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Ciancimino dal Post-It a Photoshop
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«Lattuale equilibrio politico e istituzionale è fondato sulle stragi del 1992», ha detto qualche mese fa il sostituto procuratore di Palermo Antonio Ingroia. Il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso non è stato da meno: «Cosa Nostra, attraverso queste azioni criminali, ha inteso agevolare lavvento di nuove realtà politiche che potessero poi esaudire le sue richieste».

In succo: se abbiamo il governo Berlusconi, è perchè la Mafia a forza di stragi (a cominciare da quelle di Falcone, di Borsellino e delle loro scorte) è riuscita a imporre la sua volontà allo Stato. Anzi, ci fu una oscura e segretissima trattativa Stato-Mafia: uomini delle istituzioni, d’altissimo livello andarono a chiedere ai mafiosi: che cosa volete per smettere? «Vogliamo Forza Italia, il partito che sta fondando il nostro amico Marcello DellUtri». Così dev’essere andata. Era stato infatti Dell’Utri a mettere in contatto gli uomini delle istituzioni con i livelli altissimi e veri della Mafia; al punto che Vito Ciancimino sindaco di Palermo, normalmente usato per questi occulti rapporti Stato-mafia, si sentì scavalcato.

Antonio Ingroia
   Antonio Ingroia
E’ questa la trama delittuosa su cui indaga da anni il pool di Palermo capeggiato da Ingroia, ben coperto dal procuratore-capo Messineo. Il castello accusatorio si basa quasi totalmente sulle rivelazioni del figlio del defunto Ciancimino. Rivelazioni sostenute da prove: Ciancimino figlio ha consegnato il papello in cui Totò Riina poneva le sue condizioni agli uomini dello Stato, in mano a Vito Ciancimino padre; secondo il figlio, il padre l’aveva messo in cassaforte appiccicandovi sopra un Post-It giallo in cui lo stesso don Vito (defunto nel 2002) aveva annotato di averlo consegnato al generale dei carabinieri Mario Mori. Il Post-It non era rimasto; ciò non aveva impedito al pm Ingroia di trascinare in giudizio, come complice della Mafia il generale dei carabinieri Mario Mori. Del resto il generale Mori è una bestia nera per il pool di Palermo fin da quando non aveva assecondato i teoremi di Caselli.

L’altra prova-regina è una cartolina che Ciancimino padre aveva inviato a se stesso, e in cui aveva scarabocchiato i nomi di tredici fra ex ministri ed altissimi funzionari che avevano preso parte alla trattativa; anzi di più, questa cartolina era l’organigramma del Quarto Livello, la potentissima e occultissima cupola in cui Stato e Mafia si fondono, e sono una cosa sola.

In questa lista di nomi grossi (Santovito, Malpica, Contrada, Sica…) c’è un F/C Gross: questo nome è cerchiato a penna, e una freccia lo congiunge al nome De Gennaro: l’ex capo della Polizia, oggi al vertice dei servizi. Da notare: Massimo Ciancimino ha detto ai giudici che suo padre fece quel collegamento Gross-De Gennaro «in sua presenza». Questo De Gennaro, spiega poi alla siciliana Ciancimino figlio, è o può essere il signor Franco, il misterioso anello di congiunzione tra il capomafia Provenzano e le istituzioni.





Prudentemente, Ciancimino figlio consegnava ai procuratori le fotocopie di quei foglietti e papelli; il pm Ingroia non gli ha mai ingiunto di produrre gli originali. Del resto, di che diffidare? Le rivelazioni di Ciancimino-figlio confermano, e danno luminosa chiarezza, a quel che la procura di Palermo cerca da decenni: appunto il quarto livello, la prova che Stato e Mafia sono una sola cosa criminale, in quanto tali ugualmente punibili dalla magistratura.

Ai tempi di Caselli, il Belzebù sotto accusa era Andreotti, il sospetto capo-cupola Mafia-Stato, e Buscetta nella parte di accusatore per sentito dire oggi ricoperta da Ciancimino. Collaboratori tanto credibili, per i pm, da non aver mai douto portare prove e riscontri obbiettivi che si esigerebbero da testimoni normali; bastava la loro parola proprio perchè mafiosi, addentro all’ambiente; quando emanavano allusioni velenose sugli ambienti politici collusi le loro parole erano oracoli. Per lo più, si tratta delle chiacchiere velenose che qualunque siculo di un certo peso, magari anche dirigente di banca o di partito, racconta a bassa voce al giornalista venuto dal Nord alla prima cena a quattr’occhi al ristorante del Due Palme. E che il giornalista accorto ascolta affascinato ma che non scriverà mai, sapendo che la calunnia a mezza bocca, il sospetto sparso dovunque, magari anche solo per farsi vedere informato, sono un carattere siciliano almeno quanto l’omertà, di cui sembrano il vizio contrario; in una sola sera, se dai retta a loro già sai tutto, hai l’organigramma in mano o nel retro di una busta usata... Roba inutilizzabile. Se non per i giudici di Palermo, che la perseguono con una ostinazione, in fondo, pateticamente freudiana: Solo l’esistenza del quarto livello spiega infatti come mai i pm di Palermo, così bravi, non riescono a sradicare la Mafia. Eh certo, la Mafia è il governo Berlusconi, è i servizi segreti, è i Carabinieri, il generale Mori, Dell’Utri...

Ciò spiega anche perchè Massimo Ciancimino sia stato in questi mesi ospite gradito di Annozero nonchè ai festival dell’Unità, nonchè ascoltatissimo da Marco Travaglio: la sinistra ha il bisogno onirico di spiegarsi il perchè, nonostante sia così moralmente superiore, non riesce a vincere le elezioni. Non sta lottando contro un avversario politico, ma contro il più grande criminale della storia italiana, colui che ha unito Stato e Mafia nello stesso pugno. E’ appena uscito un libro di Maurizio Torrealta, giornalista di RaiNews, intitolato Il quarto livelloe basato esclusivamente sulle asserzioni, rivelazioni e papelli consegnati in fotocopia da Ciancimino. Con prefazione, anzi corposo saggio introduttivo, di Antonio Ingroia, procuratore di Palermo non alieno da interventi, conferenze e tavole rotonde.

Ebbene: adesso la Polizia scientifica ha comprovato che in quella cartolina dove Ciancimino padre avrebbe vergato i nomi del quarto livello, quello di De Gennaro è stato aggiunto con Photoshop, copiandolo e incollandolo da un altro appunto del fu Ciancimino, dove peraltro si parlava di un giudice quasi omonimo, Di Gennaro. Il falsificatore incapace ha persino trasferito un pezzettino di parentesi che c’era in un pizzino, e non nell’altro. La stessa procura di Palermo ha arrestato il Ciancimino per calunnia contro De Gennaro (non contro Mori o dell’Utri).

Rivelatore il commento di Marco Travaglio alla caduta del suo idolo: Ciancimino dica, ingiunge su Il Fatto Quotidiano, se è «la vittima di qualcuno che gli ha fornito carte false». O addirittura «un uomo ricattato e costretto a suicidarsi per screditare tutto quel che di vero aveva raccontato finora?».

Insomma, Travaglio si confessa: sono pronto a escogitare una teoria del complotto ancora più fantastica, pur di tenere in piedi il castello di accuse creato da Ciancimino-figlio. Sono pronto a dimostrare che il quarto livello è la Spectre dai superpoteri non solo occulti ma paranormali, che ti ha influito sul cervello; basta che tu, Ciancimino figlio, ce la racconti ancora una volta, e noi la difenderemo.

Antonio Ingroia
   Mario Mori
Il fatto è che, come s’è visto, è da escludere un trappolone (fatto dai famigerati servizi, e sempre affermabile quando è in ballo il nome dell’intoccabile De Gennaro); Ciancimino figlio ha detto espressamente e spontaneamente, prima che si scoprisse il falso, che nella cartolina, fu «in sua presenza» che suo padre aggiunse il nome De Gennaro. No, Ciancimino ha fatto tutto da solo: l’uomo che ha potuto trascinare in giudizio un generale Mori in base a un Post-It che diceva esserci stato, è stato alla fine tradito dalla sua incompetenza con Photoshop.

Dichiarazione finale del pm Antonio Ingroia: Ciancimino, «ha alterato un documento, non vuol dire che abbia sempre detto il falso». E’ questo il problema: Ciancimino è dentro, gli Ingroia restano al loro posto, protetti dall’immunità dell’irresponsabilità che la Casta estende su di loro (1).




1) Non comincino i lettori ad elencarmi «le rivelazioni da Ciacimino rese a verbale in sentenze già confermate da sentenze di primo e secondo grado, né le intercettazioni in cui Ciancimino parla di soldi dati a politici (Vizzini, Cuffaro, il neoministro Romano); né le rivelazioni rese a verbale e già confermate da sentenze di primo e secondo grado, ma soprattutto da quei politici che hanno ritrovato la memoria ventanni dopo quando li ha tirati in ballo lui» perchè queste le ho già lette su Il Fatto di Travaglio. E non mi parlino di Mangano lo stalliere di Arcole. Può anche essere tutto vero. Sono pronto a credere che davvero siamo sotto l’imperio occulto di una cupola mafiosa e politica senza scruppoli e con mezzi potentissimi. A maggior ragione, un magistrato come Ingroia e i suoi collaboratori del pool andrebbero rimossi per palese incompetenza e incapacità professionale: tanti riscontri, soffiate, rivelazioni de relato e deposizioni di pentiti Spatuzza, e mai sono stati capaci di incastrare la Cupola con prove che reggano in aula. Anzi, il Consiglio Superiore della Magistratura avrebbe gli elementi per accusare i professionisti dell’Antimafia - oggettivamente - di ostruzione di giustizia nella più importante e scottante causa della storia italiana.


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