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Rivincita amara dello Stato
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Adesso, tutti vogliono Buoni del Tesoro, soltanto Buoni del Tesoro. Al punto che l’America, lo Stato più indebitato del mondo, può spacciare i suoi titoli di debito pubblico a interessi praticamente zero.

Il Treasury  Bill a tre mesi rende lo 0,02%, eppure va a ruba (il BOT italiano va a ruba a 1,60%). Vanno a ruba persino i BOT americani a 30 anni, al tasso del 3,43%. Eppure ci sono aziende e finanziarie che offrono obbligazioni al  17%, al 20%; ma quelle, non le vuole più nessuno. Le aziende che le emettono, dunque, falliranno.

Che cosa accade, l’ha spiegato il sito di Paul Jorion (1).

Ci sono due tipi di attivi fisici il cui valore non dipende dal debito di qualcun altro: il possesso di terreni e immobili, e di oro. A parte questi due, gli «attivi» su cui si basa l’economia reale sono quattro: le azioni di Borsa, i mercati del credito (obbligazioni e monetario), le materie prime, e infine i Buoni del Tesoro: questi ultimi attivi speciali, in quanto «garantiti» dallo Stato, da uno Stato.

Fino a pochi mesi fa, la speculazione puntava tutto sugli attivi «privati».

Che cosa sono azioni, obbligazioni, futures sulle materie prime? Sono diritti di prelievo sui redditi futuri che le imprese e i lavoratori produrranno. La banche, prestando, si apprestano a scremare la ricchezza reale che l’economia reale produrrà domani.
Il valore di questi attivi è il valore della ricchezza che gli uomini produrranno. In questo senso, il prestito - il diritto di prelievo - è anche una scommessa. Il capitalismo terminale ha scommesso troppo, e allo scopo non già di fertilizzare l’economia reale, ma per aumentare il profitto al prestatore e manipolatore di capitali.

I mutui sub-prime sono l’esempio più chiaro di questo azzardo: mutui da 4 mila dollari al mese, concessi a lavoratori con reddito di 800 dollari mensili; poi, impacchettati e mischiati, questi mutui sono stati «affettati» in obbligazioni ad interesse, e venduti. Questi debiti sono dunque diventati «attivi» per il venditore, che su questi «attivi» ha potuto indebitarsi per 20-30 volte il loro presunto valore.

Ma alla fin fine, il valore vero era quello delle migliaia di indebitati da 800 dollari al mese, senza reali prospettive di guadagnarne 4 mila in futuro (2). Acquistare case, del resto, non fa aumentare la ricchezza reale.

Lo stesso vale per tutti i derivati, che sono in fondo obbligazioni basate su un macinato di ratei su carte di credito (CLO, Collateralized Loans Obligations), su «attivi» imprecisati (ABS, Asset-Backed Securities) ed altri debiti in genere (CDO, Collateralized Debt Obligations).

Ciò che hanno in comune questi, e tutti i prodotti più esotici creati su questi, si basa alla fine su una scommessa: che i milioni di indebitati, col lavoro, creino abbastanza ricchezza da pagare i ratei sui mutui, sull’auto, sulle carte di credito.

Lo scopo di tutta questa cosiddetta ingegneria finanziaria però non è stato quello di fornire vero valore (vero capitale) a vantaggio del compratore (che si presume debba produrre ricchezza), ma per massimizzare i profitti per il venditore, il banchiere, lo speculatore, il fondo speculativo.

Di fatto, una montagna, anzi un Himalaya di debito è stato accumulato in precario equilibrio su una piccola base di capitale reale, e senza alcun pensiero alla creazione di valori reali futuri, che quel capitale doveva fertilizzare.

L’equilibrio era del tutto instabile. Gli indebitati consumatori non hanno prodotto abbastanza valore; i diritti di prelievo speculativi sulla loro ricchezza futura si stanno adeguando alla realtà della poca ricchezza futura prodotta. Per questo le azioni sono crollate al 40% del loro valore precedente, le obbligazioni su carte di credito non si vendono più, le banche d’investimento falliscono o si fanno proteggere dallo Stato, i fondi speculativi svendono i loro portafogli per far fronte ai loro creditori...

E’ in corso un immane e simultaneo processo di liquidazione sul futuro - un futuro assurdamente immaginario - che va a danno dell’economia reale, la sola che può creare ricchezza futura, oltrechè far profittare la società dei talenti di ogni suo membro, e questo di ricavarne un salario decente.

Nella furia di sganciarsi da quei crediti tutti insieme, i detentori degli attivi di carta provocano la rovina di parti intere del corpo sociale - e anche la propria. Lo sanno benissimo. Ma non possono sottrarsi al meccanismo distruttivo che hanno creato; hanno messo il collo nel cappio, e il cappio stringe. Essi tentano di proteggersi tutti, in un attimo di salvare quel che possono della distruzione in corso; e così facendo, l’amplificano.

Chi sono?

I signori del rischio. Quelli che si facevano pagare bonus astronomici per la loro audacia nel rischiare, nel prestare a Bulgarie e Ungherie e Islande, a creditori sub-prime, che distribuivano carte di credito a quindicenni. Adesso, come pensionate minime tremebonde, comprano BOT.

Lo Stato è la sola istituzione che dia loro un po’ di fiducia, almeno in senso relativo; lo Stato che sanno perenne, e la cui firma ha ancora qualche possibilità di essere onorata.

Sarcastico contrappasso. L’establishment finanziario predicava che lo Stato è «un orizzonte mentale che non esiste più»; nel mondo globalizzato, ci spiegavano, è solo un ostacolo coi suoi dazi, coi suoi confini e le sue regole. La loro utopia, che credevano di essere sul punto di realizzare, era - nè più ne meno - l’abolizione della politica e la sua occupazione da parte della finanza. Era questo che intendevano, quando parlavano di «governo mondiale».

«Oggi il mondo è più sofisticato e disposto a procedere verso un governo mondiale», disse David Rockefeller al Bilderberg, nel giugno 1991: «La sovranità sovrannazionale di un’elite intellettuale e di banchieri mondiali è preferibile all’auto-determinazione nazionale che si praticava nei secoli passati».

Nei secoli passati?

Eccoli lì, tutti i bandieri mondiali, a cercare rifugio nei BOT, a mettere le loro ricchezze mal guadagnate sotto la protezione dello Stato-debitore, visto che non hanno più un grammo di fiducia negli attivi privati, a cominciare dai loro.

Con la loro colossale domanda di BOT, hanno provocato un tale ribasso dei rendimenti che fa paura: ormai i BOT sono quasi perfettamente intercambiabili con la moneta (dopotutto, la moneta è un titolo di debito pubblico che non dà interessi), ed essi accelerano il momento in cui non avrà senso comprare BOT, basterà tenere banconote in cassaforte, sottoterra, in cassetta di sicurezza.

Oggi, lo Stato - gli Stati - possono indebitarsi a tasso ridicolo, grazie alla paura degli ex-leoni del rischio. Ma quando gli interessi dei BOT saranno zero, come la moneta, lo Stato potrà ancora indebitarsi per salvare lorsignori?

I BOT, gli ultimi diritti di prelievo sul futuro, diventano identici alla moneta, che è il «presente», e che deve circolare, non essere tenuta in cassetta; si attua una capitolazione non solo dalla finanza, ma dalla logica economica, che non ha precedenti.

Per intanto, preferendo i BOT trimestrali a tasso 0,02%, gli ex signori del rischio fanno mancare il capitale alle imprese; queste sono costrette ad offrire tassi da usura per raccogliere dei capitali, e nemmeno ci riescono; l’ecatombe delle imprese produttive è già cominciata.

E con questo, gli ex-signori del rischio scavano la fossa allo Stato, sotto la cui ala sono scappati nel panico.

Anche i BOT sono diritti di prelievo su ricchezza futura; la «solidità» dello Stato consiste nel suo potere di tassare e tartassare i cittadini, anche fino al sangue, per pagare i suoi debiti. Ma se centinaia di migliaia di imprese chiudono, e decine di milioni di cittadini sono licenziati, scompare la ricchezza su cui lo Stato preleva con la sua torchia poliziesca.

Lo Stato dunque non potrà aiutarli a salvare i loro «attivi» elettronici e di carta. Perchè - tragedia nella tragedia - lo Stato l’hanno occupato loro, con la loro ideologia: il ministro del Tesoro Paulson è un caporione della Goldman Sachs, la sua mente è bancaria e privatistica, egli è sprovvisto di cultura dello Stato. Lui e Bernanke, il banchiere della Banca Centrale privata posseduta dagli usurai, non riescono a pensare altro che a rigonfiare la bolla speculativa, mettere in tasca qualche soldo a cittadini che non producono più ricchezza, in modo che tornino a consumare.

I banchieri hanno imposto il «pensiero unico» globale, e il risultato è che i loro servi non sanno pensare all’economia politica. Non riescono, non vogliono ammettere che la moneta sotto le diverse forme (crediti, ossia stock) e liquidi, ossia flusso, è una funzione essenziale alla vita economica reale, alla società, e come tale, è un bene comune.

E’ un bene pubblico, la moneta. Un credito che il popolo fa a se stesso, nella fiducia di poter ripagare con la ricchezza che produrrà.

Rockefeller e i suoi eredi ideologici, gli apprendisti stregoni dei sub-prime e dei derivati, si sono impadroniti dello Stato, hanno messo come «politici» dei loro uomini, li hanno ben istruiti a credere che l’azione pubblica - ossia la collettività attraverso i suoi rappresentanti, che essa elegge - non aveva più nulla da fare, doveva stare alla larga dal «mercato». Così, di fatto, hanno privatizzato la moneta, sia stock sia flux, a profitto dell’ultra minoranza loro.

I loro governanti-maggiordomi hanno tolto al capitale tutti i freni, come voleva la speculazione. Hanno legittimato l’arricchimento dei detentori di capitale a spese dell’impoverimento del lavoro, la pretesa di estrarre rendimenti crescenti su cittadini  spinti a consumare a credito per mantenere il livello di vita - dove le carte di credito compensavano illusoriamente ciò che il salario perdeva. Hanno esercitato una pressione al ribasso sui salari e, oggi, una pressione distruttiva sulle imprese e sulla società tutta intera.

Alla fine, hanno rotto il patto sociale, su cui si basa tutto, anche il credito dello Stato, di cui arraffano i BOT credendoli sicuri.

La «sovranità dei banchieri mondiali» auspicata da Rockefeller, liberata secondo la propria volontà da ogni limite e da ogni solidarietà sociale, ha prodotto le condizioni della propria rovina. Raggiunta la sua completa attuazione, la bancocrazia globalizzata ha segato il ramo su cui sedeva.

Si avvicina il momento previsto da Europe 2020: «La rottura, per l’estate 2009, del sistema monetario mondiale fondato su Bretton Woods», ossia sul dominio del dollaro. Con il seguito inevitabile di miserie sociali globali, disordini e tragedie pubbliche.

Lo Stato della cui solvibilità si fidano, sarebbe solvibile se non fosse l’occupazione fiduciaria per le banche dei pubblici poteri. Se fosse ancora Stato, anzitutto si riapproprierebbe della sovranità monetaria: oggi a fare la moneta è la banca e la speculazione, ed oggi essa - nel panico - la fa mancare all’economia reale; solo lo Stato (già diventato di fatto prestatore non di ultima istanza, ma anche di prima istanza) potrebbe creare moneta a sufficienza per fertilizzare le attività calanti (3).

Se lo Stato fosse ancora lo Stato, entità politica sovrana nei cui confini si attua la legge e si assicura la solidarietà sociale, come prima misura vieterebbe al sistema finanziario il credito frazionale, ossia di prestare dieci o venti volte i suoi depositi o i suoi capitali; vieterebbe di investire a lungo termine denaro preso a prestito a breve (nel vecchio Stato, le banche erano di due tipi: quelle di deposito a breve, e quelle che - per investire a lungo - emettevano obbligazioni a tassi attraenti per il risparmio: questa distinzione legale hanno voluto abolirla, a loro e nostro danno) (4).

Se lo Stato fosse ancora uno Stato, la sua prima riforma sarebbe licenziare i governatori delle Banche Centrali.

Draghi, per esempio, ha consentito che le banche italiane pagassero i loro addetti a percentuale, costringendoli a rifilare ai risparmiatori prodotti tossici, a scanso di penalizzazione propria. E a chi spettava il controllo su Unicredit e i suoi prestiti alla Bulgaria, se non a Draghi?

Ma Draghi è un dipendente delle banche. Così il banchiere centrale tedesco: chi se non lui ha lasciato che Deutsche Bank si esponesse per una cifra quasi pari al potente PIL nazionale? E chi, se non il banchiere centrale spagnolo è responsabile della folle bolla speculativa immobiliare? Chi se non lo svizzero, doveva frenare UBS e Credit Suisse, esposti per una volta e mezzo la produzione di ricchezza nazionale annua elvetica? (5)

Della Banca Centrale Europea, è persino inutile dire. La sua pretesa di «autonomia» è consistita nell’affidare la moneta europea ad un sub-normale che applica un manualetto di monetarismo per bambini, che vede inflazione quando la deflazione s’è instaurata da  mesi.

L’autonomia della Banca Centrale, oggi, equivale al rifiuto della sala-macchine di obbedire agli ufficiali al timone in una nave sbattuta dal tifone.

«Avanti tutta» grida nell’interfono il comandante (i governanti europei, che hanno un barlume di quel che accade), ma il capo-motorista, da sotto, cieco nel bassofondo senza oblò, mantiene il regime basso, perchè vuol far vedere che è «autonomo».

Sarebbe una scena da Ridolini, se non avvenisse nell’imminenza del naufragio.
Sì: fucilare i banchieri centrali - e poi sequestrare i beni di tutti gli altri (6) - sarebbe la prima riforma di uno Stato degno di questo nome.




1) «Repli panique sur les Bons du Trésor», ContreInfo, 21 novembre 2008.
2) Si noti che solo il 5% dei debitori sub-prime ha fatto default, eppure le vendite delle obbligazioni ottenute impacchettando i subprime (Mortgage Backed Securities) è crollata del 90%. Il motivo lo ha spiegato l’ex segretario al Tesoro Paul O’Neill con questa immagine: un supermercato ha una partita di 100 bottiglie d’acqua minerale, solo una delle quali contiene arsenico. Ma diventa impossibile vendere le altre 99, perchè nessuno sa qual è quella avvelenata.
3) Nella grande deprssione anni ’30, la Scuola di Chicago propose che fosse ridato allo Stato il monopolio esclusivo della creazione di moneta, e che fosse strappato alle banche, imponendo loro la riserva obbligatoria del 100%.
4) Maurice Allais, Nobel per l’economia nel 1988, propone la dissociazione dell’attività bancaria con la creazione di tre categorie di banche, distinte e indipendenti: 1) banche di deposito, che garantiscono la custodia dei depositi dei loro clienti, gli incassi e i pagamenti su quei depositi (le spese relative saranno addebite ai clienti per il servizio), con eslusione di ogni prestito (anche i conti dei clienti non potranno comportare uno scoperto); 2) banche di prestito, che aprono fidi (prestiti) con una data scadenza, con denaro che a loro volta prendono a prestito a termine più breve: s’intende che l’ammontare dei prestiti concessi non potrà superare quello dei prestiti ottenuti, appunto riserva 100%. 3) banche d’affari che investono in imprese denaro che chiedono direttamente al pubblico, ai risparmiatori, emettendo obbligazioni a 5 o 10 anni (mediocredito); ciò che chiarisce che i risparmiatori stanno partecipando, coscientemente, ad operazioni a rischio, alla ricerca di più alti frutti « (Vedi il mio «Chicago 1933 », EFEFDIEFFE.com).
5) Invece, basta vedere come i nosri media sacralizzano Draghi, per capire come andrà a finire: fra lui e Tremonti - i due sono notoriamente agli antipodi - a perdere sarà Tremonti.
6) In realtà, come ha segnalato il Wall Street Journal, le banche «continuano a prestare, ma la crisi non si attenua»: almeno in USA, i prestiti industriali e commerciali sono saliti del 15% rispetto all’anno prima, e accelerati al 25% annuo negli ultimi tre mesi; i mutui concessi sono saliti in valore del 21%. Ma il collasso del credito continua, perchè avviene nel «sistema finanziario ombra», a Wall Street, nella finanza strutturata dei derivati, nelle cartolarizzazioni ormai paralizzate, che nessuno più compra e nessuno più vende. Per esempio, le finanziarie che emettono carte di credito hanno abbassato drasticamente il tetto di spesa concesso, anche ai detentori ricchi e non a rischio; ciò perchè  le entità di emissione solevano impacchettare anche questi prestiti al consumo, affettarli e venderli come obbligazioni (securitization): e l’intero mercato di questi prodotti è morto. Questo dice la complessità inaudita della crisi e la sua letalità, molto peggiore di quella del ’29.


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