>> Login Sostenitori :              | 
header-1

RSS 2.0
menu-1
casi_pietosi.jpg
Casi pietosi a Sion: dateci i soldi
Stampa
  Text size
 «Oggi vado in giro con un’arma, non per difendermi dagli arabi, ma dagli ebrei»: così ha confessato al New York Times Benny Raz (1). Il quale non è solo ebreo, è un «colono» ebreo che ha scelto di vivere con la famiglia in un insediamento di fanatici, Karnei Sharmon, creato in Cisgiordania da questi hassidici armati che hanno occupato a forza terreni dei palestinesi per rivendicare il loro diritto divino su tutta la terra di Sion. Non a caso chiamano la Cisgiordania «Giudea e Samaria».

Ma Benny Raz, 55 anni, che vive nell’insediamento da una quindicina con la famiglia, adesso vuole andarsene, tornare nella Israele propriamente detta, al di là del Muro. Il suo errore è di averne parlato con i vicini.

«Mi guardano come un traditore», racconta: «Sono stato licenziato dal lavoro» (faceva l’autista dello scuolabus per l’insediamento talmudico) e «hanno boicottato il negozietto di mia moglie che faceva panini, obbligandola a chiudere. Ricevo telefonate che mi minacciano di morte».

Sono 80 mila i «coloni» che vivono oltre il Muro, occupando illegalmente - ma con l’appoggio del regime di Sion e il glorioso Tsahal che li difende - terreni altrui; hanno dedicato una vita ad angariare i palestinesi, a tirare pietre ai bambini che vanno a scuola, a sparare ai pastori e a picchiare i raccoglitori di olive.

Ma adesso, parecchi di loro se ne vogliono andare. Sono il 40%, secondo un movimento chiamato Bayit Ehad («Una sola Casa») che è un’emanazione del partito Kadima. Stretti  fra l’ostilità araba e il fanatismo sempre più feroce dei loro stessi vicini ebrei, la cosa non gli piace più. Non dormono tranquilli sulle terre rubate.

Alcuni, che il movimento Bayit Ehad ha presentato ai giornalisti americani, esibiscono persino un barlume di coscienza.

«Sono venuto qui per far crescere i miei figli in campagna», giura David Avidan, che ha una bella casa nell’insediamento illegale di Rimonim, dove vive da vent’anni. Ammette: «Sì, d’accordo, volevamo anche popolare (di ebrei) l’intera terra di Israele. Ma ora, quando vedo come i nostri soldati trattano i palestinesi ai posti di blocco, ho vergogna». Dopo vent’anni, di colpo si vergogna.

«Ora voglio andarmene. Voglio due Stati per due popoli. Ma siccome la mia casa non ha alcun valore, non posso venderla e realizzare abbastanza da poter acquistare una casa dietro il Muro».

Ah, ecco, è questo il problema: vogliono i soldi. Vogliono che il governo gli compri le case che hanno voluto costruire su terre arabe, che non hanno pagato (le spese per il ripopolamento religioso di Sion le ha sempre pagate la ricca Diaspora americana, nonchè il governo giudaico), e perciò agitano il loro «caso pietoso»: gli arabi ci odiano, gli altri ebrei ci minacciano, la proprietà immobilare è svalutata, dateci una mano a rifarci una vita dietro il Muro, nella «Sola Casa» giudaica.

Monika Yzchaki, da 16 anni con marito e i figli nell’insediamento di Mevo Dotan, giura in lacrime, poveretta: «Siamo venuti qui solo per avere una casa a prezzo basso in una bella campagna; non capite che molti di noi non sono nè estremisti nè folli?Potrei fare i nomi di 40 famiglie qui, che  sono pronte ad andarese ma non hanno il coraggio di dirlo».

Poi viene fuori la vera causa della pietosa situazione di Monika: «Adesso questa è Palestina. Ed io devo mostrare il passaporto davanti al Muro per andare in Israele».

Sì, perchè il governo Olmert ha proclamato che la Cisgiordania è terra della Autorità Palestinese, del povero Abu Mazen - una entità che Sion in qualche modo riconosce, non foss’altro per contrasto con Hamas che governa Gaza. In realtà, è un Bantustan palestinese, dove il gloriso Tsahal continua a devastare campi e case coi bulldozer , dove spadroneggiano a loro piacimento i coloni picchiatori per YHWH; ma tuttavia, c’è adesso un confine palestinese, e gli eletti devono mostrare il documento quando vogliono andare in Israele.

«Il mio governo mi ha  abbandonato», dice la poveretta, perchè non gli compra la casa che ha in Cisgiordania. Il movimento Bayit Ehad ha proposto una legge, con lo stanziamento di 6 miliardi di dollari per rimborsare 20 mila famiglie che, secondo le loro indagini, vorrebbero ristabilirsi al di quà del  Muro, se solo fossero aiutate. I 6 miliardi servirebbero a comprare le case di questi pietosi casi umani.

Ma gli irriducibili fanatici che vogliono a tutti i costi restare a rendere la vita impossibile ai palestinesi per ragioni talmudiche (sono la maggioranza) danno tutt’altra versione: il movimento Bayit Ehad non esiste, è solo un trucco del Kadima per «fare pressione su noi coloni, farci credere che gli insediamenti non hanno un futuro, perchè un giorno o l’altro Israele dovrà riconoscere che questa è Palestina». E’ infatti la tesi che ha enunciato Olmert, quando ormai è uscente e il suo governo è caduto, e perderà le elezioni di febbraio.

A proposito del lamentoso Beny Raz, che va in giro armato perchè oggi ha paura degli ebrei, il sindaco del suo insediamento, mister Herzl Ben Ari, dice: l’autista è stato licenziato per incapacità,  la bottega di sandwich di sua moglie è stata chiusa per scarsa igiene.

Dani Dayan, il capo dei fanatici in kippà, sostiene anche che non in tutti gli insediamenti le case sono deprezzate; ce ne sono anche che spuntano buoni prezzi sul mercato immobiliare talmudico. E giura: anche se quelli se ne vanno, le case che hanno abbandonato le occuperanno nuovi hassidici, vogliosi di rivendicare il diritto divino sulla terra di Sion in ogni sua parte. Il che è già avvenuto qua e là.

Sull’esito del caso pietoso c’è una terza versione. Il santo governo di Sion non vuole cacciare i 6 miliardi di dollari; spera che a farlo sia il governo USA, come al solito, per soccorrere Israele anche in questo estremo dolore. Per questo ha fatto in modo che il New York Times facesse piangere i suoi lettori giudei sui lacrimosi casi dei coloni che avevano rubato le terre solo per «far vivere i figli in campagna, all’aria buona», ed ora non possono andarsene se qualcuno non gli compra la casa.

Infatti, la legge di stanziamento dei 6 miliardi aspetta ancora l’approvazione. Prima, Israele vuole vedere se qualcuno dall’estero, commosso, getterà nel cappello la somma per risolvere tanti casi pietosi.

Perchè altrimenti non si capisce come mai il governo prosegua quello che l’israeliano Seth Freedman  chiama «la pulizia etnica di nascosto» (2). Ossia neghi ai palestinesi i permessi di costruzione sulle terre di loro proprietà, e di cui Israele (in Cisgiordania) riconosce la proprietà, e protegga attivamente i coloni fanatici che impediscono ai palestinesi di pascolare il gregge e raccogliere le olive sulle terre loro, o addirittura vieti l’accesso a campi secondo Tsahal troppo vicini agli insediamenti ebraici, quindi «per ragioni di sicurezza».

«Erigono blocchi stradali all’entrata dei villaggi arabi per costringere i residenti a faticosi e lunghi spostamenti per sentieri secondari; abbattono ogni casa e capanna nel mezzo del deserto con la scusa della sicurezza; non agiscono contro i coloni quando tirano pietre agli scolari arabi»,
scrive Freedman.

«Angherie continue, tenute appositamente ad un livello di bassa intensità in modo da non provocare titoli sui giornali, ma con lo scopo di rendere la vita così dura ai palestinesi, da costringeri ad arrendersi, ad andar via, a trovarsi un posto altrove».

«Ethnic cleansing by stealth», la pulizia entica invisibile.

Nessun  presidente di camera in Kippà invita a commuoversi su questi casi pietosi arabi. Nessun sindaco-Kippà europeo, occupato a trasportare camionate di scolaretti italiani in visita ad Auschwitz, invita alla memoria dell’olocausto «invisibile» in corso.

Anzi, nemmeno riportano la lamentela di veri ebrei, vere vittime del solo vero olocausto, quello hitleriano, che in questi mesi stanno invano combattendo la loro battaglia per recuperare i fondi che i loro parenti del solo olocausto hanno depositato in banca; non nelle banche europee - che hanno restituito molto più di quei conti - ma nelle banche israeliane.

Parecchi ebrei che hanno avuto i nonni nei campi di concentramento, dichiarano infatti che i loro cari defunti avevano aperto almeno 9 mila conti correnti nelle banche ebraiche della Palestina, allora sotto amministrazione britannica; tutti quei soldi sono poi finiti nelle mani dello Stato di Israele. Più precisamente nella ditta privata chiamata Company for Location & Restitution of Holocaust Victims Asset Ltd, creata dal governo israeliano allo scopo di reclamare e raccogliere in tutto il mondo, specie in europa, i beni presunti degli ebrei «vittime», e non reclamati dai proprietari perchè - si presume - scomparsi nei lager.

La ditta («The Company» per antonomasia) sarebbe in possesso di 500 milioni di dollari fra liquidi, beni immobili ed opere d’arte appartenuti alle sole vere vittime del solo vero olocausto: ciò secondo Avraham Roet, che è stato presidente della stessa Company. Ora che ha 80 anni ed è a riposo, Roet si è messo a dire la verità e a spiegare ai giornali ebraici che la sua ex Company ha tutti quei soldi (che dovrebbe dare ai discendenti delle «vittime»).

In realtà, risulta poi che Roet ce l’abbia soprattutto con la Banca Leumi, la storica ricchissima  banca israeliana, che non vuole cacciare una quarantina di milioni di dollari di conti correnti non reclamati, insomma non vuole consegnarli alla Company. La quale beninteso non darà nulla ai sopravvissuti con la motivazione che i soldi che ha arraffato «Sono tutti dentro la comunità ebraica, non è la stessa cosa che se fossero tenuti da una banca svizzera».

La cosa sta facendo scandalo sui media israeliani; la notizia è spuntata persino sul Wall Street Journal (ovviamente molto letto da miliardari ebrei americani), che ha accennato allo strano caso del governo ebraico che si tiene i compensi versati dalle banche europee per le vittime dell’olocausto, anzi li fa gestire, chissà perchè, da una ditta privata a responsabilità limitata (3).

Un caso pietoso anche quello. Ma nulla traspare nei media europei, nulla dicono i nostri governanti in kippà.




1) Ethan Bronner, «Some Israeli settlers long to leave West Banks», New York Times, 13 novembre 2008. Insomma la faccenda è questa: dal 1948 ad oggi gli ebrei hanno angariato i palestinesi, costringendone alcuni milioni ad abbandonare le terre su cui vivevano da sempre, ammazzandone migliaia e incarcerandone altre migliaia (pretendevano, i mascalzoni, di difendere le loro case); una volta queste terre abbandonate dai proprietari (uccisi, o fuggiti), una legge israeliana consente di proclamare che queste terre vuote sono di nessuno, e dunque spettano a coloro cui Dio le ha date duemila anni fa; e i coloni vanno ad occuparle, forniti di tutti i benefici previsti da Israele per questa divina operazione. Oggi che alcuni di questi ladri vogliono tornarsene dietro il Muro, vogliono che qualcuno paghi per il loro trasloco e la nuova casa che pretendono nella nuova sede. Finirà che si chiederà  all’America di pagare; se poi l’America non lo farà perchè ai guai suoi  si pretenderà che paghi  l’Europa paghi quei casi pietosi, 6 miliardi di dollari «in pericolo nella loro stessa esistenza».  L’Europa è complice dell’Olocausto, dopotutto. E’ per questo che viene mantenuta viva la Memoria, per ordine dei kippà.
2) Seth Freedman, «Ethnic cleansing by stealth», Guardian, 4 settembre 2008.
3) Cam Simpson, «Battle for Holocaust assets roils Israel», Wall Street Journal, 12 novembre 2008.
Come in Italia le privatizzazioni fatte dal governo sono solo finzioni - che consentono di arraffare denaro pubblico senza essere assoggettati ai  limiti e controlli previsti per il settore pubblico - così la Company israeliana dev’essere il ricco e incontrollato fondo a cui pesca la corrottissima «politica» dello Stato divino di Sion. Anche la razza eletta ha la sua Casta.


Home  >  Ebraismo                                                                                           Back to top


La casa editrice EFFEDIEFFE ed il direttore Maurizio Blondet, proprietari
dei contenuti del giornale on-line, diffidano dal riportare su altri siti, blog,
forum, o in qualsiasi altra forma (cartacea, audio, etc.) e attraverso attività di spamming e mailing i suddetti contenuti, in ciò affidandosi alle leggi che tutelano il copyright ed i diritti d’autore. Con l’accesso al giornale on-line riservato ai soli abbonati ogni abuso in questo senso, prima tollerato, sarà perseguito legalmente anche a nome dei nostri abbonati. Invitiamo inoltre i detentori,a togliere dai rispettivi archivi i nostri articoli.
 
Nessun commento per questo articolo

Aggiungi commento


La Dittatura Terapeutica
L’unica ed estrema forma di difesa da questo imminente, sottovalutato, tragico pericolo particolarmente grave per l’Italia, è la presa di coscienza
Contra factum non datur argomentum
George Orwell con geniale e profetico intuito, previde l’oscuramento delle coscienze, il tramonto della civiltà, l’impostura e apostasia dalla verità che viviamo, quando scrisse “nel tempo...
Libreria Ritorno al Reale

EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.

Servizi online EFFEDIEFFE.com

Archivio EFFEDIEFFE : Cerca nell'archivio
EFFEDIEFFE tutti i nostri articoli dal
2004 in poi.

Lettere alla redazione : Scrivi a
EFFEDIEFFE.com

Iscriviti alla Newsletter : Resta
aggiornato con gli eventi e le novita'
editorali EFFEDIEFFE

Chi Siamo : Per conoscere la nostra missione, la fede e gli ideali che animano il nostro lavoro.



Redazione : Conoscete tutti i collaboratori EFFEDIEFFE.com

Contatta EFFEDIEFFE : Come
raggiungerci e come contattarci
per telefono e email.

RSS : Rimani aggiornato con i nostri Web feeds

effedieffe Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità