come hanno ripetuto più volte i Lubavitcher intervistati in occasione dell’eccidio di Mumbai, la Nariman House è una casa di accoglienza, aiuto e carità «per soli ebrei», non per altri.

Sì, il movimento Habad-Lubavitcher è fortemente «missionario», ha mandato «più di 3.700 coppie  missionarie in oltre cento Paesi del mondo, 2.600 seminari, campi-scuola, scuole eccetera» (così la Jewish Virtual Library); ma questa attività non è volta ai goym, nè  mira alla conversione dei non-ebrei.

Come spiega David Banon, il più importante studioso dei movimenti neo-ebraici, la missione «si rivolge agli ebrei religiosi, agli ebrei che vivono l’ebraismo al di fuori del movimento Habad, e agli ebrei che si sono allontanati dalla Torà». Ciò perchè, nella  teologia di rabbi Schneerson, «l’anima individuale di ogni ebreo è una particella dell’anima organica del popolo ebraico», e «il carattere dell’anima ebraica è intrinsecamente divino» (2). Perciò i Lubavitcher si adoperano per far cessare ogni divisione ed ogni settarismo fra ebrei: ogni ebreo, anche materialista e ateo, è «divino». Verso i goym, l’attività missionaria dei Lubavitcher si limita all’esortazione ad osservare le «sette leggi noachiche», perchè «la fine dei tempi è prossima».

Dunque non è possibile che a Nariman House i pii gestori abbiano dato alloggio a non-ebrei, ancor meno a studenti della Malaysia, presumibilmente musulmani; non foss’altro per le note questioni di purità rituale e di «separatezza» obbligatoria.
Domanda: gli ospiti poi rivelatisi assassini riuscirono a farsi passare per veri ebrei? O erano veri ebrei, capaci di dimostrarlo esibendo  passaporto israeliano? E poi hanno ucciso i loro ospiti?

Domande continuano a nascerne molte. Oltre alla Nariman House, gli attentatori hanno colpito il Chatrapati Shivaji Terminal (CTS) ossia la stazione ferroviaria suburbana, sono penetrati nel vicino Cama Hospital; hanno sparato nei Taj Mahal Hotel e nell’Oberoi (Trident) Hotel; nel lussuoso Leopold Cafè, nelle vicinanze; ma anche a Crawford Market, e anche l’aeroporto di Santa Cruz, a 25 chilometri di distanza. Hanno agito, secondo il Times of India, almeno in sette posti contemporaneamente. Per 40 ore almeno, una dozzina di terroristi hanno tenuto in scacco 1.200 soldati e poliziotti indiani, continuando il massacro praticamente sotto i loro occhi, e senza mai dormire o riposarsi (3).

Con quale scopo? Secondo i testimoni, ospiti degli alberghi, cercavano persone di nazionalità americana o britannica (ma allora perchè solo 22 sono gli stranieri uccisi, contro i 150 e passa indiani?). Secondo l’unico terrorista sopravvissuto e in mano alla polizia, che viene interrogato, volevano invece far saltare il Taj e ammazzare 5 mila persone; anzi no, il terrorista precisa: il nostro bersaglio erano gli ebrei, proprio quelli di Nariman House.

Questo terrorista interrogato ha qualcosa di strano. Si chiama, a quanto pare, Amir Kasab, 21 anni, e dice di essere pakistano. E’ anche l’unico sopravvissuto. Non solo: è l’unico di cui esiste il video, dove lo si vede entrare con il fucile mitragliatore sottobraccio, zaino in spalla, e il nastrino rosso al polso che sogliono indossare gli indù religiosi dopo una puja. Di tutti gli altri attentatori - tutti ammazzati, ci dicono - non si sono visti nè i cadaveri, nè le foto segnaletiche, almeno fino a questo momento.

Kasab, in ospedale, «rifiuta di mangiare da due giorni e non ha accettato di rivelare niente dei suoi legami», dice un funzionario di polizia allo Economic Times, giornale indiano (4).

Secondo il Times of India (5), invece, l’unico sopravvissuto musulmano con il bracciale indù  parla, anzi canta: «Siamo stati addestrati per un anno in campi organizzati a Laskar - e-Taiba, a Mansera e a Muzzarafabad, nella provincia del Punjab pakistano, Eravamo 24. Dieci di noi sono stati scelti per l’operazione a Mumbai».

Racconta che il suo addestratore era «un ex-soldato pakistano, Abdul Rahman, popolarmente detto Chacha». Che l’addestramento consisteva «in sette fasi»; la prima «molto addestramento fisico» per tre mesi, con corse di 10-15 chilometri; i successivi tre mesi, «nuoto, surf (sic), immersioni e navigazione in alto mare». Per il resto, «addestramento alle armi e munizioni». Insomma, Kasib canta e gorgheggia: almeno così risulta da voci interne alla polizia, perchè noi non l’abbiamo sentito. E’ il solo rimasto (gli altri, cittadini britannici di origine pakistana almeno sette, tutti ammutoliti nella morte), ed è generoso di particolari.

Finita questa fase di addestramento, dice per esempio, i terroristi sono stati mandati a Mumbai «per un breve internato» (sic). Durante questo periodo avrebbero eseguito le ricognizioni dei luoghi, forse persino alloggiato negli hotel a cinque stelle. L’operazione «è stata pianificata a Karachi sei mesi fa». Insomma, è proprio un atto di guerra del Pakistan.

Poi, un altro flash: «La polizia di Mumbai ha contattato la polizia del Gujarat per indagare se i terroristi hanno usato Amar Narayan, il pilota del peschereccio da essi usato, come un infiltrato (mole, «talpa»). Narayan era stato detenuto dal Pakistan per tre mesi per essere entrato illegalmente nelle acque pakistane».

Si tratta dell’uomo ucciso nella sua barca; il suo corpo è stato mostrato da tutte le TV, le mani legate, a faccia in giù. Il poveretto poteva essere una «talpa» del Pakistan? Obbligato a collaborare  dopo essere stato colto a pescare in acque vietate?

La prospettiva apre  ad altre domande: e se la «talpa» fosse invece l’unico sopravvissuto l’unico arrestato (e dunque l’unico a parlare), questo Amir Kasab?  Dopotutto, il solo sopravvissuto è anche colui che è stato ripreso con il braccialetto indù; ed è l’unico che conferma, parlando ampiamente - almeno così riferiscono fonti anonime dlela polizia - , la pista pakistana. Precisamente, Kasab può essere la talpa dei gruppi estremisti indù, ai quali l’eccidio firmato da musulmani può  fruttare una vittoria nelle prossime elezioni generali?

L’ipotesi può sembrare inaudita. Ma la ventila il Quotidiano del Popolo, ossia l’organo ufficiale del partito comunista cinese. Il giornale del regime invita a non sottovalutare la pista indù; i nazionalisti indù hanno un forte interesse a torcere la politica governativa in senso anti-pakistano.

Ahmed Quraishi, giornalista pakistano, vede nella strage «segni di un tentato colpo di Stato a Delhi» (6). Egli scrive: «Sfruttando le paure di una nazione traumatizzata e l’inazione di un governo sorpreso addormentato alla guida, un nucleo di ideologi di destra dell’apparato militare, d’intelligence e politico indiano sta cercando di rovesciare il governo di Manmohan Singh.

L’obbiettivo di questo nucleo è di far emergere l’India come superpotenza fortemente alleata con gli Stati Uniti. Sono eccitati dai piani americani per fare dell’India il poliziotto della regione, e non hanno problemi, per conquistare questo ‘status’, ad antagonizzare Cina e Pakistan. Pensano che il tempo gli manca, e che non vogliono fra i piedi un governo (indiano) esitante».

Per corroborare i suoi sospetti, Quraishi indica tre indizi. Anzitutto, il braccialetto indù al polso del solo terrorista islamico sopravvissuto e parlante. Poi, la pubblicità a tutta pagina comparsa sui giornali di Delhi venerdì, durante il massacro di Mumbai: una macchia di sangue su fondo nero, con la scritta: «Il terrore brutale colpisce quando vuole» e lo slogan: «Combatti il terrore, vota BJP».

Il BJP, Bharat Janata Party, è il più grosso dei partiti nazionalisti indù, attorno a cui si coagulano forze ancor più violente, fra cui il Shiv Sena, il partito estremista indù che è particolarmente forte a Mumbai e nel suo stato, il Maharastra.
Il terzo indizio è il più importante, ed è l’uccisione da parte dei terroristi di Mumbai, fin dalle prime fasi dell’attacco, del capo dell’antiterrorismo indiano, Hemant Karkare.

Karkare aveva smascherato i veri autori dell’attentato esplosivo di Malegaon, 37 morti, avvenuto nel settembre 2006. Rivendicazione islamica: «Student Islamic Movement of  India», che faceva pensare a un gruppo vicino ai talebani («studenti islamici» anche loro). Ma l’anti-terrorismo di Karkare, dopo due anni di indagini, aveva denunciato fra gli autori dell’attentato islamista il tenente colonnello Srikant Purohit, dell’esercito indiano, come fornitore dell’esplosivo militare (RDX) usato da quegli attentatori.

I giornali indiani sono stati pieni di informazioni su questo «false flag» (7): il tenente colonnello Purohit partecipava a riunioni segrete di un gruppo extraparlamentare ultra-nazionalista, l’Abhinav Bharat; e aveva partecipato anche ad altri attentati, sempre nel 2006, dichiarati di matrice islamista.  Altri personaggi vengono arrestati, tutti del giro ultra-indù, fra cui qualche guru, «religioso», e poliziotti.

E quando Karkare ha rivelato questo piano di strategia della tensione? Attenzione: l’8 novembre scorso. Due settimane dopo, è stato ucciso. Non solo lui, ma con lui anche i due suoi colleghi che hanno partecipato all’inchiesta sul «false flag» del  2006.

Karkare aveva ricevuto minacce di morte; la sua immagine era apparsa su tutti i media, alcuni dei quali lo consideravano un eroe nazionale. Il primo giorno dell’attentato al Taj Mahal Hotel, le TV locali l’hanno intervistato mentre era sul posto: e Karkare è stato ripreso mentre indossava, in diretta, il giubbotto anti-proiettile. Poche ore dopo, è stato ucciso: da  tre proiettili al torace.

S’era tolto il giubbotto, proprio durante l’azione? Oppure, magari, è stato colpito da cecchini ben informati dei suoi movimenti, con proiettili penetranti, insieme ai due colleghi-investigatori?

Nessuna spiegazione ufficiale è stata data di questa morte. E nemmeno del fatto che gli uccisori di Karkare sono scappati via col pulmino Skoda della polizia, usato dallo stesso Karkare. Certo è che a questo punto l’indagine sul «false flag» del 2006  può ritenersi bloccata.

Con gran sollievo, certamente, del capo dello spionaggio indiano, Ashok Chaturvedi: il coinvolgimenti nei false flag del suo organismo, il RAW era apparso evidente. Il capo del governo indiano, Manmohan Singh, stava cercando di sostituire Chaturvedi con qualcuno più accettabile.

Altri dubbi, altre domande. Nel Taj Mahal Hotel, si dice, era in corso un vertice indo-EU, con la presenza di funzionari europei. Sono stati colpiti dai terroristi? Sono stati risparmiati?

Si parla anche di persone «dell’intelligence americana» nell’albergo.

Anzi, si fa un nome preciso: Ken Haywood. Personaggio inquietante: la polizia  indiana aveva provato che il computer di Haywood aveva spedito una e-mail terrorista di rivendicazione islamica pochi minuti prima di un attentato esplosivo avvenuto ad Ahmedabad nel luglio scorso (2008).

L’americano Ken Haywood s’è sottratto all’arresto uscendo dal Paese, apparentemente con l’aiuto dell’ambasciata USA. Era in contatto con Abdur Subhan Qureshi, «alias» Tafique Bilal, un grosso terrorista indiano.

Ebbene: secondo la TV indiana TNN, Haywood era tornato in India nel settembre scorso. Guarda caso, proprio l’11 settembre viene data la notizia. (Ahmedabad blasts: Ken Haywood arrives in India 11 Sep 2008, 0215 hrs IST, C Unnikrishnan,TNN).

In Mumbai, Haywood lavorava per una ditta americana, la Campbell White; stranamente, però, non risultava nella lista dei dipendenti. Ancor più stranamente, come ha scritto The Indian Express il 14 agosto 2008, l’ufficio della Campbell White «è situato in due piccole stanze d’affitto a pianterreno del complesso della stazione ferroviaria di Sanpada», e «queste due stanze servono anche come stanze di preghiera della Potter House, che appartiene alla Christian Fellowship Ministries di Arizona» (8).

«Ministri cristiani» dell’Arizona? Abbiamo qui uno dei gruppi di «cristiani rinati» protestanti, apocalittici, molto vicini a Bush, assai attivi in India. Quando si sente parlare di cristiani massacrati da nazionalisti indù, spesso sono convertiti da questi «cristiani» neocon.

Un «Consortium of Indian Defence Website», apparentemente tenuto da militari, scriveva il 20 agosto 2008: «Il fatto che Haywood lavorasse per una cosiddetta sede ‘missionaria’ è doppiamente allarmante.  Il ruolo dei cosiddetti gruppi evangelico-missionari USA in India è molto discutibile, in quanto recitano due parti: una campagna aggressiva di conversioni, e un’opera di destabilizzazione dell’India  attuata dalla CIA. Anni fa Tehelka (un foglio investigativo del Gujarat) ha rivelato che oltre 100 gruppi e organizzazioni evangelici «cristiani» USA sono in realtà facciate per la rete CIA».

«La domanda che oggi si pone è: che collegamento esiste tra la CIA e il SIMI, lo Student Islamic Movement of  India?  E’ il Simi di fatto una operazione CIA?».

Come abbiamo già detto - ma è opportuno ripetere - il SIM rivendicò l’attentato di Malegaon nel 2006, attribuito agli islamici, e invece opera di indù nazionalisti smascherati dal povero Karkare.

Non basta. Il sito suddetto commenta: «Il fatto che Haywood sia fuggito immediatamente dopo la cattura degli esecutori dell’attentato del Gujarat (Ahmedabad, luglio 2008) è altamente sospetto...

Indica che nei nostri servizi di spionaggio indiani abbiamo talpe e informatori che lavorano per agenzie estere, avvertendo agenti che operano nel Paese». E questo è stato scritto il 20 agosto, molto prima del mega-attentato di Mumbai, subito battezzato «l’11 settembre indiano» (9).

Naturalmente, tutto questo contrasta troppo con la versione ufficiale, secondo cui tutto è nato in Pakistan, da quello che viene chiamato «l’ISI deviato». Ci sono tantissime prove e indizi che portano alla pista pakistana. Dunque...

Ancora una volta attenzione: l’ISI, il servizio pakistano,è sempre stato una cosa sola con la CIA.

Per la CIA, ha creato Al Qaeda, ha creato i Talebani; un generale dell’ISI era l’agente pagatore di Mohammed Atta, il cosiddetto capo dei cosiddetti dirottatori dell’11 settembre.

E’ possibile che negli ultimi anni parecchi suoi generali si siano allontanati dal vecchio alleato, che li ha traditi. Ma è certo che gli americani hanno mantenuto nel servizio segreto pakistano delle loro «talpe», loro agenti fidati.

Anzi, ne abbiamo la certezza. Nel settembre scorso, Washington ha fatto pressioni sul governo pakistano perchè licenziasse il capo dell’ISI, generale Nadim Taj, che riteneva sospetto come amico dei Talebani, e lo sostituisse con un uomo più fidato per gli americani: generale Ahmed Shuja Pasha (10). Nell’occasione, Washington  ha anche bloccato l’iniziativa parlamentare pakistana intesa a porre l’ISI sotto controllo civile, cioè del ministero dell’Interno. No, per gli americani, l’ISI deve restare in mano ai militari. Ma ai militari che scelgono loro.

Lo ha scritto molto chiaramente il pakistano Daily Times il 30 settembre 2008: «Si ritiene che Washington eserciti una forte pressione sul Pakistan per la rimozione del capo dell’ISI Nadim Taj e due dei suoi vice, con il motivo del ‘doppio gioco’ che questi farebbero coi militanti (pashtun)».

Poi il giornale spiegava che il neo-presidente Zardari, vedovo della Bhutto, aveva incontrato a New York il capo della CIA, Michael Hayden. Pochi giorni dopo, avveniva la sostituzione al vertice dell’ISI; e subito, il nuovo capo ha decapitato e sostituito vari comandanti regionali del servizio.

Due mesi dopo, ecco il massacro di Mumbai. Ad opera, dicono i giornali e le TV, dell’«ISI deviato». Ma quale ISI, oggi, è «deviato»?



1) «Two israeli missing after Mumbi attack», Haaretz, 30 novembre 2001. «Sources said Kasab’s colleagues killed in the operation had stayed at the Nariman House in the past. ‘They have stayed in Nariman house on rental basis identifying themselves as Malaysian students’. Said a source. Police were trying to determine why Nariman House rooms were given to non-Jews, the Times of India reported».
2) David Banon, «Il messianismo», Giuntina 2005, pagine 115-123.
3) Michael Chossudovsky, «India’s 9/11. Who was Behind the Mumbai Attacks?
4) Washington is Fostering Political Divisions between India and Pakistan», Globalresearch,
30 novembre 2008.
5) «Now, arrested terrorist Ajmal says ‘kill me’», Economic Times, 30 novembre 2008.
6) S. Amed Ali, «Ex-soldier trained terrorists, says Kasab», Times of India, 1 dicembre 2008.
7) Ahmed Quraishi, «Exclusive: Signs of an attempted coup in New Delhi». Ahmedquraishi.com, 29 novembre 2008.
8) Andrew Buncombe, «Indian Police discover RSS Hindu Terror Cell which was pretending to be Muslim‏s», Pak Alert Press, 27 novembre 2008.
9) Citato in «Bruce Reidel, Dawood Ibrahim, and the Bombay attacks», Aangirfan, 28 novembre 2008.
10) Vedi Aangirfan. «Upon his appointment, Lt Gen Ahmed Shuja Pasha implemented a major reshuffle within the Inter-Services Intelligence (ISI), replacing several of the ISI regional commanders. ( Daily Times, September 30, 2008). In late October, he was in Washington, at CIA headquarters at Langley and at the Pentagon, to meet his US military and intelligence counterparts: ‘Pakistan is publicly complaining about U.S. air strikes. But the country’s new chief of intelligence, Lt. Gen. Ahmed Shuja Pasha, visited Washington last week for talks with America’s top military and spy chiefs, and everyone seemed to come away smiling.’ » (David Ignatieff, A Quiet Deal With Pakistan, Washington Post, November 4, 2008). Chosssudovsky, citato sopra.


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