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La cretinizzazione dell’Occidente
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E pensare che ci avevano detto: Ben Bernanke, il governatore della FED, è un grande intellettuale, il massimo studioso della Depressione anni ‘30, sta facendo le cose giuste per scongiurare che il crack finanziario si trasformi in un’altra Grande Depressione.

Quanto al ministro del Tesoro Hank Paulson, la sua potenza intellettuale era attestata dal semplice  fatto d’essere stato il capo supremo, e strapagato, di Goldman Sachs: come si può anche solo dubitare che la più brillante banca d’affari della storia non dia il comando e miliardi di bonus solo ai «best and brightest», ai migliori e più acuti?

Saranno anche cinici, ma sono bravi; dunque, la crisi è in buone mani. E  invece, a far la cosa giusta subito, senza perdere tempo, è stata la dirigenza cinese. Con lo stanziamento colossale di 600 miliardi di dollari (un sesto del PIL cinese) per il lancio alla grande di infrastrutture come ferrovie e reti elettriche, case a basso prezzo e spese sociali - sanitarie - insomma lo stimolo fiscale keynesiano - ha mostrato più audacia e più intelligenza degli intelligentissimi americani. E adesso sono loro, i maestri, che stanno cercando di imitare l’allievo. Goffamente e in ritardo.

Anche Paulson, come ricordiamo, ha immediatamente stanziato una cifra astronomica, estorcendo ai contribuenti e al Congresso 700 miliardi di dollari. Ma per quale scopo?

Quello che gli suggeriva il suo istinto di finanziere-speculatore: non salvare l’economia reale (di cui a Goldman Sachs non sanno nulla), bensì le finanziarie speculative. E ha cercato di farlo in modo che le banche e gli speculatori non pagassero alcun prezzo per la crisi che hanno provocato. Anzi.

Con i 700 miliardi, Paulson - o meglio lo Stato americano - ha voluto comprare tutti gli «attivi tossici», ossia tutti i titoli-spazzatura oggi invendibili che le banche hanno in pancia, a prezzi superiori alle loro attuali quotazioni (che sono più o meno zero); insomma liberare i bilanci delle banche dai crediti sub-prime ed altri derivati putrefatti, non solo gratis, ma facendo loro anche regali.

Ora però ha rinunciato. Il genio della finanza si rimangia tutto, fa flip-flop (1).

Il 12 novembre Paulson ha ammesso che «comprare gli attivi illiquidi connessi ai mutui» non è «il modo più efficace di usare i fondi» che ha estorto. E ha annunciato che ne userà una parte per iniettare capitale nelle banche (ossia: in cambio dei soldi, almeno si farà dare azioni delle banche), per sostenere i prestiti dati agli studenti, ai compratori di auto a rate e alle carte di credito; e per  ridurre i pignoramenti, aiutando i padroni di casa col mutuo che non possono pagare, a ristrutturare il mutuo, e restare nelle loro case con rate  che possano permettersi.

Un aiuto all’economia reale, finalmente: se quelli con il mutuo continuano a pagarlo, essi sostengono anche i titoli composti da mutui, e dunque le case di mattoni sostengono la finanza.

Ma Paulson non ha capito: voleva salvare la finanza e non i debitori col mutuo. Ora lo fa con un ritardo fatale, quando ormai le case sequestrate sono una valanga. Al punto che la superbanca Citigroup ha rinunciato a pignorare gli immobili dei suoi debitori insolventi: ciò che otteneva era solo un parco di case vuote, abbandonate al saccheggio e dunque con valore precipitante, su cui per di più doveva pagare le tasse di proprietà.

La presunta mente superiore si è rivelata una figura meschina di incompetente, guidato non da un sapere economico basato sull’esperienza, ma da una ideologia fallimentare. E dall’istinto di salvare i «colleghi» di speculazione, di ripararli dalla rovina comune e di mantenere il loro potere sul deserto che hanno fatto.

E che dire di Bernanke? Lui non è uno speculatore, ma un economista universitario, un pensatore. Uno che per tutta la vita ha studiato il 1929 e gli errori che allora i governi e la Federal Reserve commisero, trasformando il crack in Depressione epocale, onde non ripeterli più. Ebbene, che ha fatto questo genio?

Dopo aver iniettato capitali sulle banche anche lui, spargendo dollari con l’elicottero senza esito (le banche continuano a non fare credito, nemmeno alle altre banche) ecco che ricorre alla misura che gli sembra acuta: taglia i tassi d’interesse, ormai vicini allo zero.

Insomma commette quell’errore, o meglio quella scemenza intellettuale, che Keynes ha chiamato «pushing on a string». Tenete a mente questa frase, perchè la troverete ripetuta spesso nel prossimo futuro. Significa, letteralmente, «spingere con un filo».

La metafora è quella del filo che tiene un palloncino: con il filo, tu puoi «tirare giù» il palloncino, ma non spingerlo sù se è sgonfio. Agire sul filo per «spingere», non funziona.

Fuor di metafora: tagliare gli interessi (ossia rendere il denaro meno costoso) è utile ad innescare una ripresa in tempi normali, perchè incoraggia aziende e privati a prendere più denaro a prestito, e ciò stimola economia e consumi. Ma questi non sono tempi normali.

Sono i tempi segnalati da Keynes, in cui le imprese non si vogliono indebitare nemmeno a costo zero, perchè la recessione non dà prospettive di profitti con cui pagare i debiti; e i privati, già stra-indebitati, allarmati dalla disoccupazione incombente, stringono la cinghia e non si vogliono indebitare ancora.

In Italia, i vecchi economisti usavano un’altra metafora: «Il cavallo non beve». Per quanta acqua gli si dia a disposizione (liquidità a costo zero), se il cavallo («the animal spirit of capitalism»), non ne ha voglia, non beve.

E’ per questo che Keynes consigliava l’intervento diretto dello Stato nell’economia, a sostituire con la spesa pubblica la mancata spesa delle imprese e dei consumatori. Quel che ha fatto appunto la Cina.

Come  uno studente del primo anno alla Bocconi, Bernanke adotta la ricetta semplice - e sbagliata. Per di più, in tragico ritardo. Quando ormai nè le banche vogliono prestare, nè i privati o aziende vogliono chiedere in prestito. Così comincia il guaio vero.

Perchè quando arrivano momenti come questi - che le masse cessano di indebitarsi e cominciano (tutti insieme) a risparmiare, e consumare meno - succede una cosa terribile: la massa monetaria si riduce drasticamente, dato che il denaro oggi viene creato indebitando la gente.

Indebitandola ad interesse, il che significa che la massa dei debitori deve più dell’ammontare che ha preso in prestito; sicchè quando la massa complessiva cessa di chiedere prestiti, l’effetto finale è che non c’è abbastanza denaro - nemmeno abbastanza perchè i debitori che vogliono rientrare possano pagare le bollette e insieme, «servire» (cioè restituire a rate quote di capitale e d’interessi) il debito precedentemente contratto.

Per questo si dice che, mentre l’inflazione favorisce i debitori (annacquando i loro debiti), la deflazione li strangola.

In deflazione, il debito (mutui, carte di credito, prestiti-auto) diventa schiacciante, anche se il denaro è a tasso zero; perchè i redditi scendono, mentre il debito resta fisso, e dunque a tassi reali comunque troppo alti.

Negli anni ‘30, i contadini americani non riuscivano a pagare i mutui sui terreni, perchè il grano che mietevano ribassava di continuo. Furono ridotti alla fame e a vagare raminghi nel West, dopo aver perso tutto e sì che negli anni ‘30 l’indebitamento generale era una sciocchezza, rispetto ad oggi.

Insomma: dopo aver studiato tutta la vita come scongiurare la deflazione post-29, Bernanke - giunto alla prova suprema della sua esistenza, per cui si era preparato - ha fatto cilecca.

Ormai, in USA ma anche in Europa, la deflazione è instaurata.

Già si comincia a vederne il sintomo più sinistro: rallentano gli acquisti di auto e case. Non solo perchè la gente è più povera; anche perchè c’è l’aspettativa che forse, tra sei mesi e un anno, le case e le auto te le tireranno dietro, pur di venderle.

Questo crea il circolo vizioso deflazionista: ritardi gli acquisti, in attesa di ribassi; a forza di ribassi, le ditte falliscono perchè non riescono a pagare i «loro» debiti; alla fine anche tu non puoi comprare l’auto nuova al 50% di sconto, perchè sei stato licenziato e non hai più reddito.

Anche Bernanke, come Paulson, si è rivelato un cretino storico; e non perchè manchi di cervello, ma perchè anche lui si è lasciato guidare dall’ortodossia economica-liberista, terminale (della Banca Centrale Europea non è nemmeno il caso di parlare: Trichet si è rivelato anche più torpido e confuso economista dei suoi compari americani; qui non siamo alla stupidità, ma al mongolismo clinico).

Bernanke doveva fare subito come il regime di Pechino: lanciare grandi programmi di opere publiche, aiuti agli Stati che rischiano di chiudere scuole e servizi, rinnovare infrastrutture, come minimo mettere i soldi in tasca ai consumatori. Ma poi, poteva?

Un momento: fra Cina e USA c’è una differenza sostanziale. La Cina può stanziare 600 miliardi in opere pubbliche e infrastrutture perchè ce li ha. Sono le sue riserve, guadagnate a forza di esportazioni e di lavoro (malpagato) dei suoi cinesi. E invece l’America, se vuole spendere 600 miliardi in un programma keynesiano di spesa pubblica, dove li prende?

Come al solito: a credito dalla Cina. Ossia deve spacciare ai cinesi altri Buoni del Tesoro denominati in dollari.

Fino ad oggi, la Cina ha sempre accettato questi BOT in pagamento delle sue merci, perchè così facendo dava agli americani il denaro per comprare i suoi prodotti. Così ha finanziato e rifinanziato di continuo il consumo americano. Ossia: quando i BOT venivano a scadenza, non pretendeva denaro vero (magari oro), ma si contentava di altri BOT a scadenza più lontana (2).

Oggi, però, non solo il consumatore americano comprerà meno merci cinesi, e a Pechino lo sanno, dunque il loro interesse per i consumi USA diminuisce; la Cina, soprattutto, oggi ha bisogno dei capitali che prima prestava, per alimentare il suo programma di opere pubbliche. Con ciò, conta di creare lavori per i cinesi che lo stanno perdendo a causa della crisi dell’export mondiale.

Ma, una volta di più, il tipo di rilancio cinese mostra un’intelligenza che manca in Occidente.

Pechino non mette in tasca 600 dollari ad ogni cittadino (come ha fattto Bush con gli americani), nè inventa «rottamazioni» per invogliare a comprare auto con lo sconto (come fanno qui i servi della Fiat). Pechino estende le reti elettriche e i treni nel suo vasto interno rimasto povero, dato che il boom ha sviluppato solo le zone costiere. In altre parole, costruisce le basi per la prossima fase di sviluppo, per un’economia ancora più forte in futuro.

E’ persino simbolica la decisione di puntare sulle ferrovie: questo disprezzato residuo dell’Ottocento - disprezzato dalla finanza speculativa - la più trascurata delle infrastrutture (in Italia non meno che in USA), è stata la spina dorsale dello sviluppo europeo e americano di due secoli fa: creò ricchezza che prima non esisteva (3); lo farà ancora una volta. Ma non più per l’Occidente.

E l’America e l’Europa, intanto, dovranno emettere BOT su BOT, sperando che qualcuno li compri. In tempi di credito diffidente e scarso, sarà da vedere chi li compra. E poi, diciamolo, conviene comprare ancora titoli dei debiti pubblici occidentali?

Si sa che quegli Stati non li ripagheranno mai veramente, ossia con il flusso di cassa proveniente dagli introiti fiscali. Questi Paesi hanno debiti pubblici colossali (USA come Italia), si stanno impoverendo, la loro popolazione (in Europa) è vecchia, la demografia in ribasso, i giovani sono più ignoranti e quindi meno produttivi e creativi, la de-industrializzazione ha fatto perdere competenze tecniche alla nostra civiltà, sicchè il capitale investito qui rende poco; dietro quei BOT, insomma, non c’è prospettiva di un ritorno del capitale e di frutti solidi, risultato di una creazione di ricchezze reali (4).

Al massimo, l’Occidente li ripagherà stampando moneta, ossia la moneta deprezzata. E perchè i cinesi dovrebbero comprarli, dovrebbero rifinanziarci ad infinitum?

Non sono mica cretini, loro.




1) Luke Mullins, «3 reasons behind Hank Paulson’s bailout flip-flop», US News & World Report, 12 novembre 2008. Le tre ragioni sarebbero: comprare a man bassa assetti tossici si è rivelato complicatissimo (e venderli ancora di più); i soldi in mano a Paulson non sono più 700, ma meno di 300 miliardi, avendo buttato via il resto nei salvataggi; infine, Paulson sta per lasciare la poltrona.
2) L’economista americano-cinese Chan Akya paragona questo processo con l’apologo dei due fratelli padroni di un’osteria. Quando uno dei due si prende un quartino per berselo, dà al fratello un euro; quando è il fratello a volere il suo quartino, restituisce il dollaro all’altro. La pratica continua con allegra soddisfazione dei due, fino a quando la casa vinicola fornitrice manda il suo addetto a riscuotere; e i due gli pagano la partita di vino consumato con un euro, l’euro che si sono scambiati all’infinito. Allora l’addetto della casa vinicola, paziente, spiega loro: l’euro che vi siete scambiati non è un pagamento, ma uno scambio di passivi; per ogni quartino che vi siete bevuti, dovevato un euro nuovo all’osteria. Adesso, invece, avete un cumulo di passivi, e un solo euro per pagarli. Poi, l’addetto chiama l’ufficiale giudiziario e i fratelli si trovano espropriati sul lastrico.
3) La finanza, in quegli anni, non investiva in derivati o mutui sub-prime, ma nello scavo del Canale di Suez e nella Transiberiana, contando sui futuri profitti che sarebbero nati da queste vie di trasporto, e dalle nuove opportunità di affari e commercio che avrebbero creato. Il principe Stolypin, il maggiore economista e ministro zarista, volle la Transiberiana perchè, disse,
«la ferrovia alza il livello di conoscenze tecniche delle popolazioni che attraversa, almeno al livello necessario alla sua manutenzione». Pensiero profondo, oggi inaccessibile all’Occidente cretinizzato.
4) L’integrazione dell’Europa con la Russia potrebbe almeno ritardare il declino, creando una vasta zona di autosufficienza industriale, agricola ed energetica, su una scala per cui varebbe la pena fare infrastrutture «cinesi». Berlusconi ha preso una decisa posizione a favore di Mosca, definendo una «provocazione» il piazzamento dei missili in Polonia voluto da Bush. Speriamo che non sia la solita battuta e «carineria», ma l’inizio di una politica costante e deliberata.


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