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Saakashvili diventa filo-turco. E filo-Iran
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Ricordate Mikhail Saakashvili, il presidente della Georgia?

Nessuno era più filo-americano e filo-israeliano di lui. Si fidava di Bush e di Condolezza Rice, che non risparmiavano sforzi per far entrare la Georgia nella NATO. Si fidava di Israele al punto che nel giugno 2008 attaccò la provincia secessionista dell’Ossetia  (protetta da Mosca) su istigazione israeliana, che gli aveva fornito armi, istruttori militari (due generali, Yasrael Ziv e Gal Hirsh, che avevano appena perso contro Hezbollah in Libano), e persino due ministri: il ministro dei negoziati per il Sud-Ossetia era un sionista giunto fresco fresco dall’unica democrazia del Medio Oriente, tale Temur Yakobashvili (figlio di Yakov), e il ministro della Difesa David Kezerashvili  (figlio di Kazar), entrambi più fluenti in ebraico che in georgiano.

Dopo i primi successi delle truppe georgiane nell’aggressione, Yakobashvili aveva pubblicamente esultato:

«Gli israeliani devono essere fieri delladdestramento che hanno dato ai soldati georgiani... Ora speriamo nellassistenza della Casa Bianca, perchè la Georgia non può vincere da sola».

La Casa Bianca mostrò i muscoli con un’esercitazione militare nel Mar Nero, ma niente di più. Anzi, la guerricciola di Saaksvili contro la Russia indusse anche i più servili membri della NATO a liquidare ogni ipotesi di accoglierlo nell’alleanza. Dopo l’inevitabile sconfitta, Saakashvili s’era lagnato: «Israele ci ha svenduto...». (What Israel Lost in the Georgia War)

Sono seguiti mesi di difficoltà per il presidente georgiano, contestato all’interno per il suo avventurismo, e isolato da Europa e da Mosca. Ma ora, d’improvviso, Saakashvili è uscito dalla sua eclissi. Ed è molto, molto cambiato.

Lo si è visto il 17 maggio scorso a Batumi, quando ha accolto il premier turco Recep Erdogan per inaugurare un hotel Sheraton in questa cittadina di vacanze sul Mar Nero, edificato con capitali turchi. Saakashvili ha salutato Erdogan in lingua turca, e subito lo ha lodato per aver cercato di disinnescare il confronto tra l’Iran e l’Occidente a proposito del nucleare persian: «Un passo avanti diplomatico» che solo la mala volontà occidentale aveva impedito di tradursi in «vittoria della diplomazia per lIran, lEuropa, lAmerica, la Turchia e... la Georgia». Il conflitto dell’Occidente con l’Iran è infatti «questione di vita e di morte per i piccoli Paesi», ha concluso.

Che cosa intendeva Saakashviki? Apparentemente, sospetta che Obama abbia ottenuto da Mosca il voto a favore delle sanzioni all’Iran, pagandolo con il riconoscimento dell’egemonia di Mosca nell’ex cortile sovietico, Georgia e sud-Ossetia comprese. Ha i suoi motivi per temerlo, visto che è già stato «venduto» da Usrael. E dunque Saakasvilhi vedeva di buon occhio una soluzione diplomatica della crisi iraniana che non richiedesse l’assenso della Russia, gestita dalla diplomazia di un Paese, la Turchia, che non è il solo a vedere come la solida potenza, economica e politica, la cui influenza si estende dai Balcani all’Asia Centrale. (Georgia Supports Turkey’s Bigger Regional Role)

Manouchehr Mottaki
   Manouchehr Mottaki

Per  sottolineare il nuovo corso, Saakashvili ha fatto di più: ha invitato in visita il presidente Ahmadinejad. In vista di questo viaggio è arrivato in Georgia Manouchehr Mottaki, il ministro degli Esteri iraniano; mentre una riunione della commisione intergovernativa irano-georgiana si terrà a Teheran con la partecipazione dei primo ministro georgiano Nika Guilauri.

Evidente il tentativo di Saakashvili di vincere l’isolamento in cui s’è cacciato ad Ovest, tendendo una mano all’Oriente asiatico, specialmente al Paese che soffre un simimile isolamento.

Il tentativo è abbastanza serio da aver indotto il ministero degli Esteri di Mosca ad esprimere  preoccupazione per questa cooperazione fra Georgia ed Iran.

«La Russia spera che questa cooperazione non sarà diretta contro Paesi terzi», ha detto il portavoce russo, non senza lodare comunque l’avvicinamento: «Rispettiamo lintenzione degli Stati sovrani di promuovere rapporti di amicizia e di buon vicinato, tanto più fra Paesi che si trovano in una regione tanto complicata».

Sia chiaro, ha aggiunto il portavoce Nesterenko, che la Georgia non può avere un ruolo qualunque sulla questione del nucleare iraniano, «vista la debolezza della sua attuale posizione sulla scena internazionale, il comportamento volontarista della sua amministrazione e lassenza di possibilità reale di influire sulla questione».

E’ chiaro il timore russo: quello di non essere più il solo «salvatore necessario» per l’Iran, suo cliente privilegiato ma di cui si guarda bene dal diventare alleato, come dimostra il fatto che non gli ha ancora consegnato i missili anti-aerei SS-300 e sta ritardando il completamento della centrale di Busher, senza tuttavia spingersi a un rifiuto definitivo ed esplicito, tanto per tenere Teheran sulla corda.

E non è certo dalla Georgia che teme di essere sostituita come fornitore strategico dell’Iran. E’ l’impetuoso emergere di Ankara come promotore e centro di un blocco contro-egemonico in una vasta area che comprende l’Asia ex-sovietica.

L’attività diplomatica turca come mediatrice di conflitti è ignorata dai media occidentali, ma è sorprendente: piccolo esempio, il governo Erdogan  ha convinto la Serbia ad inviare un ambasciatore nel Kossovo. Può sembrare un piccolo successo, ma è un risultato che non è riuscito a tutta la pseudo-diplomazia europea in decenni di
occupazione, bombardamenti e intromissioni, e il risultato di un intenso sforzo diplomatico costante e cordiale. Ed indica che l’influenza di Ankara sta coinvolgendo parti del mondo ortodosso (storicamente protetto da Mosca) e cristiano, come dimostrano le aperture all’Armenia e alla Georgia.

Una politica cordiale anzichè minacciosa, «ottomana» nel senso migliore («romana», vorremmo poter dire) che non considera nessuno dei Paesi attorno «Stati canaglia» o «Stati terroristi», e nemmeno «Stati clienti» usa-e-getta; e nello stesso tempo energica verso lo Stato paranoide che minaccia tutti i vicini più deboli, Israele.

E’ ovvio che Siria e Libano, Albania e Bosnia, ma anche Armenia e Georgia comincino a vedere Ankara come la grande protettrice. (Géorgie-Iran: la coopération ne doit pas être dirigée contre des pays tiers)

Paradossalmente, in questo sviluppo, Mosca si trova dalla stessa parte di Washington. Non a caso una allarmatissima Hillary Clinton s’è precipitata a compiere un tour delle capitali del Caucaso (quelle delle rivoluzioni colorate, pagate dagli USA) nello sforzo di riprendere in mano la situazione, e far capire chi comanda.


Georgia's President Mikheil Saakashvili (R) and U.S. Secretary of State Hillary Clinton attend a news conference in Tbilisi July 5, 2010

E’ andata a fare appello ad Azerbaijan ed Armenia perchè «risolvano i loro conflitti», è andata a dire ad Erdogan che «spetta alla Turchia completare la normalizzazione con lArmenia», eccetera. Un insieme di interventi patetico-ridicoli, perchè proprio in queste questioni la Turchia è già attiva (fin troppo, secondo Washington e Mosca), e il suo prestigio come mediatore è stata rafforzato enormemente (1), agli occhi dei piccoli Paesi, proprio dal generoso sforzo compiuto col Brasile per risolvere la questione nucleare iraniana: con una proposta che l’Iran aveva accettato.

Nel Caucaso si sa bene chi ha fatto fallire questo accordo e perchè: la Turchia è interessata alla stabilità dell’area, mentre è noto chi vuole destabilizzarla (2).

Il cambiamento di fronte di Saakashvili è l’indice di uno smottamento e di un rovesciamento di fronti, di esito imprevedibile. Viviamo in tempi interessanti.

 



1)
Mentre arrivava la Clinton ad Ankara, il presidente Abdullah Gul era in Kazakistan, ufficialmente per il 70° genetliaco del presidente Nazarbayev, ma in realtà per condurre un altro atto dell’intensa strategia diplomatica turca: avviare una mediazione discreta sul sanguinoso conflitto etnico-civile in Kirghizistan, paese turcofono come il Kazakistan. Gul ha parlato a quattr’occhi con la neo-presidente kirghisa Roza Otunbayeva. Ad Ankara, la Clinton non ha trovato di meglio che sgridare Erdogan per il suo atteggiamento energico verso Israele, e «sconsigliarlo» di esigere una inchiesta internazionale sul massacro giudaico sulla Mavi Marmara. Non stupisce che la Turchia goda di grande rispetto e crescente influenza nel Medio Oriente, laddove l’Occidente ha perso rispetto e credibilità.
2) Si noti che, mentre la Turchia ha chiuso il suo aereo ai voli militari israeliani, la Bulgaria s’è affrettata ad invitare Israele ad esercitare i suoi piloti sui suoi cieli. (La Bulgarie Autorise L’Armée De L’Air Israélienne A S’entrainer Dans Son Espace Aérien)


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