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Mubarak, riflessioni sul potere (utili anche per noi)
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Confesso la mia ingenuità: avevo stima di Mubarak. Un uomo duro ma disinteressato, un militare tutto d’un pezzo preoccupato di salvaguardare il suo onore, uno che anche in queste ultime ore ha dichiarato: non mi faccio cacciare dal mio Paese, morirò in Egitto, non sono mica un Ben Ali.

Invece ora scopro che secondo Aladdin Elaasar, suo biografo non autorizzato, «la ricchezza della famiglia si valuta tra i 50 e i 70 miliardi di dollari». Per confronto: l’uomo ritenuto il più ricco del mondo, Bill Gates di Microsoft, ha un patrimonio valutato 53 miliardi di dollari; il secondo, Warren Buffet, vale 47 miliardi. Ma Mubarak e famiglia si sono arricchiti non coi profitti di un’impresa leader mondiale, né con speculazioni astute, ma sulla pelle di una popolazione tanto impoverita da scendere in piazza perchè rincara il pane. (Egypt's Mubarak Likely to Retain Vast Wealth)

Hosni Mubarak
   Hosni Mubarak
Confesso, nella mia ingenuità, che non credevo si potesse estrarre dall’Egitto, povero, senza petrolio, la cui principale attività è il turismo, una così spropositata ricchezza personale. Ma i biografi parlano di «stile di vita principesco» di Mubarak e famiglia, «con numerose magioni sparse nel Paese» (non ricorda qualcuno?), ricchezza accumulata con «imprese affaristiche collegate alla sua posizione nellarmata e nello Stato»; «un accaparramento sistematico di risorse pubbliche per profitto personale», che «soffoca leconomia». La maggior parte del patrimonio dei Mubarak, come degli altri dittatori medio orientali, è prudentemente tenuto in Gran Bretagna o Svizzera, onde non possa essere sequestrato da un governo rivoluzionario.

Infatti Esam Al Amin, un altro ben informato cronista della rivoluzione egiziana, riferisce che il progetto e i metodi per stroncare la grande manifestazione di piazza sono stati elaborati in una riunione fra i maggiorenti del partito di Mubarak e «il Comitato dei 40», che è «un gruppo di tycoons e di oligarchi che si sono impadroniti dei principali settori delleconomia egiziana in quanto stretti soci di Jamal Mubarak, il figlio del presidente».

Ciascuno di questi ricconi di Stato si impegnò in quella sede a pagare gente delle proprie imprese, delinquenti comuni e altri prezzolati (baltagies) da lanciare contro la folla nella controrivoluzione cui abbiamo assistito. Elementi della Polizia segreta sono stati naturalmente aggregati alla manovra.

Il 2 febbraio, alle 2 del pomeriggio, circa tremila baltagies sono stati scatenati, secondo i piani, contro le decine di migliaia di manifestanti che stazionavano in piazza Tahrir; erano armati di bastoni, pietre e oggetti da taglio.

Poiché la folla non si disperdeva, ma anzi rispondeva all’attacco, sono stati fatti entrare in scena i pro-Mubarak a cavallo e su cammello; ma, anche stavolta, la folla ha combattuto a mani nude, riuscendo persino ad arrestare 350 baltagies e cammellieri, che ha consegnato alle unità dell’armata presenti sulla scena (rimaste inattive). Dai documenti di identità dei fermati, molti risultano membri del partito di Mubarak, il NPD; altri hanno ammesso di essere stati pagati l’equivalente di 10 dollari per partecipare al pestaggio; i cavalieri e i camellieri hanno confessato di aver ricevuto 70 dollari ciascuno…


I teppisti di Hosni Mubarak mentre invadono una protesta pacifica


Ma non era ancora finita; decine di baltagies sono saliti sui tetti delle case vicine da cui hanno lanciato centinaia di molotov sulla folla sottostante, la quale si adoperava a spegnere i focolai d’incendio (anche sul vicino museo egizio); sopraggiunta l’oscurità, i pro-Mubarak hanno comninciato a sparare gas lacrimogeni ed anche proiettili veri dal vicino cavalcavia (evidentemente, si trattava di poliziotti).

Al mattino, piazza Tahrir era un campo di battaglia, dove si contavano almeno una decina di morti e 2.500 feriti dai lanci di pietre, molotov e di bastoni, 900 dei quali gravi, che sono ricoverati. Ma a folla, con il suo coraggio e ostinazione, non ha ceduto il campo, e il piano dei tycoons è fallito. (Mubarak's Last Gasps)

S’é avuta notizia dell’arresto, nel corso dei disordini provocati dal regime, di un militare israeliano, membro del Sayeret Matkal (Unità di Ricognizione delllo Stato Maggiore), che è il gruppo di commandos di elite più celebrato per le sue ardite operazioni clandestine. E’ notorio che Israele ha ingiunto alla Casa Bianca e alle cancellerie europee di sostenere ad ogni costo Mubarak e il suo regime; è più che probabile l’abbia aiutato con operazioni segrete.

Omar Suleiman
   Omar Suleiman
Dati questi nemici, la battaglia degli egiziani per la loro libertà è lungi dall’essere vinta. L’uomo che Mubarak ha scelto come vice-presidente, Omar Suleiman, è stato formato in USA nelle scuole militari, ed è uno stimato collaboratore del Mossad e della CIA, per conto della quale ha interrogato (a volte personalmente) individui arrestati in Iraq e Afghanistan ed etichettati dagli americani come terroristi islamici.

La paralisi del turismo sta impoverendo il Paese di ora in ora; una strana esplosione ha neutralizzato nel Sinai il gasdotto che porta il poco gas egiziano alla Giordania e ad Israele; uno dei pochi cespiti del Paese è stato così azzerato. E’ possibile che i poteri ostili rispondano alla domanda di liberazione degli egiziani con la fame. Come del resto fanno, impunemente da anni, a Gaza.

Ho riportato queste informazioni, anche se credo già note, come elemento di riflessione: sulla natura del potere moderno – il denaro come fine unico, il puro sfruttamento parassitario dei popoli che pretende di servire, scandaloso arricchimento alle loro spalle che consente, per giunta per conto di interessi stranieri; e un potere difficilissimo da scalzare, collosamente inamovibile in ragione delle alleanze disoneste degli interessi che riesce a associare al proprio destino, sia all’interno che all’esterno.

Mi pare che la lezione possa applicarsi altrettanto bene, ahimè, anche alla nostra democratura.



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