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La NATO è di legno. E Putin ha vinto (ancora)
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Avrete visto il superbo caccia F-35 posato in esposizione al vertice NATO di Newport (Galles), posato leggiadramente nello splendido green del Celtic Manor; la terribile macchina da guerra di quinta generazione, il multiruolo JFS dotato di tecnologia «stealth che i russi non padroneggiano ancora». Insomma l’aereo davanti a cui i leader euro-occidentali si sono fatti fotografare e intervistare da tutte le tv, minacciando come galletti da combattimento la Russia, la nuova nemica?

Ebbene: quel F-34 non era vero. Era un modello in legno in grandezza naturale.

Un «vero» F-35 è stato impossibile farlo volare fin lì, dato che il Pentagono ha interdetto al volo gli esemplari esistenti per magagne al motore, ed altri ben noti ma invincibili guai di progettazione e di esecuzione.

Quanto è simbolico questo! Davanti a questo finto caccia, Anders Fogh Rasmussen ha minacciato: «Attacca un solo membro della NATO e dovrai affrontare tutti noi», annunciando a creazione della nuova e formidabile «forza di spiegamento rapido» che con la sua «continua» presenza nell’Est Europa «tratterà alla spiccia e fermamente ogni minaccia». Davanti al modello in legno David Cameron ha promesso che il Regno Unito fornirà mille uomini per questa «punta di lancia» (spearhead) NATO puntata contro la Russia, nell’insieme composta di 4 mila. Davanti al modello Obama ha impegnato l’enorme potenza della superpotenza. Lì davanti Hollanxde detto «palle mosce» (da Martine Aubry) assicurava che non avrebbe consegnato alla Russia il Mistral già pagato. I media intanto rullavano i tamburi della narratica guerresca, il nuovo Hitler ha invaso l’Ucraina, vuole ricostituire l’URSS, anzi ai tempi degli Zar... «i confini non si cambiano con i cannoni», l’Alleanza è unita come un pugno d’acciaio contro il nemico risorto.

Era tutto di legno. Sopratutto le teste, a cominciare da quella di Rasmussen. Mentre freneticamente i nostri legnosi governanti minacciavano in lingua di legno e muovevano eserciti di legno davanti al caccia di legno, approvando un’esercitazione congiunta NATO-Ucraina su territorio ucraino, Petro Poroshenko gli ha guastato la festa annunciando che aveva accettato il cessate il fuoco propostogli da Putin; esso sarebbe cominciato «tra mezz’ora», e i combattenti di Novorussia s’erano già detti d’accordo.

In pieno vertice NATO, la politica americanista- bellicista è stata polverizzata. Le febbrili «strategie NATO» sono apparse pateticamente nulle, obsolete, l’arroganza futile e grossolana. Davanti al caccia che era però di legno, si è visto come «il vuoto sia diventato la sostanza stessa» dell’occidentalismo (rubo la frase a Dedefensa). Il fatto è che Poroshenko era al corrente della reale situazione sul campo, disastrosa per le forze armate di Kiev prossime alla disfatta, sapeva che combattenti di Novorossia stavano attaccando con successo Mariupol, sul Mar d’Azov «come parte di un chiaro stratagemma russo di aprire una via di terra fra il confine in Ucraina verso la Crimea» ha commentato Richard North di Euroreferendum, «i delegati NATO, apparentemente inconsapevoli della situazione reale (o avendo scelto di ignorarla) ordinavano al Kremlino di smettere di rifornire i ribelli di «armi, combattenti e fondi. Rasmussen articolava la fantasy dichiarando: intimiamo alla Russia di metter fine alla illegale e auto-dichiarata annessione della Crimea. Diciamo alla Russia di arretrare dal conflitto e prendere la strada della pace».

Fantasy è la parola azzeccata. Il neocon Rasmussen s’è preso per lo Jedi, («Che la forza sia con voi»), e il grave è che gli europei e gli americani hanno creduto a questa testa di legno e alla loro stessa propaganda. E non si sono accorti di aver già perso.

A loro onore, va detto che i giornali britannici (spesso gli stessi che sono stati complici di Rasmussen nel testimoniare falsamente di aver visto i carri armati russi invadere l’Ucraina) hanno riconosciuto la vittoria di Putin: egli «ha condotto con successo quella che si può chiamare ‘guerra ambigua’ contro l’Ucraina (...) Qualche osservatore ha definito la campagna ucraina come una nuova arte della guerra», ha scritto l’esperto Daniel Goure. E North sopra citato: «Putin si è voluto sempre affermare come un eccellente capo di Stato certo, ma prudente per principio, abile, moderato, semore alla ricerca di negoziati e compromessi con il blocco occidentale... ed eccolo trasformato in un tattico d’alto livello, poi in uno stratega geniale».

E il Guardian, sull’annuncio della tregua caduto in mezzo al vertice NATO: «Il presidente Putin non avrebbe potuto far meglio se avesse fatto apposta. E forse l’ha fatto. Il giorno stesso in cui i capi NATO scrivevano i loro comunicati finali in Galles, la guerra di cinque mesi in Ucraina finiva, apparentemente con una vittoria della Russia».

Dunque una nuova arte della guerra, un nuovo Sun Tzu è apparso nel mondo? C’è qualche esagerazione. Ma certo è che al confronto della legnosa strategia immobile della NATO, basata su dottrine e pregiudizi di mezzo secolo fa, Mosca ha mostrato una flessibilità e freddezza, capacità di adattamento, di prevenire con la rapidità le mosse altrui, un realismo unito alla capacità di sorpresa (e di contropiede), da emergere come un genio politico-militare. Almeno al confronto dei nanetti di legno, reduci oltretutto da decenni di chiacchiere in «revolution in military affairs», di teorie sulle «guerre asimmetriche» e «di quarta generazione», Putin e Lavrov hanno condotto la guerra di quinta generazione – quella che loro non si aspettavano.

È accaduto lo stesso ne 2008. Quando la Georgia di Shaakashvili, montato psichicamente dagli USA e fornito di armi e addestratori israeliani, credette di prendersi le province russofone di Akbazia e Sud-Ossezia: Shaakashvili e i suoi ebrei gridarono vittoria, poi arrivarono i russi e – con la consueta decisione, abilità ed audacia militare, capacità tattica di rischiare, di sorprendere e di valutare politicamente gli effetti della controffensiva – li cacciarono con perdite, nonostante l’armamento obsoleto, «distruggendo gran parte della capacità offensiva georgiana». Questi neocon e i loro servi occidentali, decisamente, non imparano nemmeno sulla loro pelle.

Fine di un’alleanza?

Interessante notare l’ammissione del Guardian, che certo riecheggia quella dei circoli britannici: «Questa è una guerra che non si sarebbe dovuta combattere, dato che lo schema di un accordo che sarebbe stato accettabile, se non confortevole, sia per la Russia sia per l’Ucraina, era evidente prima che iniziasse». È la stessa voce british che prima incitava Kiev a riconquistare il Donbass ribelle, anzi terrorista, col ferro e col fuoco, perché l’unità del Paese era sacra, e l’Ucraina sarebbe entrata nella NATO e nella UE. Adesso si ammette che l’accordo era delineato prima della guerra, ed è quello proposto da Putin: neutralità e federalizzazione.

Per i Paesi che si sono più esposti in ostilità anti-russa, baltici e polacchi – cagnetti ringhianti perché convinti di aver dietro la NATO, il gigante militare- saranno giorni di riflessione dolorosa. Come ha scritto il già citato North: «La NATO ha proclamato fino al giorno prima di essere al fianco dell’Ucraina, ma in termini militari non lo ha fatto, né mai ha avuto l’intenzione di farlo. Il presidente Poroshenko ha condotto la guerra solitario, rafforzato da fiumi di retorica da parte dell’Occidente, ma non molto altro».

È successo così che mentre Rasmussen si rivoltolava esaltato nella sua fantasy, «i negoziatori di Kiev, a Minsk, sapevano che un’ora in più senza accordo di cessate il fuoco significava più terreno conquistato dai ribelli». Anche i banderisti, neonazisti da operetta e «settore destro» da snuff-movie di Kiev avranno da pensare. Quando si saprà il numero delle perdite dei poveri soldati ucraini, mandati allo sbaraglio da comandanti incapaci e corrotti, senza rifornimenti logistici né di munizioni (cifre a cui non voglio ancora credere parlano di 30 mila soldati morti, in cinque mesi), è possibile che la popolazione li appenda a testa in giù in quella piazza Maidan che hanno conquistato e «liberato» coi soldi americani e gli addestratori polacchi.

Coi loro manovratori USA, i neonazisti sono riusciti a dimostrare quel che dice Emmanuel Todd: «L’Ucraina non è mai esistita come entità nazionale funzionante. È uno Stato falso, e anche fallito. La prova fondamentale dell’incapacità di autogoverno statale ucraino è la parte che hanno svolto (nel regime anti-russo) i leader della parte occidentale (la Galizia, vicina alla Polonia, ndr): numerosissimi i deputati, i Ministri dell’Ovest, che però rappresentano una ben piccola minoranza. La loro salita in potenza mostra a qual punto l’Ucraina centrale, maggioritaria, è atomizzata e incapace di organizzarsi; è pre-statale. L’affrontamento tra l’estrema destra dell’Ovest e i pro-russi dell’Est evidenzia l’inesistenza storica dell’Ucraina. Quelli occidentali vogliono aderire all’Europa, ed è normalissimo da loro punto di vista: movimenti che hanno una storia e una tradizione di collaborazione con la Germania nazista, perché dovrebbero rifiutare di aderire a un’Europa sotto controllo germanico?».

Dopo la disfatta del regime, per Todd l’Ucraina ha un solo destino davanti : «La disintegrazione. Il Pil continuerà a contrarsi, la situazione economica si aggraverà. È possibile che l’Europa la prenda sotto le sue cure, e che venga presa sotto controllo coloniale da Berlino, ma dopo due anni di «cura» dell’Europa a guida tedesca, cosa penseranno le persone a Kiev? Magari vorranno tornare con Mosca. Un sistema che si disintegra non aderisce, continua a disintegrarsi».

E anche la Polonia non è in buona posizione. Ad essere nei panni di Tusk o Sikorski, poi, avrei molto da dubitare sulla utilità di farsi proteggere dalla NATO. E la nuova forza di reazione rapida insediata in Lituania, siamo sicuri che sia una garanzia? O non piuttosto un grave pericolo per l’interesse nazionale lituano?

Il blocco euro-americano ha beninteso le sue carte da giocare, i suoi colpi bassi e le sue provocazioni e false flag, per recuperare... C’è fa chiedersi però se questa aggressione artificiale, che aveva lo scopo di espandere la NATO e di farla risorgere nuova e splendente, come Atena armata dalla testa di Zeus, non possa segnare l’inizio del suo sgretolamento e della sua caduta in polvere. La sua hubrys porterà alla sua autodistruzione?

Gli europei più lontani dal teatro stanno calcolando che con le sanzioni alla Russia, sono solo loro i soli che ci perdono. E almeno i meno forsennati hanno ragione di concludere che – adesso che c’è il cessate il fuoco – le sanzioni vanno tolte al più presto, onde riprendere i normali rapporti commerciali con Mosca. Washington e Londra (e Sion, membro di fatto dell’Alleanza) saranno duri sulla continuazione dei «costi da infliggere a Putin»: ciò provocherà una divaricazione d’interessi sempre più evidente che (speriamo) si muterà in discordia aperta fra i Paesi dell’Alleanza.

L’assenza di leadership americana, l’assenteismo di Obama, lo scacco di una strategia idiota e rozza, la mancanza di solidarietà fra i «nuovi membri» dell’Est e i solidi membri del Sud, potrebbe portare un vento di liberazione dal tallone di Washington, se la paura si tramuta in disprezzo – come dovrebbe, una volta appurato che il F-35 è di legno, e che gli USA non sono lontani dall’essere «una tigre di carta» (come profetizzò Mao).

In questo senso è forse rivelatrice un’intervista lasciata alla Deutsche Wirtschafts Nachrichten dalla nuova Alta Rappresentante UE – la nostra Federica Mogherini: dopo aver usato le espressioni obbligate della lingua di legno anti-russa, ha ammesso: «La UE è nel fondo delle tenebre... Siccome scalpiccia nell’oscurità, essa agisce con una risolutezza ancora più febbrile». Frase in cui sembra di cogliere un lieve umorismo e una tinta di disprezzo.

A questa Mogherini concederei il beneficio del dubbio: era detestata come anti-russa, e sospetta per certe battute a favore dei palestinesi di Gaza. Poi ha detto che «Mosca non è più un partner della NATO», ma nello stesso tempo – e proprio nei giorni del più frenetico bellicismo europoide – ha chiarito che la soluzione per l’Ucraina non poteva essere che nel negoziato, e l’ha detto con parole evocavano la «neutralità» (no all’Ucraina nella NATO) e la federalizzazione, ossia ciò che Putin chiede dal principio. Vedremo.

Per intanto, una cosa si può consigliare al governo Renzi: dei cento F-35 che ci siamo obbligati ad acquistare, compri i modelli in legno. Stesse prestazioni, costo minore. Un figurone sui prati da golf.




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