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Monsanto sconfitta. A metà.
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«È controproducente combattere contro i mulini a vento»: così il capo delle relazioni pubbliche per la Monsanto in Europa, in un’intervista al Tageszeitung, ha annunciato una ritirata strategica: «Non faremo più lobby per i coltivi in Europa», e la ditta non ha «attualmente» in corso progetti pere far approvare dagli stati sementi geneticamente modificate.

L’incredibile successo della «Marcia contro Monsanto» ha lasciato il segno. La marcia ha avuto luogo in 400 città di 52 Paesi, e dovunque i manifestanti hanno protestato contro i loro governi, troppo compiacenti, diciamo, davanti agli argomenti Monsanto a favore dei suoi OGM. La protesta chiedeva esplicitamente il «labeling»: che gli ingredienti geneticamente modificati siano segnalati nelle etichette, come si fa per gli zuccheri e i grassi. Ai consumatori, poi, la scelta.

Una misura che la ditta ha contrastato sempre e con tutte le sue forze lobbystiche, che sono notoriamente irresistibili quando si esercitano sull’eurocrazia. Monsanto ha condotto una campagna a tutto campo contro le etichettature, sostenendo che sarebbero troppo costose (sic), che danneggerebbero i produttori poveri, che l’etichetta non serve a niente dato che i cibi geneticamente modificati sono senza rischi per il consumo umano, eccetera.

Recentemente lo Stato ungherese ha ordinato la distruzione di almeno 500 ettari a granturco risultato geneticamente modificato, che non avrebbero dovuto trovarsi lì, dato che il Paese vieta l’uso di OGM ed anche nel 2011 aveva fatto bruciare centinaia di ettari di coltivi contaminati da sementi ingegnerizzate, per evitare ibridazioni accidentali (i pollini si disperdono nell’aria) del mais «buono» con quello OGM. E siccome l’Unione Europea adotta le norme più liberali sulla libera circolazione (anche) di sementi, Budapest non ha diritto di indagare come, da quali Stati membri, quelle sementi siano arrivate sul suo territorio. «Ciò non ci impedirà di investigare a fondo su questa faccenda entro i nostri confini», ha minacciato il ministro dell’agricoltura Lajos Bognar.

Hanno proprio ragione l’eurocrazia e la stampa servile a bollare il governo ungherese di «liberticida», populista, fascista e antisemita. Ma finché si tratta della piccola e fascistoide Ungheria, passi. Il peggio è successo quando in Oregon s’è scoperto che grano geneticamente modificato stava crescendo in un’azienda agricola, che non l’aveva coltivato; e la contaminazione è stata confermata dall’USDA (US Department of Agricolture). Era una cosa che la Monsanto aveva assicurato non sarebbe mai avvenuta. Le coltivazioni sperimentali di questa semente ingegnerizzata erano terminate nel 2004, senza che si fosse conclusa con l’approvazione per la vendita e il consumo. Ora si è scoperto che Monsanto aveva fatto le sue sperimentazioni in campi aperti, innescando un inquinamento genetico assai vasto.

La reazione è stata rovinosa per gli agricoltori statunitensi. Il competente ministero del Giappone ha bloccato le importazioni di grano «western white» e da mangime «con effetto immediato da oggi», e ha fatto pressioni sullo USDA per avere i dettagli delle sue indagini (indagini che lo USDA, fortemente ammanicato con l’agribusinnes genetico, non fa volentieri); l’import di grani americani, ha detto il ministro giapponese, sarà sospeso fino a quando non si disporrà almeno di un «kit di prova» per identificare quel frumento geneticamente modificato. (Japan halts imports of U.S. wheat after USDA's shock finding of genetic pollution from GMOs)

La Corea del Sud, che importa circa metà del suo fabbisogno granario dagli Usa, ha annunciato una simile sospensione. A questo punto, anche l’authority europea per la difesa dei consumatori ha dichiarato che qualunque carico di granaglie che risultasse positivo OGM non potrebbe essere venduto in Europa. Altri Paesi hanno fatto lo stesso, specie in Asia, come Cina e Filippine: tutti grandi importatori di frumento (si accaparrano un terzo della esportazione mondiale); e dove si scopre che i consumatori sono ancor più contrari ai cibi geneticamente modificati di noi europei, spesso bollati come irragionevoli schifiltosi negazionisti riguardo ad OGM ottimi e sanissimi.

Insomma, un danno economico ingentissimo per i coltivatori americani che si vedono rifiutare i loro prodotti, anche se magari hanno avuto cura di usare sementi naturali; e tutto a causa di Monsanto e dei suoi reggicoda a Washington. È una replica di quel che accadde nel 2006, quando il raccolto del riso a grano lungo americano risultò contaminato da una semente ingegnerizzata, questa volta dalla BayerCropScience, concorrente di Monsanto. Anche allora Europa e Giappone decretarono l’embargo sul riso statunitense, ciò che costò al settore agricolo Usa 750 milioni di dollari. E il riso è piccolo commercio, in confronto all’export di frumento.

Bayer, BASF e Syngenta, i concorrenti europei, hanno già rinunciato a promuovere i semi OGM in Germania ed altri Stati membri: i coltivatori, ha detto il portavoce di Monsanto, «hanno scarso interesse» ai presunti vantaggi miracolosi delle sue sementi; che senso ha coltivare un prodotto che è poi praticamente invendibile, dato il massiccio rifiuto dei consumatori? La ministra dell’agricoltura tedesca, Ilse Aigner (che è riuscita a bandire la semente MON810 nel 2009), ha detto: «Per l’agricoltura europea, le promesse paradisiache dell’ingegneria genetica non si sono avverate».

La resa di Monsanto è solo parziale , forse, apparente. In Spagna, Portogallo e Romania, dove le leggi sono più di manica larga e i consumatori meno sensibili al tema OGM, Monsanto continua a forzare la diffusione della sua semente MON810 rafforzata da un gene microbico tossico come pesticida «interno». E sta ancora energicamente facendo lobby a Bruxelles perché gli eurocrati permettano l’importazione di grani OGM per l’alimentazione animale.

Bisognerà vigilare, conoscendo l’eurocrazia (e i politici distaccati presso il centro di potere europeo). Tanto più che le idee della gente comune sulla pericolosità degli OGM – derisa dagli «esperti» – sta trovando sempre più conferme a livello scientifico. Vedi il caso di Thierry Vrain, un ricercatore al dipartimento dell’agricoltura canadese; da sempre convinto promotore della innocuità delle sementi ingegnerizzate, ora ha cambiato idea dopo un’analisi accurata della letteratura scientifica, che gli ha rivelato – oh meraviglia! – che né le autorità federali Usa, né quelle del Canada, hanno mai condotto test indipendenti sulla innocuità degli OGM. «Tutto quel che abbiamo sono gli studi di Europa e Russia, che dimostrano che i ratti alimentati con cibo geneticamente modificato muoiono prematuramente», dice Vrain.

Interessante la motivazione che il dottor Vrain dà della sua nuova diffidenza: «L’ingegneria genetica è vecchia di 40 anni. Ed è basata su una teoria vecchia di 70 anni, quella “un gene=una proteina”, ossia che ogni singolo gene codifica (e produce) una singola proteina. È un’ipotesi che il Progetto Genoma Umano ha dimostrato sbagliata dal 2002. Ora sappiamo che un singolo gene è capace di produrre più di una proteina, e che inserendo un gene estraneo in una pianta si finisce per creare proteine che non conosciamo, e impreviste. Ed è ovvio che alcune di queste proteine siano allergizzanti o tossiche».

Gli studi europei e russi, aggiunge Vrain, «dimostrano che le proteine prodotte dai vegetali OGM sono differenti da quel che dovrebbero essere. Inserire un gene estraneo come si fa con l’attuale tecnologia dà luogo a proteine danneggiate. La letteratura scientifica è piena di studi che mostrano come il mais e la soya geneticamente modificati contengono proteine non volute, e tossiche».

Ragion per cui, conclude il genetista canadese, «rigetto la pretesa delle ditte biotecnologiche che le loro sementi modificate producono di più, che richiedono minori irrorazioni con pesticidi, che non hanno alcun impatto sull’ambiente circostante e che sono senza rischi per la nutrizione». (Former Pro-GMO Scientist Speaks Out on the Real Dangers of Genetically Engineered Food)



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