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I figli di Lot
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Talmud /8
Nel libro della Genesi (19,31-8) si narra dell’incestuoso rapporto delle figlie di Lot con il loro padre. Dopo la distruzione di Sodoma e Gomorra con tutti i suoi abitanti Lot – fratello sfavorito di Abramo – perse anche la moglie, trasformata in una statua di sale per aver voluto guardare indietro alla devastazione; il patriarca si rifugia in una caverna con le due figlie. Sono soli.

«Ora la maggiore disse alla minore: “Il nostro padre è vecchio e non cè alcun uomo di questo territorio per unirsi a noi, secondo luso di tutta la terra.32. Vieni, facciamo bere del vino a nostro padre e poi corichiamoci con lui, e così faremo sussistere una discendenza da nostro padre. 33. Quella notte fecero bere del vino al loro padre, e la maggiore venne a coricarsi con suo padre; ma egli non se ne accorse né quando essa si coricò né quando essa si alzò». La notte seguente, è la figlia più giovane a fare altrettanto.

«Così le due figliole di Lot concepirono dal padre loro. 37. La maggiore partorì un figliolo e gli pose nome Moab (...). Costui è il padre dei Moabiti doggigiorno. 38. La minore partorì anchessa un figlio e gli pose nome Figlio del mio popolo. Costui è il padre degli Ammoniti doggigiorno».

Questo episodio è ritenuto un mito eziologico: ossia creato come spiegazione favolistica di un nome. In questo caso, dei nomi di due popoli, gli Ammoniti e i Moabiti, detestati dagli ebrei perchè, troppo affini di sangue, potevano pretendere qualche «parte nella promessa» (1) e secondo le Cronache (11,20) sterminati da Josafat, quarto re di Giuda, ovviamente su ordine di JHVH.
L’intento del racconto è attribuire ai Moabiti ed agli Ammoniti un’origine abominevole, vergognosa: nati da incesto.

Ma gli estensori del Talmud hanno un’opinione molto più favorevole dell’incesto. La lezione che dall’episodio ricavano ricavano due famosi talmudisti, Riya ben Abin e Joshua ben Korha è questa:

«Uno deve essere rapido il più possibile nelleseguire un precetto; infatti per aver preceduto la figlia minore di una notte, la figlia maggiore di Lot ricevette il premio di apparire nellalbero genealogico della casa reale dIsraele». Così si legge nel trattato Nazir, 23b e 24 a.

Se l’incesto padre-figlia è visto come un precetto e un merito quando si tratta di «dare una discendenza», si può immaginare cosa dica il Talmud delle congiunzioni carnali fra zio e nipote, fra zie e zii, fra sorelle e primi cugini, benchè ciò sia severamente proibito dalla Bibbia (Levitico 18, 13-14).

Nel 1954 ci fu persino un tentativo della lobby ebraica in USA di modificare le leggi degli Stati onde legalizzare il matrimonio fra uno zio e una nipote, evento comune  nei circoli rabbinici. Per una volta, il chiuso mondo ebraico s’è persino degnato di alzare lo sguardo eletto sugli altri popoli, alla ricerca di esempi di incesti legali nella storia. Nella sua fondamentale Social and Religious History of the Jews (1952), lo storico Salo W. Baron, docente di storia ebraica alla Columbia University (Miller Foundation), ha scritto:

«In Egitto gli stessi sovrani tolemaici, per lo più, sposavano le proprie sorelle. Nella Persia dei Parti, erano validi i matrimoni fra genitori e figli, e quelli tra fratelli e sorelle erano abbastanza consueti. La religione dei Parsi incoraggiava tali matrimoni come il modo più adatto di preservare la purità familiare (...). Artaserse secondo sposò le due sorelle, e Mitridate I sposò sua madre».

Salo Baron ha dato al capitolo sopra citato il titolo: Talmudic Eugenics. Dunque i matrimoni fra parenti stretti sono visti talmudicamente come misure eugenetiche, appunto per preservare la purità del sangue (e scongiurare la divisione dei patrimoni). Più avanti, pagina 229 (Volume 11), Salo Baron ha aggiunto:

«Su un punto in particolare le leggi romane differivano dalle ebraiche: il matrimonio fra lo zio e la nipote. Ricordiamo che sia rabbi Eliezer che rabbi Abba sposarono le loro nipoti, come fece rabbi Jose il Galileo... Rabbi Ishmael fece uno sforzo spciale (...) per rendere più attraente sua nipote, migliorando i suoi denti» (sic).

In realtà, la Legge (di Mosé) vieta espressamente il congiungimento carnale fra zii e nipotine. Levitico 18, 14: «Non scoprirai la nudità del fratello di tuo padre; non ti avvicinerai a sua moglie: è tua zia! Non scoprirai la nudità di tua nuora: è la moglie di tuo figlio. Non scoprirai la nudità della moglie di tuo fratello». Ma evidentemente anche per il coltissimo Salo Baron la Legge vigente non è quella biblica, ma la talmudica.

Necrofili kosher

Anzi, il Levitico 18,6 dà un divieto generale contro l’incesto: «Nessuno si avvicini ad una parente prossima per scoprire la sua nudità. Io sono il Signore». Ma il Talmud, trattato Yebamoth 55b, informa che uno può essere «esonerato» (dalla punizione) se «coabita con uno dei parenti vietati con il membro rilassato». E la nota spiega: «Dal momento che non può risultarne fertilizzazione». I rabbini discutono se vìola il divieto «il rapporto sessuale con una donna morta» se era maritata in vita, e si inclina a credere che il divieto sia limitato al«rapporto innaturale». In genere, i rabbini citati nella Gemarah suddetta tendono a permettere i rapporti carnali con parenti stretti morti, siano o no stati sposati. Si cita un tal rabbi Shesheth che solleva l’obiezione: «L’espressione ‘carnalmente’ (in Numeri 5,13) implica che si incorrre in colpa solo quando il rapporto è accompagnato da frizione – non si riferisce a frizione del membro! – No, alla frizione del glande», eccetera, eccetera.

Il Sanhderin 78 a consente la pederastia con un «terefah». E che cos’è un terefah? La nota nella Soncino Edition spiega: «Una persona colpita da malattia organica natale, da cui non può guarire». Insomma sodomizzare un malato terminale è kosher, perchè è come abusare «di un morto, e quindi esente». Infattti, si dice, «la punizione è imposta generalmente per il piacere proibito che de deriva», e «non c’è gratificazione sessuale nell’abusare di un morto».

Poligamia

Il già citato trattato storico di Salo Baron, nel capitolo “Il mondo del Talmud”, porta come l’harem di re Salomone (causa, dice la Bibbia, della sua deviazione morale) come esempio positivo: «Il suo (di Salomone) ricordo accese l’immaginazione degli ebrei poligamici nelle epoche seguenti (...) ci sono indizi che la società degli ebrei di Babilonia avesse tendenze poligame più che quella di Palestina», il che non è poi stupefacente, dato che gli ebrei – nonostante le loro pretese di separatezza – sono in realtà molto soggetti agli influssi culturali dei popoli fra cui abitano: in questo caso, alla poligamia tipica del mondo pagano semitico.

Salo Baron continua citando «aneddoti molto diffusi come quelli riguardanti Rab e Rabbi Nahman» (due estensori del Talmud), i quali, «arrivando in una città straniera erano soliti annunciare pubblicamente di cercare donne da sposare per il tempo del loro soggiorno (‘man-havya le yoma’) ... anche legalmente in Babilonia si sottolinea il diritto dell’ebreo di ‘sposare tante donne quante può mantenerne’».

Solo rabbi Gershorn Ben Judah (nato a Metz nel 960 e morto a Mayence in Francia nel 1040) emanò editti che vietavano agli ebrei abitanti in contrade cristiane  le usanze poligamiche, per non avere guai con le leggi dei goym. L’ordine fu accettato dalle comunità giudaiche in Europa.

Cani e prostitute

La Bibbia dà istruzioni sulle offerte da donare al Tempio. Devono essere offerte pure. Infatti, il Deuteronomio 23,18 prescrive: «Tu non porterai il guadagno di una prostituta o il prezzo di un cane alla casa del Signore tuo Dio per qualsiasi voto, perchè sono un abominio per il Signore tuo Dio luno e laltro». È il divieto esplicito di mantenere il Tempio con la prostituzione sacra, come spesso avveniva in Oriente nei culti delle dee-madri o sessuali, Astarte – la Venere semitica – o Cibele: «Non ci sarà prostituta sacra tra le figlie d’Israele, nè prostituto sacro tra i figli di Israele», fulmina il Deuteronomio. L’accenno al «prezzo di un cane» va probabilmente spiegato con la prostituzione maschile. I sacerdoti delle suddette dee, che spesso si castravano con le loro mani nel corso delle sacre orge, in seguito si guadagnavano la vita (e il denaro per il tempio presso cui «lavoravano») fornendo servizi sodomitici ai clienti. È possibile che siano loro i «cani» di cui parla il passo biblico; ma è possibile anche che i sacri sodomiti di Astarte e Cibele addestrassero e poi noleggiassero cani per scopi irriferibili (2).

Ma il Talmud, citando proprio il passo sopra riportato del Deuteronomio, lo rovescia: «Non è adulterio la congiunzione con un animale, perchè è scritto: Tu non porterai la mercede di una prostituta o i guadagni di un cane, eccetera, ed è insegnato ‘l’affitto di un cane e il salario di una prostituta’ sono permessi, in quanto è detto: ‘Entrambe sono abominio per il Signore’ – dunque sono abominio le due, ma non le quattro». E dunque si possono offrire al Tempio... «il denaro dato da un uomo ad una prostituta associata con il suo cane. Questa associazione non è adulterio legale». E la nota precisa: «Se un uomo ha una schiava che è prostituta, e l’ha scambiata con un animale, può essere offerto» il denaro. Così il Trattato Sotah, 27b. Dunque basta cambiare i termini: «prezzo» invece di «mercede» e «affitto» invece che «salario», e il gioco è fatto.


Il trattato talmudico Abodah Zarah (62b) ritorna sull’argomento: se la paga di una meretrice si può dare come offerta al Tempio. È permesso: «Se lui ha dato a lei (il denaro) e poi ha avuto rapporto con lei, oppure se ha avuto il rapporto con lei e dopo le ha dato (il denaro)». Ciò perchè, spiega la nota in calce, «i due fatti sono visti come separati, e quello che ha ricevuto è legalmente un regalo», non il compenso per la prestazione. Si va avanti così per due pagine.

Bestialità nellEden

In Genesi 2,23, si narra la comparsa di Eva: «... Adamo disse: questa volta è osso delle mie ossa e carne della mia carne. Costei si chiamerà donna perchè dalluomo fu tratta».

Il Talmud, Trattato Yebamoth 63 a cita l’interpretazione di rabbi Eleazar: «... Cosa vuol dire il passo scritturistico ‘Ora è osso delle mie ossa e carne della mia carne’?. Questo insegna che Adamo ha avuto rapporti carnali con ogni animale e belva ma non trovò soddisfazione finchè coabitò con Eva». Nel giardino dell’Eden pieno di animali, che altro restava da fare al nostro progenitore?

Questo esprit mal tourné si rivela anche nell’interpretazione del salmo 6, che alla lettera è l’invocazione di David per ottenere il perdono di Dio: «Ritorna Signore, salva lanima mia;/ soccorrimi per la tua misericordia (...). Mi sono consumato a forza di gemiti; ogni notte faccio nuotare il mio letto (di lacrime), bagno di lacrime il giaciglio».

Il Sanhedrin 107 a, citando il verso suddetto, lo spiega così: «Anche durante la malattia Davide soddisfece i diritti coniugali delle sue diciotto mogli, perchè è scritto: Sono stanco di gemere. Tutta la notte faccio nuotare il mio letto, io bagno il giaciglio di lacrime».

Per la Legge di Mosè (Levitico 15) la donna che è impura (mestruata) deve restare separata «per tutti i giorni del suo flusso». Il Talmud, Horayoth 4 a, interpreta: «Che una donna non è ritenuta una zabah (una con una perdita vaginale, ndr) se non durante il giorno, perchè è scritto ‘tutti i giorni della sua emissione’». Dunque l’impura donna mestruata può essere sessualmente usata di notte.

Tutto ciò che è vietato nella Torah diventa dunque permesso a forza di astuzie e cavilli. Solo un’azione sembra veramente indegna degli ebrei: coltivare la terra in proprio col sudore della fronte. Perchè quest’attività è giudicata inferiore dai talmudisti.

Come siano giunti a questa conclusione, va spiegato partendo dalla profezia di Ezechiele (27;29) contro la grande città di Tiro, potente nei commerci navali ma piena di peccati e abominazioni: «Scendono dalle navi quelli che tengono il remo, piloti tutti del mare scendono a terra, e fanno sentire i loro clamori su di te... ». Si profetizza in questo modo la caduta della città, come di fatto avvenne per mano di Nabuccodonosor.

Ma il Talmud – Yebamoth 63 a – interpreta: «Nessuna occupazione è inferiore a quella della fatica agricola, perchè è detto: ‘scenderanno’ (dalle navi). Dunque giù dalle navi e staranno sulla terra».

È un disprezzo cui gli ebrei si sono attenuti nei secoli. Alexander Solgenitsin, nel primo volume del suo monumentale studio sulla storia degli ebrei in Russia, Due secoli insieme narra dei ripetuti e generosi tentativi del regime zarista di riconvertire all’agricoltura gli ebrei che vivevano nei villaggi rurali, per lo più distillando vodka con cui poi schiavizzavano i mugiki, che indebitavano fino al collo, e ai quali prendevano come pegno il bestiame e persino gli attrezzi agricoli. Ebrei che, nonostante ciò, vivevano nella più nera miseria. Più volte lo Zar e i suoi amministratori cercarono d’instaurare colonie ebraiche nelle vaste terre incolte, fornendo loro tutto il necessario – attrezzi, bestiame, case di abete (anche i ricchi, in certe zone, abitavano case di fango), sementi e scorte alimentari per il primo anno, nonchè prestiti in denaro – il tutto gratuitamente.

L’Ufficio addetto a questa riforma invia rapporti sconsolati sui risultati:

«Per formare i coloni che non sanno da dove cominciare nè dove finire, si prendono in affitto i contadini della Corona; le prime arature vengono fatte per la maggior parte con l’ingaggio dei russi. (Gli ebrei) seminano solo una parte trascurabile dell’appezzamento che è stato loro assegnato, utilizzano semi di cattiva qualità; taluno ha ricevuto semi specifici, ma non ara e nemmeno semina; talaltro, in occasione della semina, perde molti semi, e lo stesso succede nella mietitura. Per inesperienza, rompono gli attrezzi o semplicemente li rivendono. Abbattono il bestiame per nutrirsi, e poi si lamentano di non averne più. Vendono il bestiame per acquistare cereali; non fanno scorte di sterco bovino seccato e pertanto le loro isbe, prima sufficientemente riscaldate, diventano umide, non coltivano gli orti; riscaldano la casa con la paglia stoccata per nutrire il bestiame».

Questi coloni, lamenta l’ufficio,

«Non si aspettavano assolutamente che li si costringesse a occuparsi personalmente dei lavori agricoli, pensavano che la coltivazione sarebbe stata garantita da altre mani; che una volta in possesso di grandi armenti, li avrebbero venduti alle fiere (...). Sperano di continuare a ricevere aiuti pubblici. Si lamentano di essere ridotti a uno stato pietoso, di aver usato i vestiti fino alla trama. Ma l’ispezione ribatte: ‘Se non hanno più vestiti è per pigrizia, perchè non allevano pecore, nè seminano lino nè canapa, e le loro donne non tessono nè filano’».

I più tornavano alla chetichella a produrre vodka nei villaggi natii, dopo essersi venduto al mercato nero il passaporto che li autorizzava a raggiungere la colonia agricola. Tutti gli esperimenti furono un tragicomico fallimento.

Solgenitsyn cita una testimonianza al disopra di ogni sospetto: quella di P. I. Pestel, il futuro decabrista (uno degli ufficiali che cercheranno di rovesciare lo zarismo nel dicembre 1825), con venature fortemente socialiste e filo-ebraiche. Anni prima, come ufficiale nelle provincie orientali, Pestel annotò le sue osservazioni sugli ebrei locali.

«Nell’attesa del Messia, gli ebrei si considerano come abitanti temporanei della contrada in cui si trovano, e pertanto non vogliono a nessun costo occuparsi di agricoltura, tendono anche a disprezzare gli artigiani, e praticano solo il commercio».

«I capi spirituali degli ebrei, detti rabbini, tengono il popolo in un incredibile stato di dipendenza, proibendogli, in nome della fede, ogni altra lettura diversa dal Talmud (...)».

«Gli stretti legami tra gli ebrei danno loro modo di accumulare somme importanti (...), in particolare per indurre differenti autorità alla concussione e ad ogni genere di malversazioni che agli ebrei sembrano utili (...). Nelle provincie in cui hanno eletto il loro domicilio, tutto il commercio è nelle loro mani, e sono pochi i contadini che non siano, a causa dei debiti, in loro potere; ecco perchè rovinano terribilmente le zone in cui risiedono».

«Il governo precedente (quello di Caterina la Grande, ndr) ha loro accordato diritti e privilegi notevoli, che accentuano i mali che fanno». Tra questi, Pestel elenca il diritto di non fornire reclute, di non annunciare i decessi, di avere una giustizia distinta sottoposta ai rabbini, «e godono inoltre di tutti i diritti riconosciuti alle altre etnie cristiane... godono di diritti più ampi degli stessi cristiani (...). Una tale situazione ha portato gli ebrei a far mostra di un atteggiamento ostile verso i cristiani e li ha posti in una condizione contraria all’ordine pubblico» (3).

Si leggono fremendo queste pagine, quando si ha in mente la «narrativa», che ci continuano a far bere, sulle immani sofferenze e soprusi che gli ebrei avrebbero subito in Russia dagli Zar e dalla feroce popolazione «antisemita». Si tenga presente che nel 1917, quando con il bolscevismo gli ebrei formarono il nucleo del nuovo potere, si vendicarono di queste «sofferenze» in un bagno di sangue, e specialmente riversarono il loro odio e disprezzo mortale sui contadini: le sanguinarie requisizioni, il genocidio dei coltivatori diretti ucraini (kulaki) fu condotto interamente da squadre ebraiche comandate dall’ebreo Lazar Kaganovic, numero 2 del regime dopo Stalin. La spietatezza estrema, che non si fermò davanti a donne e bambini, condannati alla morte per fame nella terra più fertile del mondo, quando non alle esecuzioni, può spiegarsi solo nella coltivata separatezza ebraica rispetto allo spregiato genere umano, e alla luce del Talmud. Come vedremo.

(Continua)

Talmud /1
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Talmud /9




1) Infatti la Bibbia reca traccia di un ben diverso atteggiamento, probabilmente più antico e originario, verso questi due popoli. Nel Deuteronomio (2,9), il Signore ordina a Mosè: «Non essere nemico di Moab, nè contendi con lui in battaglia sofferenze». E ugualmente per gli Ammoniti: «Non molestarli nè contendere con loro». Tipica la trovata del Talmud, Nazir 23b, per i Moabiti: «Solo la guerra è stata proibita, ma potevano essere molestati».
2) Impagabile la nota esplicativa del suddetto passo del Deuteronomio che trovo nella Bibbia delle Edizioni Paoline: «Proibizione della prostituzione sacra maschile e femminile in vigore nei culti cananei, sempre affascinanti per Israele a causa del loro realismo». La sodomia come «realismo religioso», persino in qualche modo invidiabile.
3) Aleksandr Solgenitsyn, Due Secoli insieme, Napoli 2007, volume II, pagina 82 e seguenti.


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