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Messico, il futuro possibile
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Che cosa ha fatto del Messico uno Stato disgregato?, mi chiede un lettore.

In questi giorni Ciudad Juarez, al confine col Texas (dall’altra parte c’è El Paso), è «regolarizzata» da ingenti forze di polizia e dall’esercito, che ha usato la mano pesante. Ma nei mesi scorsi, la città è stata in mano alla malavita organizzata, almeno 500 bande criminali giovanili al soldo dei narcos, che si sono fatte guerra fra loro e instaurato il terrore. Nell’ultimo anno, le bande hanno trucidato 1.600 persone, a volte con punte di 80 morti a settimana: corpi gettati dalle macchine in strada, cadaveri decapitati appesi ai ponti, desaparecidos con richiesta di riscatto, eccetera. Nel resto del  Messico, il numero annuo degli omicidi supera i 6 mila. A compiere i rapimenti sono spesso personaggi in unifome dell’esercito, forse sono davvero soldati e forse no. Ciudad Juarez è famosa anche per l’uccisione di centinaia di giovani donne, studentesse o operaie, di cui a volte si trovano i cadaveri e a volte no. L’eccidio continua da un decennio, ed è stato tenuto nascosto dalle autorità. Se le vogliamo chiamare così.

Il motivo di questo disastro sociale e morale l’ha confessato Hillary Clinton in una sua recente visita: «Il nostro insaziabile appetito per le droghe». Gli Stati Uniti sono il maggior mercato di consumo mondiale per cocaina e marijuana, per tacere degli altri supefacenti. Il 90% della cocaina che entra in USA passa per il Messico e i cartelli messicani.

juarez.jpgIl traffico è cresciuto enormemente nel decennio scorso, come effetto collaterale indesiderato della «guerra al terrorismo gloale» di George W. Bush: tutte le energie sono state usate per controllare i passeggeri degli aerei (i famosi controlli che obbligano chi passa per l’America a togliersi le scarpe, a gettare accendini e taglia-unghie, biberon e flaconi di deodorante) hanno indotto a trascurare ancor più le vie di transito terrestre, specie alla frontiera col Messico, inondata di clandestini di ogni genere.

Inoltre, l’attenzione alla fantastica «minaccia islamica» e alle guerre orientali per Israele, ha indotto un decennio di incuria e trascuratezza americana verso il vecchio suo cortile di casa, il Sudamerica. In questi anni, i cartelli hanno saldato forti legami con la criminalità nordamericana di ogni tipo.

Ad aggravare la situazione, le armi - la cui vendita è libera in USA - e che finiscono facilmente nelle mani dei gangster messicani. Il presidente Calderòn, in un’intervista a Le Monde il 10 marzo scorso, ha detto: «In due anni abbiamo sequestrato 33 mila armi da fuoco, di cui 18 mila di grosso calibro, lanciamissili, lanciagranate, ordigni capaci di perforare i blindati. Nella quasi totalità sono armi acquistate negli Stati Uniti; c’è anche materiale che è in possesso esclusivo delle forze armate USA. Nel 2004, Bush ha annullato la restrizione prima esistente alla vendita delle armi più pericolose».

Barak Obama, in visita a Città del Messico il 16 aprile, ha assicurato che sbloccherà una legge che vieta la vendita libera di armi pesanti, presentata ma bloccata dai senatori USA. Incidentalmente: Obama, durante la sua permanenza, è stato accompagnato a visitare il museo antropologico di Mexico City dal professor Felipe Solis, un famoso archeologo messicano. Il giorno dopo, il professore è morto per sospetta influenza suina.

Dopo gli anni di negligenza dell’amministrazione Bush, Obama si è dichiarato molto determinato ad affrontare la situazione del disordine messicano, che sta tracimando oltre confine. Il 15 aprile, il presidente ha nominato uno «zar dei confini» (border zar), ossia un alto funzionario con vasti poteri riguardo alla immigrazione illegale e alla violenza connessa al narcotraffico di frontiera.

Per la prima volta nella storia, sono previste esercitazioni congiunte delle forze armate USA e messicane, onde addestrare queste ad un nuovo tipo di guerra - la guerra contro una intera società che ricava i suoi mezzi di vita dalla malavita violenta. Non che a Ciudad Juarez manchino le industrie: Boeing ed Electrolux, Lexmark e Bosh, Sumitomo e Siemens hanno piazzato fabbriche di montaggio (dette «maquiladoras») che approfittano della vicinanza al mercato statunitense e dei bassi salari: ma nelle maquiladoras il salario inizale è di 50 dollari a settimana, mentre i cartelli dispongono di profitti per 35-60 milioni di dollari annui; possono pagare meglio i loro giovani pusher e sicari delle bande giovanili, le prostitute e il personale delle bische, ristoranti e case da gioco.

Ciudad Juarez è un effetto, a suo modo, del mercato globale. Nella disgregazione di ogni ordine pubblico, nella corruzione pubblica e nelle privatizzaizoni di ogni aspetto della vita (anche sanitaria), era solo questione di tempo per l’esplosione di una epidemia.

Ma attenzione: a Roma si moltiplicano gli accoltellamenti e gli omicidi per futili motivi. Napoli non è veramente meglio di Ciudad Juarez. La Calabria è in mano a criminali che sono anche primari e direttori sanitari, funzionari di regione e sindaci.

La disgregazione delle società culturalmente semi-arretrate, con vasta corruzione pubblica e privata, sembra l’inevitabile effetto collaterale della crisi del capitalismo terminale. Disgregata la solidarietà sociale e lo spirito di cittadinanza, non resta molto per frenare il potere criminale.
 


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