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Un fatto psicologico
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La crisi «è un fatto psicologico», ha detto il Salame. Probabilmente è a causa di un fenomeno di auto-suggestione che in questi giorni ben 735 porta-container - navi anche da 300 mila tonnellate - sono all’ancora nella rada di Singapore. Sono le navi che portavano merci e materie prime dalla Cina agli Usa, dall’Asia all’Europa e viceversa (viceversa molto meno), ed ora sono il simbolo tragico della restrizione dei volumi dei commerci globali.

Ancora l’estate scorsa, noleggiare uno di questi portacontainer poteva costare 300 mila dollari al giorno. A gennaio, ve li offrivano per 10 mila. Nelle ultime settimane il nolo è salito un poco - 25 mila dollari al giorno - perchè le acciaierie cinesi si affrettano ad accaparrarsi minerale di ferro in vista di un rincaro; presto il rialzo finirà. Un anno fa, un container da 40 piedi pieno di merci cinesi da far trasportare in Europa costava 1.400 dollari più il costo-carburante; oggi, costa 300, non abbastanza per coprire i costi del servizio. Nella rada di Singapore, galleggiano 41 milioni di tonnellate di stazza vuote e inoperose.

Le esportazioni della Cina sono cadute del 22,6% in un anno (aprile 2008 - aprile 2009). In Giappone, del 32%. In USA, la produzione industriale è calata del 16% rispetto al picco più alto di dicembre 2007. Circa 15 milioni di famiglie americane sono in rosso, in ritardo sui pagamenti dei loro debiti (mutui, carte di credito, vendite rateali, eccetera), ciò che promette una nuova batosta per le banche già in bilico - attenti all’imminente collasso nel settore carte di credito, prima lucroso, dove le banche di emissione traggono interessi del 20% e più. Oggi, le sofferenze sulle carte di credito Citigroup stanno superando il 10%.

L’economia più forte d’Europa, la tedesca, si è ristretta del 3,8% in tre mesi (un record mai visto dai tempi della guerra), Austria e Olanda del 2,8%, l’Italia del 2,4%, la Spagna dell’1,8% e la Francia dell’1,2%. Il Telegraph si rallegra che l’Inghilterra, che ha de-industrializzato e puntato tutto sulla finanza (quindi soffre meno dal calo del commercio mondiale: non ha nulla da esportare), nello stesso periodo è calata meno della Germania, «solo» 1,9%. Vedremo poi quanto sia fondata questa euforia.

Persino il capo del Fondo Monetario, Dominique Strauss-Kahn, ammette che «la crisi non è finita, e ci saranno probabilmente altre prove davanti a noi». Anche l’ufficio studi Bankitalia ha finalmente cominciato a raffrontare l’attuale crisi al ‘29 (vale la pena di pagarli tanto, quelli di Bankitalia).

Altro sintomo sinistro, il direttivo della Banca Centrale Europea (BCE) ha abbandonato la tradizionale unanimità - o l’omertà - di facciata, e i membri litigano apertamente (1). E’ successo da quando Trichet, il governatore, ha annunciato che la BCE avrebbe comprato 60 miliardi di euro di «covered bonds» (obbligazioni coperte da mutui), di fatto creando moneta dal nulla (inflazione in vista) per sostenere banche che hanno in pancia questi titoli ormai invendibili. Siccome i più grossi emettitori sono Germania, Spagna e Francia, gli altri Paesi le cui banche non hanno emesso questo tipo di obbligazioni (ad esempio la Slovacchia e la Slovenia) hanno protestato: la BCE aiuta le grandi banche tedesche e francesi, e noi no?

Marko Kranjec, il governatore della Banca Centrale slovena, ha annunciato di testa sua che la BCE avrebbe comprato anche dei titoli di debito di imprese non-finanziarie e dei certificati di tesoreria; immediatamente zittito dal tedesco.

Ciò che Kranjec prospetta è sensato - aiutare le imprese in difficoltà coi debiti, insomma l’economia reale - ma è anatema per la BCE. La Banca Centrale Europea profonde miliardi solo per sostenere il sistema bancario, che è «suo» e di cui fa parte (con tutte le complicità del caso). Ma se si deve sostenere le imprese non finanziarie, allora la BCE perde potere. Sono gli Stati che in questo caso interverrebbero, spinti dalle loro opinioni pubbliche, a salvare il proprio tessuto economico fisico.
Come?

Spendendo denaro pubblico. Spese da finanziare emettendo debito di Stato; il che costringerebbe la BCE a comprare questo debito pubblico facendo girare la stampante dei biglietti; scenario catastrofico, inflazionistico, ma ciò che preoccupa veramente la BCE è che così perderebbe la sua «indipendenza» dal potere politico, facendosi legare le mani dagli Stati. La situazione è in evoluzione e va tenuta d’occhio. I litigi si fanno ogni giorno più aspri.

Il governo tedesco difende teutonicamente l’ortodossia monetarista, ma perchè, poi? Il sistema bancario germanico da solo ha nella pancia 816 miliardi di euro di attivi tossici e di prestiti andati a male.

In Italia, l’opposizione strilla che da noi aumenta il debito pubblico mentre diminuisce l’introito fiscale: è insostenibile! Verissimo, ma accade lo stesso in tutti i Paesi occidentali. Negli Stati Uniti, le uscite pubbliche salgono del 17% all’anno (il più rapido ritmo dal 1981) mentre gli introiti pubblici fiscali scendono del 14,6% (cosa mai vista da 40 anni); a questo ritmo, è vicino il momento in cui il deficit USA supererà il 50% degli introiti, e dunque la crisi valutaria americana scuoterà le fondamenta dell’economia mondiale.



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Chi comprerà i Buoni del Tesoro USA (2), italiani, spagnoli, tedeschi? I governi tacciono atterriti, osservando gli indici mondiali che sono tutti in discesa contemporaneamente. Il fatto è che nessuno sa più bene cosa fare.

Anzi peggio. Come fa notare Europe 2020 nel suo rapporto di maggio, le manipolazioni della finanza speculativa, a cui sono seguiti i disperati confusi «salvataggi» statali del sistema (americano e britannico per primo), hanno «guastato gli strumenti di navigazione» di cui si servivano governi e Banche Centrali per orientarsi (3).

Esempio attuale: i rialzi delle Borse dei giorni scorsi. Le Borse sono chiaramente strumenti impazziti, che segnano bel tempo nel pieno del ciclone.

Gli oceani di pseudo-denaro iniettati dalla FED e dalle altre Banche Centrali in un solo anno contribuiscono allo stesso effetto. Anzi, il centro di analisi francese adotta una metafora: nell’oceano della liquidità, gli operatori economici e governativi sembrano presi dalla «ebbrezza degli abissi», la nota affezione che colpisce i sub in eccesso di azoto: che si lanciano ancor più nel profondo, convinti che stanno risalendo.
«Ciò significa che gli indicatori, che gli attori economici, politici e finanziari usano da sessant’anni per decidere investimenti, redditività, localizzazione, eccetera, sono diventati obsoleti, e bisogna ormai guardare altrove se si vogliono evitare decisioni disastrose».



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Per rispondere  a  chi intravede nei rialzi di Borsa una luce in fondo al tunnel, ecco nella tabella qui sopra  i mercati borsistici delle grandi crisi economiche: il tracciato della crisi odierna (in blu) si sovrappone con sinistra perfezione a quello della crisi del 1929 (in grigio). Sono dati depurati dall’inflazione e dalla deflazione del ‘29. Ma attenzione, questa caduta di oggi avviene mentre le Banche Centrali hanno abbassato i tassi d’interesse a zero, allo scopo preciso di costringere il risparmio e chi dispone di soldi, per disperazione, a rientrare nei mercati azionari.

Le grandi banche ricevono denaro gratis dagli Stati, e dunque non rischiano niente a impiegarlo in Borsa.

Nel 2009 la Banca d’Inghilterra ha abbassato i tassi al livello più basso da quando la Banca è stata fondata nel 1694, ossia in 315 anni.

La «Caisse des Depots et Consignations», storico braccio finanziario dello Stato francese dal 1816 sotto tutti i regimi (monarchia, impero, repubbliche varie) ha conosciuto la sua prima perdita annua nei 193 anni della sua esistenza. E tuttavia, il risultato di tutto ciò - colossali interventi pubblici,  enormi manipolazioni, «bolle del Tesoro» dal costo incalcolabile - è quel che si vede nella tabella.

Le Borse scendono come nel ‘29.

Ma Washington ha stanziato 785 miliardi di dollari (577 miliardi di euro) per «stimolare l’economia reale», e Pechino, come «stimolo», ha stanziato 4 mila miliardi di yuan, pari a 430 miliardi di euro. Anche se dalla cifra americana bisogna togliere 288 miliardi di dollari di riduzioni di imposte (il piano Obama), si ottiene una spesa pubblica disponibile di 182 miliardi di euro l’anno per due anni in USA, e 215 miliardi di euro per la Cina.

Sono pur sempre stanziamenti impressionanti: da parte dei due giganti globali, sarà tutto un febbrile costruire ponti, strade, infrastrutture, pagamenti di salari, riduzione dell’occupazione, che trascineranno il mondo verso l’uscita del tunnel. Torna il New Deal, torna Keynes!

Un momento, obietta Europe 2020. Non si è valutato che la «capacità di assorbimento» di questi stanziamenti ha dei limiti. Perchè stanziare miliardi è la parte più facile; ma affinchè quei pseudo-soldi diventino ponti e strade, occorre «mettere in atto procedure e metodologie totalmente nuove, il cui sviluppo richiede anni, e il tempo è proprio quel che manca ad USA e Cina». La FED può emettere pseudo-capitale, ma non comprare il tempo nè questo tipo di esperienza.

Se non siete convinti, guardate come finiscono i «fondi strutturali europei» per sollevare l’economia degli Stati membri e delle regioni più sfavorite. Sono circa 70 miliardi di euro l’anno. Eppure, le autorità della UE sanno bene quanta fatica costi agli Stati spendere quei soldi, ossia quanto bassa sia la «capacità di assorbimento».

Pensate alla Sicilia, che non riesce ad «assorbire», ossia a spendere in progetti decenti quei fondi, e accumula «residui passivi». L’Italia non riesce a spendere il 15% dei fondi che riceve; la Spagna, prima della classe in questo utilizzo, non riesce a spendere il 13%, e sono cifre. La Polonia, assorbe  il 76% dei fondi ricevuti, ossia non riesce a spendere il 24%. Se poi si guarda ai «fondi di coesione», ossia a quelli che la UE destina specificamente agli Stati che sono appena entrati ed hanno bisogno di alzarsi al livello degli altri, il tasso di assorbimento è ancora peggiore: la media è del 65%. La Polonia ne assorbe solo il 52%.

Quelli che riescono a spendere di più sono Stati piccolissimi: l’80% Malta (300 mila abitanti) e l’Irlanda (4 milioni). Persino il Lussemburgo, che di fondi europei ne riceve pochissimi perchè è ricco, e pullula di banchieri ed esperti finanziari probabilmente pieni di idee su come spenderli, non riesce ad assorbire completamente quel poco che riceve. E questo, nonostante i decenni di esperienza europea in questo campo, nonostante le procedure e le metodologie già solidamente sperimentate.
Per assurdo - ma non tanto - si è visto che grossi stanziamenti sono meno utili di stanziamenti piccoli e mirati. Dunque, le enormi centinaia di miliardi stanziati da USA e Cina avranno un «tasso di assorbimento» a breve, se va bene, del 30%.

E il resto, come finirà? Come in Sicilia: sprechi e corruzione da un lato, «sovvenzioni non consumate» (ossia residui passivi) dall’altro.

Perchè siamo giusti, ironizza Europe 2020, «le amministrazoni pubbliche non hanno una tendenza naturale a produrre programmi (di stimolo) semplici, facili a mettere in opera e leggeri dal punto di vista amministrativo».

In USA, il Congresso vuol dire la sua su questi impieghi, ed ogni parlamentare ha le sue lobby e le sue circoscrizioni da accontentare; in Cina, l’amministrazione storicamente centralizzata e comunisticamente pesantissima non lascia sperare per il meglio. In ogni caso, le zone beneficiarie della pioggia d’oro (distretti, città, contee) non hanno la formazione per padroneggiare le procedure di spesa di tanti fondi pubblici. C’è poco da sperare da questi «stimoli».

Ma allora, se i tradizionali «strumenti di guida» sono guasti o truffaldini (vedi «stress test» delle banche USA), se lo stesso quadro di riferimento usato per 60 anni e Made in USA non funziona più, quali sono gli indicatori da osservare?

Ascoltate le informazioni che vengono dalle attività economiche e non dalle attività finanziarie, dagli operatori economici e non dai governi o dalle lobby, consiglia Europe 2020.

«Se non c’è una ripresa a fine estate 2009, il castello di carte delle strategie pubbliche e private creato da un anno cadrà».

Occhio alla crescita della disoccupazione. Secondo il centro francese, le cifre ufficiali sono gravemente sottovalutate (del 30% almeno), perchè politici e burocrati preferiscono mentire che ammettere di star sbagliando, e si scusano che mentendo, «guadagnano tempo».

Per gli economisti - quelli tipo Draghi, che hanno capito adesso che siamo al ‘29 - la disoccupazione è un «indicatore attardato», che segue e non anticipa la crisi. Questo sarà vero per le crisi classiche, ma non per quelle sistemiche.

Oggi, la rapidità e la massa della disoccupazione crea di per sè un’ondata di crisi, perchè distrugge consumi, investimenti e posti di lavoro, già in questo momento in USA e Gran Bretagna, nella zona euro e in Cina a fine estate 2009: la disoccupazione diventa un indicatore avanzato, perchè «genera la sua propria fase di crisi».



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Evoluzione della disoccupazione in USA (febbraio 2008-febbraio 2009). In rosso, i posti di lavoro perduti, in blu, quelli creati



Dunque le 735 portacontainer inutilizzate a Singapore sono «indicatori» a modo loro, come le previsioni dei produttori nel settore elettronico, delle materie prime, o metallurgico. Gli immobili commerciali (uffici, negozi, alberghi) sono tuttora in discesa, e anche quelli «parlano». Secondo l’osservatorio francese, la crisi volatilizzerà in conclusione 30 mila miliardi di dollari di «attivi» nel mondo, e per ora ne ha inceneriti solo 10 mila. Saremmo dunque a un terzo della discesa.

Una cosa è certa: non la crisi, ma che Berlusconi è un fenomeno psicologico.





1) Cécile Proudhomme, «La cacophonie  publique des banquiers de la BCE», Le Monde, 16 maggio 2009.
2) Masaharu Nagakawa, capo finanziario del Partito Democratico Giapponese (DJP) ha detto alla BBC che il Giappone non dovrebbe più comprare Buoni del Tesoro USA, a meno che Washington non li emetta in yen (quelli in dollari si svalutano a vista d’occhio: il Tresury Bill trentennale ha perso il 20% in sei mesi). Il DJP è all’opposizione, ma potrebbe trovarsi al governo, perchè la crisi morde atocemente (5 milioni di disoccupati) e può portare ad un rovesciamento dello storico partito liberal-democratico, la quasi-DC nipponica. Il bello è che il Giappone si è accaparrato 250 miliardi di dollari in Bills USA solo tra gennaio 2003 e marzo 2004, allo scopo di contrastare il rafforzamento dello yen e continuare ad esportare in USA a prezzi concorreziali (invece, doveva cominicare a venderli discretamente). La Cina ha fatto lo stesso e peggio. Entrambi hanno finanziato il loro debitore perchè continuasse ad importare le loro merci. Oggi, se smettono, entrambi i Paesi firmano il proprio suicidio economico, si rallegra sinistramente Ambrose Evans-Pritchard. E’ solo l’esempio più vistoso di quanto i responsabili economici e politici abbiano creduto a un sistema di riferimento che non funziona più (la globalizzazione), creduto a «strumenti di navigazione» rotti, e oggi non sappiano più cosa fare. Comunque facciano, sbagliano. Se Cina e Giappone non comprano più Bills, devono chiudere fabbriche che non avrebbero mai dovuto costruire, nate solo per l’export in USA, e vedersela coi loro milioni di disoccupati e di giovani laureati che non trovano sbocco. Ma anche continuare a comprare Bills del Tesoro è inutile e dannoso, perchè comunque Washington sta facendo default, ed ha già cominciato diluendo il dollaro, e perciò il suo debito. Il  sistema di prima non tornerà più, e non c’è la forza intellettuale di pensare a un’alternativa, nè quella politica di applicarla. Lo stesso problema del Giappone è di fronte alla Germania (e al settore italiano più dedito all’export), che oggi soffre di più. Tanti «sacrifici» richiesti ai lavoratori (salari tagliati all’osso), per nulla. Quanto agli inglesi, hanno poco da rallegrarsi: presto Londra dovrà ricorrere al Fondo Monetario per farsi salvare, e applicare le note «ricette strutturali» prima riservate al Gabon e al Perù.
3) «Crise systémique globale: Juin 2009 - Quand le monde sort définitivement du cadre de référence des soixante dernières années», Europe 2020, Bollettino 35, 15 maggio 2009.


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