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Il grave dilemma del sedevacantismo
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Capisco perfettamente quei cattolici che inorridiscono di fronte al nuovo termine «sedevacantismo», posizione che
metterebbe in dubbio la presenza del rappresentante di Dio in terra, il Papa cattolico.
Provo anch’io questo sentimento a causa della mia fedeltà cattolica alla Chiesa e al Vicario di Cristo.
Ma questo sentimento religioso è autentico nella misura in cui non si perde in questioni apparenti, fasulle, non cattoliche, piuttosto superstizioni che portano a confondere la vera fede nella Sede che rappresenta l’autorità di Dio in terra.
Infatti, si tratta della distinzione basilare tra il fatto contingente di una vacanza papale, a causa della morte di un Papa o delle altre condizioni stabilite dalla Chiesa, e di «dottrine» proprio sulla «vacanza» dell’autorità divina del Papato.
Sul primo caso, l’aspetto contingente della vacanza, conseguente alla natura umana del Papa, non ci sono dubbi.
Quando un vero Papa muore, tutti i cattolici riconoscono che la Santa Sede è vacante.
Sarebbero sedevacantisti?

Per risolvere la vacanza la Chiesa ha sempre emanato norme di sicurezza per l’elezione del Papa, in modo da impedire
il male tremendo della occupazione della Sede di Pietro da parte di quei poteri che da sempre mirano ad aggiornarla negli aspetti che la rendono invisa al mondo.
Su questo immane pericolo sembra che gran numero di fedeli di questi tempi confusi hanno perso ogni la memoria.
Sì perché proprio la dottrina dell’assenza di una autorità umana che rappresenti Dio in terra è condivisa da quasi tutte
le religioni e ideologie moderne.
Anche da quelle che si dicono cristiane, ma negano il Primato di Pietro.
Quindi il Papa non rappresenterebbe che le proprie filosofie e idee sulla visione della vita e del mondo.

La contraddizione tra la vacanza papale riconosciuta dalla Chiesa e l’accusa a chi la ricorda oggi, sembra più frutto d’ignoranza che di mala fede.
La prima va chiarita, la seconda è incurabile perché dimostra comunque un doppio aspetto deteriore.
Primo, perché si dispensa dalle ragioni canoniche della Chiesa cattolica applicabili al caso, ma al contrario, si poggia su quella fiducia rivolta ad uomini sempre deprecata nella Bibbia.
Secondo, perché questa fiducia è rivolta proprio a quei capi religiosi che promuovono la «dottrina ecumenista» che fa
tabula rasa innanzitutto della dottrina cattolica sull’autorità del Papa, Vicario di Dio in terra.
Basta leggere l’Enciclica «Mortalium animos» di Papa Pio XI per rendersene conto con stupore (1).
In vista delle ragione ricordate e delle norme della Chiesa per il Conclave non ci dovrebbe mai essere discusione tra
i fedeli della Chiesa.
Sono ragioni assolute, ontologiche per la legittimità del candidato, che deve essere uomo lucido e di fede cattolica integra e mai modernista o massonica.
Invece, ci sono quelli che imputano a quanti ricordano queste condizioni per la leggitimità del Papa in ogni tempo, prima e dopo l’elezione, come portatori di una mala dottrina, magari capace di suscitare scisma e apostasia!
Tale posizione, per così dire anti sedevacantista, è condivisa passivamente dall’immensa maggioranza dei fedeli perché si poggia sul fatto pratico e di senso comune esposto tra altri dall’eminente teologo cardinale Journet nella sua grande opera «L’Église du Verbe Incarné».

Lui a grandi linee scrive: Poiché per la Chiesa è necessaria, nella sua missione di salvezza delle anime, la certezza dell’autorità divina del Papa, si deve ritenere che l’uomo eletto nel conclave che rappresenta la Chiesa e che accetta
la carica papale, in quell’ istante riceve da Dio l’autorità di Vicario di Cristo nel mondo.
Lo stesso Teologo, però, conferma che presso i teologi medievali era accettata pacificamente la «tesi limite» di un «papa» divenuto personalmente eretico e quindi, suscettibile di giudizio (vedi «Il Papa e la Chiesa» articolo apparso
sull’Osservatore Romano l’11/10/1969).

Ma tornando al primo ragionamento si deve costatare chc esso solo sarebbe perfetto se la prima condizione, ovvero che il papabile professi la fede cattolica nella sua integrità, senza un occulto modernismo, fosse accertato; fatto evidente solo a Dio, che conosce i pensieri e intenzioni segrete delle anime.
A questo punto la certezza cattolica che riguarda il bene della preservazione della fede nella Sede papale si concentra sui frutti di tale Pontificato, che non dipendono certamente dalla scelta di un conclave umano, perciò fallibile, ma dalla
benedizione di Dio su quel tempo.
Le idee che il potere del conclave che elegge il Papa sia assoluto, o peggio, che l’assistenza promessa dello Spirito Santo sia confusa con l’elezione del Papa da cardinali da Lui ispirati, sono smentite dal Magistero infallibile della Chiesa.
Esso è presente nella sua legge e in speciale nella Bolla di Papa Paolo IV.
Per questa ragione chi vuole seguire seriamente la questione della vacanza papale non può ignorare la chiara visione
cattolica espressa infallibilmente in questa Bolla.

Saranno forse sedevacantisti quanti sulla questione fanno riferimento al Magistero della Bolla «Cum ex apostolatus
officio» di Paolo IV (15 febbario 1559)?
Essa rappresenta l’insegnamento di un grande Papa sulla tremenda questione della decadenza dei potenti deviati dalla fede, il mistero dell'iniquità.
Segue un suo sommario, con l’omissis riguardante le autorità civili.

Esordio

Il Papa è tenuto a segnalare e respingere i nemici della Fede a causa della carica di Apostolato affidataci da Dio per la cura generale del gregge del Signore, incombe su di noi il dovere di vigilare assiduamente e provvedere attentamente alla sua custodia fedele e salvifica direzione affinché coloro che insorgono contro la Fede e pervertono l’interpretazione delle
Sacre Scritture, operando per scindere l’unità della Chiesa e la tunica inconsutile del Signore, siano respinti dall’ovile di Cristo e coloro che sdegnano di essere discepoli della verità non possano continuare a insegnare l’errore.

1- Più alto il pervertitore della fede maggiore il pericolo

La materia è talmente grave e pericolosa che lo stesso Pontefice romano - che come Vicario di Dio e di Nostro Signore Gesù Cristo ha piena potestà in terra, e giudica tutti senza che nessuno possa giudicarlo - qualora sia riconosciuto deviato dalla Fede possa essere accusato.
E, dato che dove si vede il maggior pericolo tanto più deciso dev’essere il provvedimento per impedire che dei falsi profeti possano irretire le anime semplici e perciò trascinare con loro alla perdizione gli innumerevoli popoli affidati alle loro cure e affinché non accada di vedere nel Luogo Santo l’abominio della desolazione predetta dal profeta Daniele, per quanto possiamo con l’aiuto dato da Dio al nostro impegno pastorale, per non apparire come cani muti, o come mercenari, e per non essere dannati assieme con i cattivi agricoltori, vogliamo sgominare le volpi intente a devastare la vigna del Signore e tener lontani i lupi dagli ovili.

2 - Conferma di ogni precedente misura contro tutti i deviati

Dopo maturo esame della materia con i cardinali, con il loro parere ed unanime consenso, Noi, con Apostolica Autorità, approviamo e rinnoviamo tutte e ciascuna delle sentenze, censure, pene di scomunica, sospensione, interdizione,
privazione o altre, in qualsiasi modo adottate e promulgate contro gli eretici e gli scismatici dai Romani Pontefici, nostri Predecessori, o in nome loro, comprese le Lettere informali, o dai Sacri Concili aventi approvazione della Chiesa o dai
decreti dei Santi Padri, dagli Statuti e sacri Canoni, o dalle Costituzioni ed Ordinamenti apostolici.
Noi vogliamo e decretiamo che esse siano in perpetuo osservate e che siano rimesse in rigorosa osservanza ove siano
cadute in disuso.
Inoltre, vogliamo e decretiamo che incorrano nelle predette sentenze, censure e pene: tutti coloro che siano stati finora
sorpresi sul fatto o abbiano confessato o siano stati dichiarati colpevoli di aver deviato dalla Fede Cattolica, o di essere
caduti in qualche eresia o di essere incorsi in uno scisma, sia che li abbiano promossi o commessi, oppure quelli che nel
futuro insorgano contro la Fede come qui descritto: tutti coloro di qualsiasi stato, grado, ordine, condizione e preminenza essi siano, anche episcopale, arciepiscopale, patriarcale, primaziale o di altra maggiore dignità ecclesiastica quale il
Cardinalato (omissis:autorità delle società cristiane).

3- Privazione ipso facto di ogni carica ecclesiale per eresia o scisma

Considerando che coloro che non si astengono dal male per amore della virtù devono esserne distolti per timore delle pene e che le Autorità ecclesiastiche - che hanno il grave dovere di istruire gli altri e dare loro il buon esempio per conservarli nella fede Cattolica - se prevaricano peccano più gravemente degli altri in quanto dannano non solo se stesse ma trascinano con sé alla perdizione i popoli loro affidati, Noi, col’assenso dei Cardinali, con questa nostra Costituzione, valida in
perpetuo, contro crimine così grande - il più grave e pernicioso possibile nella Chiesa di Dio - nella pienezza della potestà Apostolica, sanzioniamo, stabiliamo, decretiamo e definiamo che permangano nella loro forza ed efficacia le predette
sentenze e censure e pene, e producano i loro effetti, per tutte e ciascuna delle autorità suddette, che fino ad ora siano
insorte o in futuro insorgano contro la Fede; poiché tali crimini le rendono più inescusabili degli altri, oltre le sentenze, censure e pene suddette, per il fatto stesso e senza bisogno di alcuna altra procedura di diritto o di fatto, esse siano anche interamente private in perpetuo delle loro cariche e dignità, come pure di ogni voce attiva e passiva e di qualsiasi autorità. Inoltre, tutti costoro saranno considerati come inabili ed incapaci a tali funzioni come relapsi e sovversivi, per cui, anche se prima avessero abiurato tali eresie in un pubblico giudizio, mai e in nessun tempo potranno essere restituiti, rimessi,
reintegrati e riabilitati nelle loro previe funzioni e dignità o nella loro voce attiva o passiva e nella loro autorità (omissis: potere secolare cristiano).
Essi devono essere considerati da tutti come relapsi e sovversivi e come tale evitati.

4 - Pronta sanatoria delle vacanze delle cariche ecclesiastiche

Coloro che avanzano diritto di patronato e di nomina delle persone idonee a reggere le Sedi ecclesiastiche resesi vacanti in seguito a tali privazioni, - affinché tali sedi non siano esposte agli inconvenienti di una lunga vacanza dopo essere state strappate alla servitù degli eretici, e allo scopo di affidarle a persone idonee a dirigerle nella via della giustizia - dovranno presentare al Romano Pontefice regnante tali persone idonee alla necessità di tali Sedi entro i limiti di tempo fissati dal
diritto, altrimenti, trascorso quei limiti, la disposizione di tali Sedi sia devoluta al Romano Pontefice.

5 - Scomunica ipso facto per il favoreggiamento di eretici e scismatici


Incorrono in scomunica ipso facto tutti coloro che scientemente osino accogliere, difendere o favorire i deviati, oppure diano loro credito o diffondano le loro dottrine; siano essi tenuti come infami e non siano ammessi a cariche pubbliche o private, consigli, sinodi, concilio generale o provinciale, né conclave di Cardinali, né ad alcuna congregazione di fedeli od elezione di alcuno; oltre a ciò, siano i chierici privati di tutte e ciascuna delle loro Chiese e dei loro benefici, dignità e
cariche ecclesiastiche.

6 - Nullità di ogni promozioni o elevazioni di deviati dalla fede


Aggiungiamo che, se mai dovesse accadere che un Vescovo, anche in funzione di Arcivescovo o di Patriarca o di Primate, o un Cardinale in funzione di Legato, o eletto Pontefice Romano, che, prima della sua promozione al cardinalato o della sua elevazione al Pontificato, avesse deviato dalla fede cattolica o fosse caduto in eresia o fosse incorso in uno scisma o lo avesse suscitato, la sua promozione o elevazione è nulla, invalida e senza alcun valore, anche se avvenuta con la
concordanza e l’unanime consenso di tutti i cardinali - neppure si potrà dire che essa sia o sarà convalidata dall’intronizzazione o «adorazione» del Romano Pontefice, col ricevimento della carica, con la consacrazione, o in virtù dell’obbedienza a lui prestata da tutti, o per il decorso di qualsiasi lasso di tempo nel detto esercizio della carica - e va
ritenuta illegittima a tutti gli effetti.
A tali «autorità» si giudichi che sono state attribuite facoltà nulle per amministrare in materia sia spirituale sia temporale, e che tutte le loro parole, azioni e opere di amministrazione o relativi effetti difettano di qualsiasi forza e non possono
conferire nessun diritto ad alcuno, e le persone stesse che fossero state così promosse od elevate sono per il fatto stesso e senza bisogno di ulteriore dichiarazione, private di ogni dignità, posto, onore, titolo, autorità, carica e potere.

7 - I fedeli non devono ubbidire, ma evitare i pervertitori della fede


A tutte ed a ciascuna delle persone subordinate alle autorità di cui sopra, dai laici ai chierici - compresi i Cardinali che
avessero partecipato all’elezione di tale pontefice, anche se gli avessero prestato obbedienza e venerazione - e ai
Funzionari ecclesiastici vincolati da giuramento ai loro superiori; sia lecito negare in qualsiasi tempo l’obbedienza e
devozione a quelli così promossi ed elevati, evitandoli quali maghi, pagani, pubblicani e eresiarchi; fermo restando l’obbligo di prestare fedeltà ed obbedienza al futuro Pontefice Romano e alle Autorità canonicamente subentranti.
(omissis: ricorso al braccio secolare nelle società cristiane) (I titoli della traduzione vanno presi come riassunto dei temi)

Il Papa ricorda ai fedeli che, guidati dalla fede, sono liberi di aderire solo alle vere autorità della Chiesa.
La Fede è la ragione per cui il fedele obbedisce all’autorità della Chiesa.
«Ma, anche se noi stessi o un angelo del cielo venisse ad annunziarvi un vangelo diverso da quello che vi abbiamo
annunziato, sia egli anatema
» (Galati 1-8).
L’infallibilità passiva dei fedeli corrisponde a quella attiva del Papa.
Essa deriva dalla virtù della fede suscitata direttamente da Dio in tutti i fedeli.
Ecco perché all’infallibilità attiva nell’insegnamento della fede, in docendo, propria della Gerarchia, corrisponde la
infallibilità passiva, in credendo, nell’apprendimento della fede, propria dei fedeli.
Si tratta del riconoscimento infallibile della voce di Dio.
«Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono Me» (Giovanni 10, 14).
Se così non fosse, San Paolo non avrebbe insegnato quanto è nella lettera ai Galati (1, 8), per cui il fedele deve rifiutare e anatemizzare chi porta un nuovo vangelo, «anche se un angelo o noi stessi».
L’autorità del Sommo Pontefice della Chiesa è vicaria, in rappresentanza di Nostro Signore Gesù Cristo.
E’ fondata sul Principio che San Pietro ha ricevuto le chiavi dal Signore che ha tutto il potere in Cielo ed in terra, potere del Sangue che Gesù Cristo ha versato nel Suo Sacrificio redentore.
Che parte può avere in questo potere chi si vuole capo di una chiesa tra le altre; chi sfigura la ragione salvatrice di questo Sangue, che diluisce la responsabilità umana di fronte alla Redenzione?

L’autorità papale è nell’ordine del’Essere; ciò insegna la «Cum ex Apostolatus».
Né l’unanimità dei cardinali, né tutto il consenso umano, possono far diventare Papa chi non ha l’integra e pura fede
cattolica.
Il dogma dell’infallibilità non si applica alla verità divina, che non ha bisogno di conferme in sé, ma all’autenticità dell’autorità umana che pronuncia tale verità come divina.
Essa è il mezzo attraverso cui filtra la verità di fede, sia in modo straordinario che ordinario, e perciò la condizione della sua autenticità è la sua trasparenza nella fede.
Papa Paolo IV ribadisce questo concetto ed invita i fedeli a resistere a chi esprime una fede deviata, specialmente se è
molto in alto.
Non fa che ricordare la verità evangelica.
San Giovanni, il più mite degli apostoli, sùbito dopo aver parlato del comando della carità, insegnava riguardo a quelli che non portano la retta dottrina: «Se qualcuno viene a voi e non porta questa dottrina, non ricevetelo in casa e non
Nell’Apocalisse (18, 4) una voce dal cielo dice: «Uscite, popolo mio, da Babilonia per non partecipare ai suoi peccati e non ricevere parte dei suoi flagelli».
Il Diritto Canonico è fondato sulla Dottrina cattolica.
Chi lo segue poggia sull’ortodossia evitando errori dottrinali.
Ora, secondo la Tradizione, il Magistero e il Codice Canonico (1917) Canone 188: A causa di rinuncia tacita, qualsiasi
ufficio si rende vacante ipso facto, senza necessità della relativa dichiarazione, qualora il chierico: abbia pubblicamente
disertato dalla fede cattolica.
C’è dunque incompatibilità assoluta tra giurisdizione cattolica ed eresia; fatto talmente evidente alla Fede cattolica che non richiede dichiarazione.
Per non parlare della logica giuridica: «Non può essere capo chi non è membro» (San Roberto Bellarmino).

Il giuramento antimodernista è una professione di fede voluta da San Pio X.
Se il consacrato infrange uno solo degli articoli su cui ha giurato fedeltà, non solo è spergiuro, ma ha rinunciato alla fede ed è ipso facto scomunicato dalla Santa Chiesa.
Ora, per un modernista che vuole cambiare la fede della Chiesa dal suo interno, questo giuramento è una «pietra d’inciampo» da rimuovere.
E’ il primo cambiamento che deve operare per agire indisturbato.
La rimozione di una professione di fede della Chiesa per i nostri tempi è già un cambiamento della fede.
«Dai loro frutti li conoscerete».
Ebbene, i Papi conciliari hanno fatto cadere la professione di fede antimodernista.
Ciò implica un’autoscomunica.
La «resistenza tradizionalista», che pensa di poter fare a meno del Diritto Canonico, crede che la legge della Chiesa sia
insufficiente per sconfiggere l’eresia, e perciò imperfetta.
Inutile addurre che manca un’autorità per giudicare: proprio essa è in causa.
E qui cominciano i compromessi «clericalisti» in cui è riconoscibile l’egheliana «gestione degli opposti», che è una
variazione della stessa deviazione del Vaticano II.

Non vi è dubbio che norme giuridiche di diritto ecclesiastico non possano essere applicate se manca l’autorità competente, il giudice con la sentenza e la forza per renderla esecutiva nella pratica.
Ma non vi è nemmeno dubbio che questa carenza non possa rendere inapplicabile una legge di diritto divino.
Allora il problema riguarda soltanto la difficoltà della giustizia umana.
E perciò quanto non si può accettare alla luce della fede, che è il fondamento della legge, rimane inaccettabile.
Non diviene obbligatorio accettare un lupo per pastore perché mancano le forze umane per cacciarlo.
Dio non chiederà mai l’impossibile agli uomini.
Ma una cosa chiede, ed in essa saremo vagliati: che non si dica che il falso pastore, con la sua falsa fede, abbia l’autorità di Dio; che sia legittimamente inviato da Lui, perché eletto in un conclave dove sono prevalsi inganni e manovre umane.
La falsa fede dell’eletto si svelerà prima o poi nei suoi frutti deleteri contro la Fede.
Pensare che costui abbia ricevuto direttamente da Dio il potere di produrli significa accusare Dio, o di ignorare i moti dei cuori e i fatti velati, o di autorizzare chi devierà il gregge che Cristo ha salvato col Suo sangue.
Una grave incongruenza riguardo alla ragione, alla legge della Chiesa e al Magistero papale, che è anche blasfema.

Quale il problema sollevato dalla Bolla di Papa Paolo IV e che è anche nel Vangelo?
Che un chierico faccia carriera nella Chiesa per raggiungere le sue cariche più alte conforme al piano delle sette e delle
ideologie che vogliono un papa per cambiare la fede.
Come difenderla?
Controllando queste carriere.
Era possibile farlo nei nostri tempi?
Se fosse stato fatto, il clero e la gerarchia attuale sarebbero cattolici, il che non è oggettivamente vero; basta seguire
le professioni di fede diversa, ecumenista, relativista, modernista, di grande parte di essi.
Non ne fanno nemmeno segreto, poggiati sulle ambiguità conciliari.
Possono essere materialmente eletti al Soglio pontificio da un conclave?
Sì.
Rappresenterebbero l’autorità di Dio che conosce la loro fede?
No.
In tal senso la Bolla di Paolo IV solo conferma quanto stabilito dalla Chiesa, per cui la condizione ontologica per essere candidati a quella carica è di avere la fede.
Se questa è deviata dal modernismo, a riconoscere l’inganno saranno i cattivi frutti dell’eletto, dopo che questi
si manifestano.
Se questo giudizio fosse soltanto soggettivo, un «difetto, paradossalmente di matrice protestante», allora la norma di
San Paolo sull’eretico, (Tt 3, 9-10); non lo ricevete né lo salutate.
Chi lo saluta partecipa alle opere malvagie di lui, (2 Giovanni 10-11) sarebbe falsa!
Chi altro è il titolare del giudizio di adeguatezza alla vera fede se non i fedeli testimoni che: «anche se voi stessi (apostoli) o un angelo del cielo venisse ad annunziare un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunziato, sia anatema»
(Galati 1- 8).
Un Papa non può essere anatema e chi è in quella condizione si giudica da solo, si auto condanna ipso facto.
Lo dice la Bolla e la legge della Chiesa, che è disponibile e va letta dagli interessati.
Qui mi limito a fare un esempio.

Se un presunto papa proclamasse che le anime si salvano professando qualsiasi fede, oltre alla falsità nella fede che è
eresia pronunciata direttamente, deroga tacitamente dalla sua carica, resa senza senso.
Qui non ci vuole alcuna autorità umana superiore al presunto papa, basta il principio d’identità e non contraddizione che è universale, per dimostrarlo nel disegno della Provvidenza.
In sintesi, sostenere che la validità dell’elezione papale e il conseguente magistero, dipenda dalla fedeltà di questo al
depositum fidei, non solo afferma un sacrosanto principio, ma pone attraverso questo il gregge al riparo dei falsi pastori.
Un loro «diverso atteggiamento nei riguardi di un’eresia», a parte l’eufemismo, è condizione sufficiente per squalificare un chierico sotto la grave accusa di «favorire l’eresia», delitto che non esclude ma indica chi manca di fede e, invece di
difenderla che è la ragione della sua carica, la espone a pericoli riciclati dalle «mutate forme, come sogliono fare i virus per sopravvivere, così che dunque occorre anche mutarne la  cura».
La cura può solo venire da un vero pastore con un magistero adeguato, cioè fedele, che rimpiazzi quello falso.
Ecco il senso dottrinale della Bolla.

E’ sedevacantismo accusare eresie papali?
Mi ricordo di un piccolo episodio di tanti anni fa.
Dopo aver molto insistito presso monsignor Mayer per la diffusione del suo libro sull’ipotesi di un papa eretico, che era in un deposito a Parigi, e aver per questo scopo richiesto l’appoggio di monsignor Lefebvre, ero a pranzo da lui ad Albano in un’occasione festiva.
Allora ero preso di mira dal priore della Fraternità San Pio X ad Albano, un certo Le Pivan, che sedutomi vicino continuava nel suo francese stridente a rimproverarmi per aver sollevato la questione del papa eretico.
Io tacevo, pigramente occupato con la forchetta, quando sento una voce vicina che esclama: ma vogliamo finirla di dire che un uomo, anche se papa, non può cadere in eresia?
Sarebbe negare che Dio ci ha creati con il libero arbitrio anche per l’errore.
Era l’amico Sanfratello, meno disposto di me a occuparsi prima della forchetta che della parola.
E non risulta che fosse «sedevacantista».

Blondet scrive rispondendo a Gennarini: Come si evolve il «mistero»?
Verso l’Anticristo.
L’uomo che si siede sul trono di Dio, e fa dio se stesso.
Tutta la nuova teologia lo suggerisce.
Ovviamente senza dirlo chiaro: «L’uomo è la via della Chiesa» (Paolo VI).
E Giovanni Paolo II, nella «Redemptor Hominis», suggerisce che Cristo, rivelandoci chi è Lui, ha mostrato a noi chi siamo. Naturalmente il tutto condito di precauzionali «in certo modo»...
Quale «modo» che escluda il panteismo evoluzionista che qui sembra adombrato.
Nessuna risposta dalla neo-Chiesa: c’è qui in atto un «mistero» che dobbiamo «penetrare»...
Bello, commovente umanesimo.

Ma quale «pastorale» ne nasce?
Direttamente, Assisi: clan, tribù (in via di evolversi in popoli e nazioni) unite nel celebrare «il mistero dell’uomo».
Di conseguenza: basta più conversioni, è sufficiente la «testimonianza».
Indifferentismo ai contenuti della verità, tanto, l’umanità è in marcia.
Verso dove?
Beh, verso una sola direzione.
Di recente la Chiesa ha abolito il limbo (s’era sbagliata per secoli su questo punto centrale: era fallibile? E adesso è
infallibile? Ma la cosa ha un senso nella «dinamica evolutiva»).
Quanto all’inferno, è probabilmente vuoto («in certo modo» ...).
Si può solo finire in Paradiso.
Come sognava Maritain: gli stupratori accanto alle loro vittime, tutti salvati e redenti.
O forse meglio: attraverso il Punto Omega di Theilhard (l’impulso della natura, la «carne», a «spiritualizzarsi»: lo disse anche Hegel), il traguardo è l’ebraico Tikkun, il «riscatto» tutto nell’aldiquà, in un immanentismo umanistico finalmente, e felicemente compiuto.
E’ questo che sarebbe venuto a rivelarci Cristo?

Blondet che riconosce un falso vangelo e Fabio de Fina che ospita i miei duri articoli, sono forse divenuti sedevacantisti? Non mi risulta.
Se non accusassero, però, le false dottrine e i suoi autori, da qualsiasi pulpito parlino, non sarebbero veri cattolici, degni
difensori della fede suscitata in noi dal Signore.
La differenza tra me e loro è che dopo un lungo percorso mi sono convinto che tali deviazioni cadono sotto anatema di Dio, dei Santi Apostoli e dei Papi; sono da colpire, non con opinioni o sentimenti indignati, ma con la legge della Chiesa.
Credo che «devo evitare i pervertitori della fede... quali, pagani, pubblicani ed eresiarchi; fermo restando l’obbligo di prestare fedeltà ed obbedienza al futuro Pontefice Romano e alle Autorità canonicamente subentranti.»
Lo insegna un vero Papa.

Come ragionano certi anti-sedevacantisti odierni?


Rispondo ora alla lettera di un amico che parla dell’opzione sedevacantista, perché voler affrontare un problema così serio parlando di opzione è già sviante, in quanto sembra riguardare una scelta personale.
No, la Chiesa cattolica esiste nell’ordine dell’Essere.
Sia nella rappresentazione dell’autorità divina, sia per i segni sacramentali della Sua grazia, o È o non c’è nel piano
ontologico.
Cosi insegnò sempre la Chiesa: per essere Papa l’uomo dev’essere lúcido e avere la fede integra.
Parimenti, perché ci sia il Sacramento ci vuole la materia e la forma, oltre che l’intenzione del ministro di compiere l’intenzione della Chiesa.
Fuori di questo abbiamo solo sentimenti e intenzioni più o meno buone che procedono dall’uomo verso l’Alto, ma che non possono supplire quanto viene da Dio all’uomo.
Perciò è stata istituita la Chiesa: perché i devoti non si mettano contromano con le loro belle intenzioni pietose, le loro
parole altisonanti nella via della salvezza.
Il ruolo del «Papato» voluto e pensato da Cristo stesso è nel senso della fede che porta alla salvezza di tutti gli uomini,
ecco quel che funge da discrimine importante, capace di connotare la vera fede cattolica e distinguerla dalle false
interpretazioni del protestantesimo, delle chiese ortodosse e oggi dall’apparato conciliare.
L’investitura di San Pietro, quale roccia visibile che fonda la Chiesa, detentore delle chiavi, comporta la professione di
fede e la capacita di confermarla infallibilmente nei fratelli.
Altrimenti non sarebbe la Chiesa voluta da Dio per salvare gli uomini nel sangue di Cristo.
La storia della Chiesa ci conferma che Papi, vescovi, cardinali, sacerdoti, religiosi si sono macchiati di tanti peccati, ma sono rimasti nella Chiesa perché professavano la fede del loro battesimo.
Ecco la vera credenziale di ogni cattolico e in primis del Pontefice.

L’infallibilità della Chiesa (e quindi papale) opera a prescindere dalla bontà dell’operatore e dalla sua fragilità; opera a partire dalla professione di fede nell’una e unica Chiesa di Gesù, roccia indelebile della Verità, della Via e della Vita.
Il problema quindi di una contraddizione in termini tra moralità del ministro si risolve nella prevalenza della Verità sulla menzogna, dell’ortodossia e dell’ortoprassi sulla condizione del peccatore.
Che prescinda, però, dalla sua ortodossia è idea ributtante; è come dire che l’uomo dispone del potere di contraddire la
fede rivelata da Dio nella Sua Chiesa con la Sua stessa autorità.
I grandi padri della Chiesa hanno discusso se un Papa potesse o no cadere in eresia, ma sul potere pontificale di un
eterodosso, solo in un mondo afflitto da un acuto stupido soggettivismo si potrebbe discutere.
Ma allora il problema è psicologico: della mancanza di un padre e ciò c’entra poco con la fede.
Anzi può rovinarla del tutto con un falso padre.
Il problema dell’ora presente, inquinata dal Vaticano II, lascia sbigottiti quanti immaginano che la legge della Chiesa non poteva prevedere una simile situazione per cui sarebbe insufficiente a risolvere un problema di queste dimensioni.
Cio è falso, non solo perché una società perfetta come la Chiesa deve disporre di una legge perfetta riguardo al diritto divino, quanto perché la Provvidenza di Dio non permetterebbe che i fedeli fossero privati di mezzi per difendersi dei falsi cristi e dei falsi profeti che abbondano anche a Roma, specialmente oltre il Tevere, per operare un brusco cambiamento
di direzione; una evidente contraddizione in termini nell’immutabile insegnamento dei contenuti della vera fede, che è
proprio quel che accade dopo Pio XII.

Si vorrebbe porre il problema in questi termini: i Pontefici del post-concilio hanno dimenticato la vera fede cattolica,
insegnano un cristianesimo umanizzato, diverso dalla dottrina perenne della Chiesa di Cristo.
L’equazione parte, quindi, dalla soluzione: «i veri pontefici», per poi stabilire l’incognita: «una fede mutata»!
Così, sentimentalmente, non solo la legge della Chiesa è lasciata fuori, ma anche quel po’ di buona aritmetica che ci
potrebbe aiutare.
Per essere meno feroci con la logica stessa si dovrebbe fare una prima considerazione cattolica: ha il conclave che elegge un Papa un valore assoluto?
O dipende da una fallibile conoscenza umana dei candidati papabili?
Per esempio, è da escludere l’idea che un chierico possa aver passato la vita spinto dall’intenzione di «migliorare»
la Chiesa dove lo stesso Signore sembra aver fallito?
L’idea dell’assolutezza del conclave lo esclude, e si arriva a dire che è lo Spirito Santo che elegge il Papa; non che assista l’elezione se davvero invocato, ma che elegge anche un modernista spergiuro del suo voto.
Lascio questa grave riflessione, che coinvolge il mondo delle anime, a chi vorrebbe difendere anche un nuovo Ario o
Sergio o Lutero o qualcuno nel mondo frankista o modernista, se approvato da un conclave.

Intanto, per tornare al serio, propongo la lettura dell’importante Bolla papale sulla materia.
E che non si dica poi che si trattava di un Papa affetto da sedevacantismo precoce, volutamente generico, volto a cogliere
i presupposti generali che portano alle estreme conseguenze dell’estinzione della Chiesa Dio!
Tali attacchi al Magistero aprono la strada ad un’autorità divina personalizzata.
Perciò parlo di un aspetto superstizioso, per non dire idolatrico, di quanti si ergono a difensori, non del Papa cattolico, ma dei chierici che occupano quella carica e che in questioni di fede dovrebbero giustificarsi anche coi minimi dei fedeli,
come del resto insegnarono gli stessi Papi e santi.
Si pensi a don Bosco che difen¬deva i diritti della Chiesa e del sommo Pon¬tefice con tanto ardire, che destò lo stupo¬re
universale.
Egli aveva fatto ciò durante due visite a Roma nel 1871, e Pio IX gli aveva scritto una lettera autografa per manifestargli tutta la fiducia che aveva nella bontà di Dio e nella perenne protezione da Lui promes¬sa alla Chiesa.
Eppure, basta ricordare che don Bosco non voleva che i suoi ragazzi acclamassero il Papa con un - viva Pio IX! poiché
solo era giusto dire: viva il Papa!
Ma i Papi conciliari sembra che si nutrano di applausi e godano da auto promozioni.

Nel caso di Giovanni XXIII, perfino il «miracolo» per la sua beatificazione svela questo spirito.
Infatti egli avrebbe detto alla suora malata: «questo miracolo me lo strappi proprio dal cuore!», mentre ogni santo di ogni tempo e perfino Milingo, hanno sempre ripetuto ad ogni occasione che il miracolo non viene da un io, ma da Dio.
Così come il potere del Papa non viene dall’uomo incoronato ma da Dio.
Eppure nel 13 novembre 1964, Paolo VI deporrà la «tiara» (il «triregno») sull’altare, rinunciandovi definitivamente.
Un gesto, questo, che fu l’obiettivo della «Rivoluzione Francese», della religione dell’uomo che si fa dio e che ci ricorda le parole del massone Albert Pike: «Gli ispiratori, i filosofi e i capi storici della Rivoluzione Francese avevano giurato di
rovesciare la ‘corona’ e la ‘tiara’ sulla tomba di Jacques de Molay».
Era previsto anche che i nuovi capi indossassero l’ephod di Caifa in contrasto con la Croce?
Dalle «croci» moderne, come quella di Fatima, si capisce il loro amore per il mondo moderno.

Arai Daniele



1) «La Nouvelle Messe de Paul VI: Qu’en penser?», Diffusion de la Pensée Française, Vouillé, 1975. L’autore ufficiale è l’avvocato Arnaldo Xavier da Silveira, membro della TFP, che lo ha scritto a Campos, insieme al Vescovo Antonio
de Casto Mayer. Ciò è fatto risaputo, confermatomi dallo stesso illustre presule con le parole: «Un lavoro scritto a quattro mani». Da notare che nell’originale in portoghese, inviato in Vaticano e distribuito a tutti i vescovi del Brasile, e offertomi da don Mayer, la questione del papa eretico precede quella della Messa.


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