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Banche europee: peggio di Goldman
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«Non accettiamo di pagare i piatti rotti della mancata regolamentazione americana»: parole di Francois Fillon, il Primo Ministro francese. «In Europa si pensa che il sistema americano è impazzito», dice Elie Cohen, direttore del Paris Institute for Political Studies. Sarkozy e persino la Merkel levano critiche contro la speculazione che Washington non ha voluto regolare.

Tutte queste critiche si basano sul presupposto che le banche europee, invece, siano più solide e virtuose, meno esposte, hanno commesso meno azzardi. Dunque, da noi la crisi colpirà meno; e se colpirà, sarà solo come conseguenza della follia americana. Ma è vero? Andiamo a vedere.

Si punta il dito sull’eccessivo «leverage» della finanza speculativa USA, ossia dell’eccesso di debito rispetto al capitale proprio: Lehman Brother, la banca d’affari fallita, aveva una «leva» di 30 a 1, ovvero 30 dollari di debito per uno di capitale; ben oltre il consentito alle banche commerciali, soggette a controllo della FED, che sono sull' 11-15 a 1.

Dunque: Lehman 30 a 1, JP Morgan 30 a 1, Goldman Sachs 22 a 1. E allora vediamo alcune grandi banche europee: Deutsche Bank? Leverage 50 a 1. Barclays Bank: 60 a 1. L’olandese ING: 48 a 1. E via così.

«Le dieci più grandi banche d’Europa hanno attualmente, in media, un leverage di 35 a 1, molto aumentato nell’ultimo anno, in confronto a meno di 20 a 1 per le più grandi banche USA»: così  rivela Stefano Micossi, direttore di Assonime, in un articolo sul Financial Times firmato insieme a Daniel Gross, direttore del Center for European Policy Studies di  Bruxelles (1).

Dunque i normali istituti di credito europei si sono indebitati il doppio e il triplo delle più azzardate imprese speculative americane. E il peggio è che lo nascondono: alle autorità di controllo, le nostre banche virtuose «riferiscono tassi di leva attorno al 10», come vogliono appunto le regole delle Banche Centrali. Com’è possibile questo enorme falso in atto pubblico?

E’ possibile in molti modi. In parte, perchè le banche europee - che a noi depositanti si presentano come normali istituti commerciali - hanno «massicce attività di investment banking all’interno», che sfuggono alle regole di capitale minimo di riserva imposto dai regolatori: insomma, le banche nostrane sono una unione incestuosa di credito commerciale e speculazione pura senza regole e soprattutto senza controllo, per cui sono paurosamente sotto-capitalizzate.

Un altro modo di di truffare sull’obbligo di riserva minima si è scoperto quando il Tesoro americano ha salvato, comprandola, la AIG, la grande compagnia di assicurazioni americana. Nel suo ultimo bilancio, la AIG attesta di avere coperto le banche europee per «assicurazione sul credito» per 300 miliardi di dollari. E le banche europee non hanno voluto questa copertura per «mitigare il rischio», dice la stessa AIG nel suo commento al proprio bilancio, bensì per «alleggerire i requisiti di capitale imposti dal regolatore».

Insomma, par di capire che le nostre banche virtuose hanno comprato dalla AIG contratti di assicurazione sul rischio contro l’insolvenza dei propri clienti; con una copertura così sicura (capirai, è la AIG) si potevano assumere rischi ben superiori a quelli permessi dall’obbligo di riserva.

Se il Tesoro americano non avesse salvato la AIG e questa fosse fallita, le banche europee si sarebbero trovate nell’immediata necessità di aumentare e di molto i capitale proprio, o si sarebbero trovate senza capitale sufficiente per far fronte agli impegni; insomma sarebbero state trascinate nell’insolvenza con l’assicuratore americano.

Il ministro Paulson, con la AIG, ha salvato il sistema bancario europeo. Quello che ci dicono «meno esposto» alla bolla USA , e «più prudente».

Macchè prudenti, dicono Micossi e Gross: le banche europee più grosse approfitteranno del fondo di salvataggio di 700 miliardi di dollari che il Tesoro USA sta cercando di approntare per comprare gli «attvii tossici» delle banche americane; ne approfitteranno quanto e più delle americane, perchè anche loro sono strapiene di questi titoli invendibili. Quanti, non si sa.

Il rischio aggiuntivo che pongono al sistema bancario europeo i nostri virtuosi istituti, è dato dalle loro dimensioni.

Deutsche Bank, che si è indebitata surrettiziamente, e in violazione occulta delle regolamentazioni, per 50 volte il proprio capitale, ha «passivi totali ammontanti a 2 mila miliardi di euro, più di quelli di Fannie Mae, e (soprattutto) pari all’80%  del prodotto interno lordo della Germania». Se crolla la Deutsche Bank, nemmeno lo Stato tedesco ha i mezzi per soccorrerla, e men che meno la Bundesbank.

Ciò vale ancor più per la Barclays Bank: esposta per 60 volte il suo capitale, con passività di 1.300 miliardi di sterline, «equivalenti al prodotto interno lordo britannico». E vale per il malconcio gruppo Fortis: ha un leverage di «solo» 33 (33 euro di debiti per 1 di capitale), ma i suoi passivi sono «tre volte il prodotto interno lordo del suo Paese, il Belgio» (2).

«Too big to fail», troppo grande per fallire, si diceva della grandi finanziarie americane (che sono fallite). Per le europee, scrivono i due autori, vale un detto diverso: «too big to be saved», troppo grosse per essere salvate. Le intere risorse degli Stati in cui hanno sede non bastano. Solo la Banca Centrale Europea potrà intervenire, «avendo la possibilità di emettere quantità illimitate di una moneta di riserva mondiale», ossia alluvioni di euro. Con tanti saluti all’inflazione e al nostro potere d’acquisto.

In USA, gli americani stanno cominciando a chiedere conto alle loro banche, e ai loro «regolatori» che hanno mancato di regolare e di controllare. Da noi, nulla.

Cosa dice Draghi? Perchè lui e i suoi pari hanno lasciato che le banche unissero al credito commerciale attività speculative? Perchè hanno fatto finta di credere che il sistema bancario avesse i requisiti di capitale minimo richiesto, quando non era vero?

Costoro hanno lasciato crescere nel sistema europeo gli stessi orrori del sistema finanziario americano: indebitamento eccessivo, opacità, assunzioni di rischi incalcolabili.

I Draghi d’Europa «sono seduti su una bomba ad orologeria» e stanno pure zitti. Un giorno, se siamo cittadini e non servi, dovremo processarli.




1) Daniel Gros, Stefano Micossi, «European banks on borrowed time», Financial Times, 23 settembre 2008.
2) A quanto pare, dell’immenso buco occultato sono colpevoli le grandi e grandissime banche. I piccoli istituti di credito locali paiono essere i più sicuri.


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